Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29584 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. I, 24/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 24/12/2020), n.29584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27477/2015 proposto da:

Il Sole 24 Ore S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Prevesa n. 11,

presso lo studio dell’avvocato Sigillò Antonio, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati Andena Carlo, Malavenda Caterina,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Principessa

Clotilde n. 2, presso lo studio dell’avvocato Celotto Alfonso

(Studio Clarizia), che lo rappresenta e difende, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta

e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6968/2015 del TRIBUNALE di MILANO, del

04/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto, in via

principale, rimettersi il ricorso alla pubblica udienza per la

particolarità dei temi involti; in subordine rigettare il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Garante per la protezione dei dati personali (hinc solo Garante) dichiarava l’illiceità dell’acquisizione e diffusione di una conversazione di B.F., realizzata dall’emittente (OMISSIS), con un collaboratore della trasmissione radiofonica “(OMISSIS)”, ingaggiato per imitare l’allora presidente della regione Puglia V.N..

Preso atto dell’avvenuta rimozione della registrazione dal sito internet, il Garante vietava l’ulteriore diffusione della conversazione.

La società Il Sole 24 s.p.a. impugnava il provvedimento sotto distinti profili.

Nella resistenza del Garante e del B. il tribunale di Milano, con sentenza in data 4-6-2015, pronunciata ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., respingeva il reclamo.

Il tribunale riteneva, in primo luogo, che le informazioni raccolte e diffuse dalla trasmissione “(OMISSIS)” dovevano essere considerate alla stregua di dati sensibili, poichè B., all’epoca Ministro uscente della Coesione territoriale del governo presieduto dal sen. M.M., credendo di parlare con V., aveva espresso direttamente le proprie opinioni politiche. In particolare egli aveva rivelato la propria preoccupazione per le manovre asseritamente celate da un noto imprenditore ( D.B.C.) dietro l’operazione politica diretta a candidarlo a Ministro dell’Economia di un esecutivo di nuova formazione – esecutivo al quale aveva manifestato l’intendimento di non aderire proprio in considerazione dello spazio accordato al “potere imprenditoriale”; e inoltre aveva definito l’operazione suddetta come caratterizzata da “irresponsabilità politica”, da un “elemento disumanizzante” e da un elevato “livello di personalismo”.

In secondo luogo osservava che le modalità di acquisizione della conversazione telefonica erano riconducibili all’artificio di cui all’art. 2 del codice deontologico, visto che il giornalista era riuscito a parlare al telefono col ministro B. di argomenti relativi alla sua posizione in merito al coinvolgimento di D.B. nella formazione del futuro governo R. solo grazie all’espediente rappresentato dal fingersi un amico del B., e precisamente V.N.. Cosicchè il giornalista non si era limitato a celare la propria identità: egli infatti violando il principio di correttezza, si era attribuito l’identità di una persona determinata in rapporto privilegiato con l’interlocutore, allo scopo di ottenere informazioni riservate.

Per la cassazione della sentenza la società Il Sole 24 Ore ha proposto ricorso affidato a otto motivi.

Gli intimati hanno replicato con separati controricorsi.

Sia la ricorrente che il controricorrente B. hanno depositato una memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Possono essere unitariamente esaminati, per connessione, i primi tre motivi di ricorso.

Col primo motivo la ricorrente denunzia l’erroneità della pronuncia, per violazione o falsa applicazione dell’art. 11, commi 1 e 3, del Regolamento n. 1 del 2007 del Garante per la protezione dei dati personali e del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 143, comma 1, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., quanto alla ritenuta sussistenza del potere del Garante, e comunque della sua competenza collegiale, di valutare e accertare l’illiceità del trattamento dei dati e di disporre l’inibitoria, visto che la condotta aveva esaurito i suoi effetti. Difatti la ricorrente aveva definitivamente cancellato ogni traccia della conversazione e dei dati ivi contenuti, e fornito idonee assicurazioni sul venir meno di ogni interesse per la notizia, essendo il B. uscito nel frattempo dalla scena politica.

Col secondo motivo deduce l’erroneità della pronuncia quanto alla ritenuta sussistenza del potere del Garante, e comunque della sua competenza collegiale, di valutare e accertare l’illiceità del trattamento dei dati e di disporre l’inibitoria sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 149, comma 2 e art. 12 del Regolamento n. 1 del 2007, sempre in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè la materia del contendere era per le ragioni dette venuta a cessare già nella fase dell’istruttoria preliminare.

Col terzo motivo ulteriormente denunzia l’erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., nella parte in cui il tribunale, argomentando la tesi della persistenza del potere accertativo e inibitorio in base all’altrimenti insussistente interesse ad agire dell’impugnante, aveva strumentalizzato l’istituto dell’interesse al fine di risolvere le questioni di merito sottoposte a cognizione, praticamente rovesciando i termini del ragionamento.

