Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29586 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 16/11/2018), n.29586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5582-2013 proposto da:

S.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA M.

PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO D’ARRIGO;

– ricorrenti –

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro temore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 115/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 03/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2018 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Equitalia ESATRI Spa notificava, in data 12 dicembre 2009, a S.G. la cartella di pagamento n.(OMISSIS) relativa all’imposta sostitutiva per rivalutazione per l’anno 2004, richiesta dall’Ufficio a seguito di controllo automatizzato effettuato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter, per il recupero rate non versate e imposte sostitutive.

2. Il contribuente proponeva ricorso avverso la suddetta cartella di pagamento. Egli, premesso di essere socio della società GPM Srl, e di detenere una quota del capitale sociale pari al 60%, procedeva a rideterminare il valore della partecipazione posseduta, pagando per l’anno 2004 una prima rata pari ad Euro 16.000. Successivamente, dopo l’emanazione del D.L. n. 203 del 2005, rideterminava nuovamente il valore delle partecipazioni possedute, in diminuzione rispetto all’anno precedente, per complessivi Euro 16.800 e versava una nuova prima rata, in data 30 giugno 2006, di Euro 5600, senza detrarre la rata precedentemente versata. In ottemperanza al disposto della circolare n. 16/E del 22 aprile 2005 dell’agenzia delle entrate presentava poi istanza di rimborso per il recupero della rata già versata in occasione della prima rivalutazione.

Con la cartella impugnata, invece, gli veniva richiesto il pagamento delle rate riguardanti la prima rivalutazione che era non erano state versate perchè il ricorrente aveva provveduto alla seconda rivalutazione per la quale aveva pagato tutto il dovuto. Egli contestava l’irrogazione della sanzione in quanto non poteva essergli attribuita alcuna responsabilità nè a titolo di colpa nè a titolo di dolo, considerate le disposizioni previste dall’agenzia nella circolare citata.

3. La CTP accoglieva il ricorso e compensava le spese.

4. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, eccependo insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e per l’abuso del diritto commesso dal contribuente in quanto il valore rivalutato rilevava esclusivamente agli effetti della det. delle plusvalenze di cui al TUIR, art. 81, comma 1, lett. c) e c-bis) non essendo consentito che, con il suo nuovo valore, si realizzassero delle minusvalenze, utilizzabili ai sensi del TUIR, art. 82, (ora 68), commi 3 e 4, secondo quanto disposto dallo stesso dalla L. n. 448 del 2001, art.3, comma 6. L’Agenzia sosteneva che, ai sensi del TUIR, art. 67, il minor valore del bene rispetto al suo costo originario poteva trovare riconoscimento fiscale solo in caso di realizzo della partecipazione e che la normativa speciale di cui della L. n. 448 del 2001, artt. 5 e 7, non consentiva il rimborso di imposte corrisposte volontariamente, qualora si fosse ridotto il valore della partecipazione (circolare del 31 gennaio 2002 12/E del 30 gennaio 2001 9/E oltre dal D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 6, comma 2).

5. La Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione distaccata di Brescia, accoglieva l’appello, ritenendo che il comportamento del contribuente configurasse un abuso di diritto come previsto dalla giurisprudenza comunitaria e da quella della Suprema Corte.

Premesso che l’abuso di diritto come qualificato dalla giurisprudenza si traduce in un principio generale anti elusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici, che giustificano l’operazione. Nel caso concreto il contribuente aveva aderito a due provvedimenti agevolativi identici, ma successivi nel tempo, con un cospicuo risparmio fiscale, procedendo con la seconda rivalutazione a decurtare il valore della partecipazione, operando quindi una svalutazione e non una rivalutazione dei beni, e dunque era a suo carico l’onere di fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche ulteriori e diverse rispetto a quello del mero vantaggio fiscale conseguito. Il ricorrente, invece, si era limitato ad asserire che la seconda rivalutazione era stata eseguita perchè con la precedente non erano state considerate le passività. Tale ragione era generica tenuto conto del fatto che: 1) il valore della partecipazione era derivato da una perizia asseverata di stima svolta da un professionista; 2) per lungo tempo era stata ritenuta corretta tanto da indicare, come precisato dall’ufficio, anche nella dichiarazione del 2005 il valore della partecipazione in base alla suddetta perizia senza fornire prova della natura, qualità e quantità della passività sopravvenuta.

5. Dunque, in mancanza di tale prova, il comportamento posto in essere dal contribuente si configurava quale abuso di diritto e anche le sanzioni irrogate erano la naturale conseguenza dell’esito dell’azione dell’ufficio volta a contrastare il fenomeno dell’abuso di diritto.

6. Avverso la sentenza citata propone ricorso per cassazione S.G.A. sulla base di un solo motivo di ricorso.

7. Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.L. n. 282 del 2002, art. 2, come modificato dal D.L. n. 355 del 2003, art. 6 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 47 del 2004 e dal D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2005, in relazione alla L. n. 448 del 2001, art. 5, e violazione dell’art. 53 Cost., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 163 e 67, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente dopo aver riportato lo svolgimento dei precedenti gradi di giudizio e il contenuto del D.L. n. 282 del 2002, art. 2, come modificato dal D.L. n. 355 del 2003, art. 6 bis, evidenzia che una prima perizia aveva stimato il valore delle azioni della società GPM srl e poi, una seconda perizia, redatta successivamente, aveva ridotto il medesimo valore sulla base di alcune passività.

