Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29584 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4626-2007 proposto da:

S.G., S.M., elettivamente domiciliati in

ROMA PIAZZA DELLE MUSE 8, presso lo studio dell’avvocato SIRIGNANI

ANGELA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SORRENTINO BONAVENTURA, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 14/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SIRIGNANI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 25.1.2007 è stato notificato all’Agenzia del Territorio un ricorso di S.G. e S.M. per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 14.12.2005), che ha accolto parzialmente l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia n. 174/04/2002, che aveva integralmente accolto il ricorso della parte contribuente avverso provvedimento di data 14.10.1999 di modificazione ed assegnazione di rendita catastale relativo ad immobili siti in (OMISSIS) di cui il S.M. è nudo proprietario ed il S.G. è usufruttuario.

L’Agenzia si è difesa con controricorso.

La parte ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 24.11.2011, in cui il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con il menzionato provvedimento (per quanto qui ancora interessa, in relazione ai capi della pronuncia di primo grado non passati in cosa giudicata) l’Agenzia del Territorio ha modificato in Euro 24.996,51 la rendita catastale relativa ad un’unità immobiliare ubicata in località (OMISSIS) censita al foglio 98, particella 67 sub 4 graffata con la particella 106 (categoria D/2), a seguito di denuncia di variazione – per fusione ed ampliamento – n. 20058 del 1995, in relazione ad opere poste in essere nel 1993.

I contribuenti avevano impugnato detto provvedimento assumendo che la rendita di detto immobile era già stata determinata dall’UTE in sede di sopralluogo del 19.5.1995 (in occasione di altra istanza, ai fini della attribuzione di rendita catastale, a seguito di atto di donazione), rendita poi definita con la sentenza n. 43/2/1998 della CTP di Perugia, sentenza già passata in cosa giudicata.

L’adita CTP di Perugia – dopo avere disposto CTU per accertare la consistenza attuale, a seguito dell’accorpamento, e la differenza eventuale rispetto a quanto accertato con la sentenza del 1998- e ritenendo che “i superiori valori … non scaturiscono dalla diversa consistenza e destinazione dei singoli beni … nè da un motivato e comprovato aumento della redditività dei medesimi”, aveva integralmente accolto il ricorso, confermando la rendita in precedenza attribuita, pari ad Euro 16.578,28.

Detta sentenza è stata impugnata dall’Agenzia ed è stata parzialmente riformata Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria che ha stimato la rendita catastale complessiva dell’immobile per cui è causa in Euro 23.000,00.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che la sentenza della CTP di Perugia n. 43/02/1998 (che la parte ricorrente aveva valorizzato per eccepire l’esistenza di un giudicato idoneo ad impedire che si rinnovasse il giudizio sulla materia qui in argomento) si riferiva alla denuncia di variazione n. 28589/1990 a seguito dell’impugnazione della quale era stato esperito sopralluogo ad opera del geom. N., mentre la successiva denuncia di variazione n. 20058/95 del 20.10.1995 (per ampliamento) era stata impulso per un ulteriore classamento, indipendente da quello correlato alla precedente denuncia.

Questo secondo classamento era oggetto dell’odierna controversia ed il giudicato formatosi in relazione al precedente atto di classamento risultava del tutto irrilevante in questa sede. D’altronde, l’A.F. conservava comunque il potere di accertare, per gli anni successivi a quelli coperti da giudicato, diversi e più elevati valori, ove quelli precedentemente accertati non siano congrui e non rispecchino la base imponibile.

Adeguando alle specifiche condizioni dell’immobile l’indicazione (con riferimento alla rendita computata per il biennio 1988-1989) contenuta nella consulenza d’ufficio nuovamente espletata in grado di appello, la CTR aveva perciò finito per determinare la complessiva rendita catastale nell’importo di cui già si è detto.

4. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto con quattro distinti motivi d’impugnazione e si conclude – previa indicazione del valore della lite come compreso nello scaglione fino ad Euro 26.000,00 – con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, e con la condanna di parte avversaria al pagamento delle spese di lite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione del giudicato esterno, in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. ed all’errata motivazione circa il punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

La parte ricorrente lamenta che il primo giudice abbia disatteso l’eccezione di giudicato esterno reso con la sentenza n. 43/02/98 della CTP Perugia, pronuncia che non si riferiva affatto alla denuncia di variazione 28589/90 ma traeva origine da un altro atto di ben tre anni successivo a quella denuncia, e cioè l’istanza di accertamento catastale 24.12.1993 in relazione all’atto di donazione a favore di S.M. avvenuta nell’anno 1992, a seguito della quale era avvenuto il sopralluogo del geom. N. ed era poi stata elaborata una variazione d’ufficio in data 19.7.1995 (a modifica di quella 28589/90 che non comprendeva gli ultimi lavori effettuati). Rispetto a detta variazione del 19.7.1995 (e rispetto al sopralluogo del geom. N. di cui si è detto) non era sopravvenuta alcuna variazione nello stato dell’unità immobiliare, e tale stato di fatto era “entrato a far parte del patrimonio di conoscenze del giudicante (copiosa documentazione in atti)”, che però aveva omesso di valutarne la rilevanza.

Non essendo dunque mutati i presupposti dei due accertamenti compiuti, il giudicato formatosi sul primo dei due, per i suoi elementi costitutivi a carattere permanente, avrebbe dovuto costituire un dato processualmente certo ed acquisito su cui fondare la decisione in ordine alla congruità della rendita attribuita, dato di cui però – erroneamente – il giudice di appello non aveva tenuto affatto conto.

La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

La parte ricorrente in questo grado di giudizio si limita infatti ad affermare (senza fornirne la opportuna giustificazione con le necessarie modalità autosufficienti, nell’ottica delle allegazioni da cui il ricorso deve essere corredato ai sensi dell’art. 366 c.p.c.) che tra le due variazioni catastali oggetto della sua ricostruzione dei fatti “non era sopravvenuta alcuna variazione nello stato dell’unità immobiliare”, ed a questi fini rinvia alla “copiosa documentazione in atti”, che non è meglio identificata.

Poichè è proprio questa la premessa logica e storica dell’assunto secondo cui la sentenza n. 43/02/98 della CTP Perugia costituirebbe nella presente fattispecie giudiziaria un giudicato irrefrangibile, la parte ricorrente (prima ancor di approfondire l’aspetto teorico della questione) avrebbe dovuto fornirne allegazione idoneamente autosufficiente, con riferimento alle giustificazioni probatorie del predetto assunto.

Ed invero:”Poichè l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice “a quo”, asseritamente erronea (Cass. Sez. 50, Sentenza n. 9777 del 19/07/2001).

Onere tanto più rigorosamente da assolversi per il fatto che nella narrativa della decisione n. 43/02/1998 (depositata dalla parte ricorrente in questo grado di giudizio come documento, mentre neppure è chiaro se la medesima pronuncia sia stata tempestivamente prodotta in grado di appello) non si rinviene alcun elemento fattuale a sostegno della tesi di parte ricorrente. Ed invero – per quanto poi la parte oggi intimata abbia riconosciuto che i presupposti della or ora menzionata decisione risiedono nell’istanza di accertamento catastale 24.12.1993 in relazione all’atto di donazione a favore di S.M. intercorso nell’anno 1992, piuttosto che nella denuncia di variazione 28589/90, ciò che però non è determinante, ben potendosi essersi verificata nel successivo intervallo tra le due istanze la modifica dello stato di fatto che ha giustificato la proposizione della denuncia di variazione (per fusione ed ampliamento) n. 20058 del 1995 – è un dato di fatto evidente che nella sentenza qui appellata si fa riferimento ad un elemento di discrepanza tra le due procedure di variazione (“ampliamento”, che anche la parte intimata assumere essere stato il dato distintivo tra le due situazioni catastali considerate ai fini delle due distinte procedure) rispetto al quale nulla la parte ricorrente espressamente precisa, salvo fare vago riferimento ad “opere completate nel 1993”.

In ordine a queste ultime opere (che si assumono essere state la ragione della denuncia di variazione del 1995 e che si assume siano state necessariamente considerate in occasione del sopralluogo di stima espletato da parte del geom. N.) non vi è nessuna chiarezza, sicchè non vi è certezza neppure sui presupposti di fatto a cui si riferiscono i due giudicati qui in paragone.