II. – I motivi sono in parte inammissibili e in parte conseguentemente infondati, poichè si basano su un presupposto di fatto in contrasto con quanto accertato dalla sentenza.

L’art. 11 del Regolamento del Garante n. 1 del 2007 (vigente pro tempore) prevede, in relazione alla lett. d), che “al termine dell’istruttoria preliminare, che deve essere completata entro sei mesi dalla presentazione o avvenuta regolarizzazione del reclamo, ovvero entro nove mesi nei casi complessi che richiedono approfondimenti per motivate esigenze, il dipartimento, servizio o altra unità organizzativa conclude l’esame del reclamo senza promuovere l’adozione di un provvedimento del collegio ai sensi dell’art. 143, comma 1, del Codice, quando: (..) d) pur essendo riscontrata una condotta non conforme alla disciplina applicabile, non sono ravvisati i presupposti per adottare, allo stato degli atti, un provvedimento prescrittivo o inibitorio del collegio, in particolare quando la condotta è particolarmente risalente nel tempo o ha esaurito i suoi effetti, oppure quando tali effetti sono stati rimossi o sono state fornite idonee assicurazioni da parte del titolare del trattamento”.

La verifica dell’esistenza delle riferite condizioni è istituzionalmente rimessa al giudice del merito, il quale nella specie ha stabilito che vi era stato semplicemente il “blocco” del trattamento.

La preliminare affermazione della ricorrente, per cui vi era stata invece la “cancellazione definitiva dei dati”, non trova riscontro nella sentenza e introduce surrettiziamente un sindacato di fatto.

Il termine “blocco”, di contro, corrisponde alla condizione determinata dall’art. 4 cod. privacy, e integra “la conservazione di dati personali con sospensione temporanea di ogni altra operazione del trattamento”.

Ne consegue che rettamente il tribunale ha ritenuto che il suddetto “blocco” non fosse di ostacolo alla potestà del Garante di accertare l’illiceità del trattamento ai fini della susseguente pronuncia di inibitoria alla ulteriore diffusione.

III. – Col quarto motivo la società ricorrente denunzia l’erroneità della pronuncia per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., art. 118 att. c.p.c., L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, non essendo stato osservato l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo.

Il motivo è nel nucleo centrale inammissibile per difetto di autosufficienza, ed è comunque infondato a misure dei denunciati vizi della motivazione.

Per consolidata giurisprudenza, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, è ininfluente il difetto di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo ove risulti accertato che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (v. C. Stato n. 4125-12 citata anche dal tribunale).

Nel contempo in tutti gli ambiti, compreso quello amministrativo, le garanzie procedimentali non possono ridursi a un mero rituale formalistico, con la conseguenza che, nella prospettiva del buon andamento dell’azione amministrativa, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie pretese partecipative, ma è pure tenuto a indicare o allegare gli elementi fattuali o valutativi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (cfr. ex aliis C. Stato n. 2676-20). Codesto principio rileva anche in rapporto alla comunicazione di avvio del procedimento, che giustappunto non è un mero atto formale.

Con la conseguenza che anche in tal caso il privato non può limitarsi a denunciare la mancata o incompleta comunicazione e la lesione della propria pretesa partecipativa, ma deve necessariamente indicare o allegare gli elementi di fatto o valutativi, che, laddove fossero stati introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto incidere sul contenuto del provvedimento (esplicitamente in tema, v. C. Stato n. 3399-18).

IV. – Il tribunale di Milano ha conformato la propria decisione a simili criteri di giudizio, così rettamente adempiendo (diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente) all’obbligo motivazionale.

In più ha affermato che la società si era limitata a dolersi della mancanza della comunicazione in esame, sul rilievo di non aver così potuto spiegare tutte le possibili difese, ma non aveva assolto all’onere di allegazione, onde dimostrare di essere in grado, se avvertita dell’avvio del procedimento, di fornire elementi idonei a incidere sul provvedimento terminale.

Tale ratio decidendi è avversata in modo assolutamente generico, volta che, al di là dell’enunciazione astratta per cui la società avrebbe potuto chiarire quanto meno sotto il profilo tecnico i dubbi dell’autorità garante, niente è specificato, in prospettiva di autosufficienza, in ordine a ciò che era stato effettivamente dedotto a corredo della tesi a suo tempo formulata.

V. – Le residue doglianze della società ricorrente attengono ai profili sostanziali della vicenda.

Segnatamente sono dedotti: (i) col quinto motivo l’erroneità della pronuncia per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, a proposito della ritenuta sussistenza, nella specie, di un’ipotesi di trattamento di dati sensibili; (ii) col sesto motivo l’erroneità della pronuncia, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11,136 e 137, nonchè in ogni caso degli artt. 2727 e 2729 c.c., a proposito della ritenuta inapplicabilità della scriminante di cui all’art. 2 del codice deontologico; (iii) col settimo motivo l’omesso esame di fatto decisivo a proposito dell’impossibilità di acquisire aliunde la notizia in questione; (iv) con l’ottavo motivo, infine, l’erroneità della pronuncia per violazione o falsa applicazione degli artt. 136 e 137 cod. privacy e art. 6 del codice deontologico, nonchè per omessa motivazione (art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.), quanto alla ritenuta insussistenza di un interesse pubblico alla divulgazione della notizia.