Il ricorrente contesta l’affermazione fatta nella sentenza impugnata, secondo la quale non vi era prova delle ragioni economiche alla base dell’operazione, mentre la perizia depositata aveva evidenziato che la prima valutazione era riferita al primo luglio 2003 e la seconda ad epoca successiva, (primo gennaio 2005) in base ai dati del bilancio al 31 dicembre 2004. Pertanto non vi era stato alcun abuso di diritto ma semplicemente un valore determinato da un perito che aveva dettagliatamente evidenziato le passività esistenti e la loro natura.

Inoltre, il ricorrente lamenta anche la violazione del principio di doppia imposizione previsto dal TUIR, art. 163, e da D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, atteso che la CTR aveva ritenuto legittima l’applicazione della stessa imposta più volte, in dipendenza dello stesso presupposto impositivo.

1.1 Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il D.L. n. 282 del 2002, art. 2, comma 2, non prorogava la disciplina contenuta nella L. n. 448 del 2001, art. 5, risultando in particolare cambiata, rispetto alla disciplina originaria, la data di “riferimento” rilevante ai fini della rideterminazione del costo o valore di acquisto delle partecipazioni (1 gennaio 2003 anzichè 1 gennaio 2002). Risulta pertanto possibile, per il contribuente che abbia proceduto a rideterminare il costo o valore di acquisto delle partecipazioni possedute al 1 gennaio 2002, attraverso l’applicazione della disciplina contenuta nell’ art. 5 della I. n. 448 del 2001, usufruire della possibilità offerta dal citato D.L. n. 282 del 2002, art. 2, comma 2, per effetto della proroga di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 39, comma 14-undecies. In tal caso risulta necessario: predisporre una nuova perizia giurata di stima da cui risulti il valore delle partecipazioni al 1 gennaio 2003 e procedere al versamento dell’imposta sostitutiva entro il 16 marzo 2004.

In relazione al versamento della “nuova” imposta sostitutiva, anche l’Amministrazione finanziaria nella circolare 9 maggio 2003, n. 27/E, paragrafo 1 ha avuto modo di precisare che: “l’imposta calcolata sulla base del valore risultante dalla perizia giurata di stima riferita alla data del 1 gennaio 2003 deve essere interamente versata senza che si possa dalla stessa scomputare l’imposta sostitutiva in precedenza già versata (vale a dire quella “relativa” alla perizia giurata di stima riferita alla data del 1 gennaio 2002); qualora il contribuente abbia optato per la rateazione della “vecchia” imposta sostitutiva, le rate ancora dovute non devono essere versate; – la “vecchia” imposta sostitutiva già versata (l’intero ammontare o quello della rata) può essere chiesta a rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38″.

Nello stesso si è espressa di recente questa Corte allorchè ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di imposta sostitutiva sui “capital gains”, il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione del bene (nella specie, partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati), con conseguente versamento dell’imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale bene, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto – anche nell’assetto antecedente alla vigenza del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, conv. in L. n. 106 del 2011 – ad usufruire del rimborso, stante il generale principio del divieto di doppia imposizione, in misura non superiore a quanto dovuto, in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata, fino alla concorrenza dei due importi”. (Sez. 5, Ord. n. 18712 del 2018).

Inoltre, è errata anche la qualificazione che la CTR ha dato all’operazione come priva di una ragione economica e, quindi, integrante un’ipotesi di abuso del diritto.

Il divieto di abuso del diritto, infatti, si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Nella specie, invece, il contribuente si era attenuto strettamente a quanto consentito dal legislatore al fine di una rideterminazione del costo o valore di acquisto della quota di partecipazione mediante la presentazione di una perizia di stima giurata e non era richiesta una particolare finalità, diversa da quella relativa alla rideterminazione del valore.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato motivazione omessa su un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorrente la CTR non ha esaminato la seconda perizia prodotta che provava l’esistenza delle passività contestate così incorrendo nel suddetto vizio di omessa motivazione. In sostanza la ricorrente muove le stesse argomentazioni di cui al primo motivo, riferendole all’omesso fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla omessa valutazione della seconda perizia.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo il ricorrente, non sussistendo alcun abuso di diritto nel comportamento tenuto dal contribuente mancavano i presupposti soggettivi per l’irrogazione delle sanzioni tenuto conto anche della circolare n. 16 del 22 aprile 2005.

4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del primo.

5. In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere accolto l’originario ricorso proposto da S.G. avverso la cartella di pagamento n.(OMISSIS) relativa all’imposta sostitutiva per rivalutazione per l’anno 2004 richiesta dall’Ufficio a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter, per il recupero rate non versate.

6. Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate in considerazione dell’oggettiva incertezza interpretativa circa la disciplina applicabile alla fattispecie.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e decidendo nel merito accoglie il ricorso proposto da S.G. avverso la cartella di pagamento n.(OMISSIS), e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta seconda Civile, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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