Questo difetto di allegazione e specifica indicazione delle fonti da cui si dovrebbe desumere il dato di fatto che sottende alla necessità di assegnare carattere preclusivo alla prima delle due pronunce qui in considerazione non può essere emendato neppure attraverso la diretta consultazione della sentenza n. 43-2-1998 della CTP di Perugia, le cui premesse in fatto sono così succinte da non consentire di intendere se effettivamente i presupposti di fatto su cui si fondano le due pronunce siano realmente i medesimi.

Orbene, è pur vero che “Il giudicato esterno – qualora risulti da atti prodotti nel corso del giudizio di merito – può essere accertato dalla Corte di cassazione con cognizione piena, comprensiva della diretta valutazione e interpretazione della portata del giudicato stesso, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19136 del 29/09/2005, che fa applicazione dell’indirizzo attestatosi con Cass. S.U. n. 226 del 2001), ma a questi fini è imprescindibile che (onde evitare di delegare alle valutazioni postume dei tecnici che sono stati incaricati nei due distinti gradi di giudizio e che, infatti, si sono espressi in termini divergenti) – se la situazione di fatto su cui si fonda la sentenza pregiudicante non risulta già per tabulas da quest’ultima – la parte che ne ha interesse assolva all’onere di delineare (anche depositando in giudizio gli atti rilevanti del giudizio pregiudicante) con precisione e chiarezza l’elemento fattuale comune e determinante ai fini di qualificare (indipendentemente dall’autonomia degli atti che hanno dato impulso alla procedura) “identico” il rapporto giuridico sottostante. Nella specie di causa (e per quanto si desume dalla sentenza n. 43.2.1998) l’ambito del fatto allora controverso fu definito attraverso i “dati contenuti nelle perizie di stima dell’UTE”, sicchè almeno quelle avrebbero dovuto costituire elemento imprescindibile di giudizio ai presenti fini.

Ed invero è principio pacifico che “l’autorità del giudicato, se impedisce il riesame o la deduzione di questioni anteriori ad esso, tendenti ad una nuova decisione della controversia già risolta con provvedimento definitivo, non è invece di ostacolo all’allegazione e alla cognizione di nuovi e posteriori eventi i quali incidano sul modo di essere del diritto deciso; ciò perchè ogni successiva modificazione concernente l’effetto giuridico accertato esula dai limiti cronologici della cosa giudicata” (cfr. ancora la menzionata Cass. n. 19136/2005, nella motivazione). Nel processo tributario, però, siccome caratterizzato dalla natura impugnatoria, detto discrimen cronologico va riferito alla situazione preesistente al provvedimento impugnato, in considerazione del quale la pronuncia giudiziaria cristallizza gli effetti che finiscono per ricadere sul destinatario del provvedimento.

Se poi si assuma, che l’efficacia della pronuncia giudiziaria pregiudicante esorbiti addirittura rispetto al provvedimento impositivo impugnato e si estenda a dati di fatto ulteriori e posteriori rispetto a quelli considerati nel provvedimento oggetto della pronuncia pregiudicante (nella specie: la situazione di fatto esistente alla data delle “perizie di stima dell’UTE”), non è chi non veda che è preciso onere della parte che ne ha interesse dedurne la precisa ed inequivoca specificazione.

In definitiva, il difetto di precisa allegazione e specificazione dei dati storici rilevanti impedisce a questa Corte di valutare la fondatezza e la rilevanza della prospettata valenza di “cosa giudicata pregiudicante” in capo alla pronuncia valorizzata dalla parte ricorrente e rende inammissibile l’unico profilo del motivo di impugnazione adeguatamente sviluppato (poichè quello fondato sul vizio di motivazione è rimasto inespresso e semplicemente accennato nella rubrica).