VI. – Gli anzidetti motivi, unitariamente esaminabili per connessione, sono infondati e in parte inammissibili.

Per quanto riguarda la definizione dei dati oggetto di tutela, viene in primis in rilievo quella di dato personale.

Il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, comma 1, contiene alla lett. d) la nozione corrispondente, che peraltro è rimasta immutata rispetto a quella precedentemente contenuta nella L. n. 675 del 1996, art. 22, comma 1.

Tale è il dato idoneo a rivelare tipi di informazioni, espressamente elencati, attinenti a differenti profili della persona, relativi cioè a caratteristiche, stati, condizioni ovvero all’esercizio di libertà fondamentali: “qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”.

In simile contesto la nozione di dato sensibile si ricava dalla lett. d) del medesimo art. 4, nel senso che è considerato tale il dato idoneo a rivelare, tra l’altro, “le opinioni politiche” dell’interessato.

VII. – Va precisato che le ragioni dell’attribuzione di “sensibilità” a un simile dato personale ha un fondamento costituzionale, essendo da rinvenire nell’esigenza di evitare trattamenti discriminatori dell’individuo per ragioni attinenti alle sue caratteristiche, condizioni o convinzioni, nel quadro di una rilettura in senso moderno del principio di eguaglianza (art. 3 Cost).

VIII. – In questa prospettiva l’ampiezza del riferimento e la ratio della tutela rafforzata ben giustificano la conclusione del tribunale di Milano per cui si era dinanzi, nella specie, al trattamento di dati sensibili.

Non rileva la circostanza che il dato (id est, l’opinione politica) sia stato acquisito da un soggetto diverso da colui al quale si deve la messa in onda del programma di divulgazione, dal momento che il trattamento del dato è in ogni caso riferibile al titolare, e non è in discussione (nè lo è mai stato, per lo meno in base a ciò che si evince dalla sentenza impugnata) che il titolare del trattamento fosse per l’appunto la società ricorrente.

IX. – Ora questa Corte ha chiarito che il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, comma 2, ma sempre nel rispetto delle modalità tese a garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità dell’interessato, del diritto all’identità personale, nonchè del codice deontologico dei giornalisti, che ha valore di fonte normativa in quanto richiamato dal detto D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 139.

In siffatti termini si è detto costituire violazione dell’art. 2 del codice deontologico dei giornalisti, che vieta artifici e pressioni indebite nell’attività di raccolta delle notizie, la divulgazione di una conversazione ripresa con una telecamera nascosta dal giornalista all’insaputa del suo interlocutore (v. Cass. n. 18006-18).

Lo stesso criterio di giudizio non può che valere, per identità di ratio, dinanzi a modalità altrettanto subdole di acquisizione dei dati informativi, come quelle insite nell’imitazione dell’identità personale altrui: segnatamente nell’imitazione, abilmente realizzata durante il corso di una telefonata, della voce di un soggetto che si trovi in rapporto privilegiato con l’interlocutore, allo scopo di ricevere informazioni private.

X. – La ricorrente insiste nell’invocare l’esimente prevista dall’art. 2 del codice deontologico.

Deve tuttavia osservarsi che il giornalista ha un duplice dovere: egli è tenuto a rendere note “la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta” delle notizie ed è pure tenuto a evitare “artifici e pressioni indebite”.

La prima condizione recede a fronte della possibilità accordata al giornalista di non rendere nota la finalità della raccolta dei dati personali quando “ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”; il che postula l’apprezzamento della esistenza di un nesso che integra la questione di fatto, rimessa come tale al giudice del merito.

Non recede invece la seconda, nel senso che in ogni caso la funzione informativa non può essere invocata dinanzi ad artifici irrispettosi della dignità della persona. E a tal proposito è innegabile la differenza che corre tra il mero fatto di celare la propria identità e l’uso di metodi artificiosi come lo spacciarsi per un soggetto determinato, in grado di condurre l’interlocutore a manifestare opinioni personali o apprezzamenti indicativi del proprio orientamento politico che altrimenti non avrebbe fatto.

La valutazione del tribunale va dunque esente da censure.

E’ da evidenziare che il rilievo della ricorrente circa la mancanza della motivazione (art. 132 c.p.c.) non possiede il minimo fondamento, essendo la motivazione della sentenza ben espressa a sostegno della conclusione riferita, e che l’asserto relativo all’omesso esame di fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 5) è inammissibile, poichè si risolve in un mero (e vano) tentativo di sovvertimento della valutazione in fatto.

XI. – Il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida, quanto a B., in 8.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima misura di legge, e, quanto al Garante, in 6.000,00 Euro oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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