6. Il secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero i presupposti per attribuire una nuova rendita (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – Violazione e falsa applicazione del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 10, comma 1 e art. 34, comma 1 convertito … nonchè del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 30 e art. 37, comma 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il primo profilo del motivo di impugnazione (fondato sulla carente motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti utili ai fini dell’attribuzione di una nuova rendita) è da disattendersi “de plano”, per le ragioni che già prima sono state esplicate, e cioè per il fatto che il giudicante di secondo grado ha chiaramente indicato quali debbano intendersi detti presupposti, e segnatamente “l’ampliamento” che aveva dato causa alla presentazione della denuncia di variazione n. 20058/95.

Il secondo profilo del motivo di impugnazione (in punto di violazione di legge) appare esso pure infondato per le stesse sostanziali ragioni e cioè perchè – a fronte dell’argomento che ha indotto il giudice di appello a ritenere che vi fosse discrepanza tra lo stato di fatto catastale considerato ai fini delle due distinte variazioni- non è possibile assumere che il giudicante non abbia dato conto della “variazione di base imponibile” e perciò abbia giudicato in violazione del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10 che condiziona la revisione della stima a sopravvenute variazioni di carattere permanente.

E, prima ancora, il predetto profilo (per le ulteriori argomentazioni sulle quali è fondato) appare inammissibile per difetto di autosufficienza in ordine al fatto che la questione di cui ora si dirà sia stata oggetto del thema decidendum nei pregressi gradi di giudizio, ed abbia cioè costituito motivo di contestazione nel ricorso introduttivo di primo grado.

La parte ricorrente si duole invero del fatto che – in virtù del regolamento approvato con D.P.R. n. 1142 del 1949 – la rendita catastale non sia stata accertata con stima diretta, siccome è obbligo per gli immobili a destinazione speciale e particolare (artt. 8, 30 e 37).

Ma tale questione non risulta essere stata prospettata nella opportuna sede di merito, o per lo meno ciò non si desume dalla sentenza qui impugnata, sicchè sarebbe stato onere della parte ricorrente fare esplicita indicazione del luogo e dei modi con cui la medesima questione sarebbe stata proposta nei pregressi gradi di giudizio.

7. il terzo motivo d’impugnazione.

Il terzo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Omessa valutazione dei rilievi critici sollevati in atti, in ordine all’erroneità dei valori assunti dal consulente tecnico d’ufficio e sic et simpliciter trasfusi in sentenza per la valutazione dell’unità immobiliare al biennio 1988/1989 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

In ordine ai predetti valori “assunti dal consulente d’ufficio” ed in ordine all’erroneità dei “parametri utilizzati”, nulla di idoneamente autosufficiente la parte ricorrente riferisce, salvo assumere che detti “parametri” facciano “esclusivo riferimento a prezzi di mercato, listini ufficiali e valori di bilancio di un’epoca compresa tra il 1991 ed il 1994” (alla stregua di quanto già contestato nella relazione tecnica di parte).

In tal modo però, non è chi non veda che la parte ricorrente sollecita alla Corte non già un controllo sulla intrinseca logicità e sulla completezza della motivazione della pronuncia impugnata, bensì invece un riesame della questione di merito, in difformità dalla regola consueta secondo cui: “Il vizio di omessa ed insufficiente motivazione sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, avendo la corte di cassazione non il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cassazione civile , sez. lav., 22 ottobre 1993, n. 10503).

8. Il quarto motivo d’impugnazione.

Il quarto motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Nullità per vizio di ultrapetita, in violazione dell’art. 112 c.p., principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

La doglianza (concernente la pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad un’eccezione riguardante la notifica della rendita e fondata sul rilievo che detta eccezione non sarebbe stata riproposta in appello) appare inammissibile per difetto di interesse in ordine alla decisione sulla doglianza stessa.

Ed infatti l’espunzione del rilievo fatto dal giudice di secondo grado in ordine alla questione di cui trattasi non altererebbe in alcun modo l’esito della lite, lasciando immutate le disposizioni contenute nella pronuncia impugnata, nei riguardi delle quali soltanto si giustifica un interesse concreto in capo agli odierni ricorrenti.

8. Conclusioni.

Non resta che ritenere che il ricorso per cassazione proposto dalla parte contribuente non può essere accolto, fondato com’è su inammissibili motivi di censura.

La regolazione delle spese di lite è informata al criterio della soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 1.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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