Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29581 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17505/2018 proposto da:

K.D., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Lotti

Mario giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 17/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 2085/2018 depositato il 17-5-2018 e comunicato nella stessa data a mezzo pec il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di K.D., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per la condizione di grave indigenza in cui versava, anche con la sua famiglia, nel Paese di origine. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale e politico-economica del Gambia, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza, nonchè ritenuto irrilevante, perchè molto breve (venti giorni), il periodo di permanenza del richiedente in Libia, da considerarsi Paese di mero transito.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 convenzione di Ginevra del 1951 come modificata dal Protocollo di New York, ratificato con L. n. 95 del 1970, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 17, con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 – art. 360 c.p.c., n. 3”. Ad avviso del ricorrente ricorrono i presupposti affinchè allo stesso sia riconosciuto lo status di rifugiato, con riferimento al periodo trascorso in Libia, ove adduce di essersi trasferito per avere una vita migliore e sicura. Le persecuzioni subite in Libia sono riconducibili alla provenienza geografica ed etnica del ricorrente, il quale assume, pertanto, che sussistano le violazioni di legge denunciate in rubrica.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. n. 31676/2018 e n. 29875/2018).

2.2. Nel caso di specie il Tribunale, dopo aver rilevato che il richiedente si era trattenuto in Libia solo per venti giorni, ha accertato, con apprezzamento di fatto incensurabile, il mancato effettivo radicamento del richiedente nel Paese di transito. Nè il ricorrente allega di aver subito violenze in Libia, per quanto di eventuale rilevanza, peraltro, ai soli fini del riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. n. 13096/2019), ma si limita a rimarcare di aver dichiarato in sede di audizione che “i libici sono razzisti, uccidono gli “africani”, i neri come vogliono”. Non ricorre, pertanto, il vizio di violazione di legge denunciato, poichè non rileva la situazione del Paese di transito, ma solo quella del Paese di origine, in base ai principi di diritto suesposti, avendo il Giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile, escluso la connessione tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda.

3. Con il secondo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, omessa valutazione della situazione generale presente nel Paese di origine del richiedente e della sussistenza del rischio del grave danno nella forma della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno – art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 5”. Deduce il ricorrente di essersi allontanato dal Gambia senza autorizzazione dell’autorità e pertanto, in caso di rientro in detto Paese, potrà essere accusato del reato di irreperibilità alle autorità, incarcerato e sottoposto a torture e trattamenti inumani, considerata la situazione del sistema giudiziario e carcerario del Gambia, come descritta nelle sentenze di merito che richiama. Lamenta, sotto tale profilo, anche l’omesso esame circa il fatto decisivo consistente nel pericolo di subire detenzione e trattamenti disumani. Censura inoltre la valutazione effettuata dal Tribunale circa l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata in conflitto armato interno, richiamando i report delle organizzazioni internazionali come da documenti prodotti.

4. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

4.1. Quanto al rischio di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), nel ricorso è prospettato il pericolo di detenzione per il reato di irreperibilità alle autorità, ma nel decreto impugnato non è dato rinvenire alcun accenno a tale allegazione. Non avendo il ricorrente indicato quando, come e dove abbia allegato il suddetto fatto nel corso del giudizio di primo grado, la censura di cui trattasi difetta di autosufficienza ed è pertanto inammissibile.

4.2. Quanto alla situazione generale del Paese rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018; Cass. S.U. n. 8053/2014).

Nel caso di specie non ricorrono il vizio di violazione di legge e quello motivazionale denunciati, avendo il Tribunale, con apprezzamento di fatto insindacabile e con motivazione adeguata, escluso, in base agli accertamenti istruttori sulla condizione generale del Paese, quella situazione, descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza (pag. 5 e 6 decreto). Ne consegue l’infondatezza della censura di cui trattasi.

5. Con il terzo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 – omesso e/o comunque erroneo giudizio comparativo effettivo tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine e il livello di integrazione raggiunto in Italia – mancato assolvimento obbligo cooperazione istruttoria – art. 360 c.p.c., n. 3”. In relazione alla reiezione della richiesta di protezione umanitaria, denuncia il vizio di violazione di legge, non avendo il Tribunale ravvisato lo specifico rischio di vulnerabilità del richiedente, nonostante la sua giovane età (19 anni quando lasciò il suo Paese), la gravissima condizione di indigenza in cui si trovava nel Paese di origine, l’esistenza di una situazione di instabilità ed insicurezza del Gambia e il livello di integrazione sociale e lavorativa raggiunto in Italia, come assume di aver documentato. Deduce che il Tribunale ha erroneamente effettuato il giudizio comparativo, in violazione dei principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018.

6. Il motivo è inammissibile.

6.1. In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

6.2. Nella fattispecie in esame il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità con idonea motivazione, valutando le allegazioni dello stesso e le informazioni sul Paese di origine. Le doglianze sono formulate genericamente, senza indicare alcun profilo di vulnerabilità specifico, nè sono state specificatamente censurate le argomentazioni di cui al decreto impugnato, secondo cui la vulnerabilità è stata, motivatamente, esclusa sotto ogni profilo e il quadro socio-politico del Gambia è radicalmente mutato in senso favorevole.

In base alla giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dal ricorrente (Cass. n. 4455/2018), l’accertata assenza di vulnerabilità rende recessivo il fattore costituito dal percorso di integrazione, peraltro del tutto genericamente allegato, con mero rinvio a documenti di contenuto non specificato.

Le doglianze si risolvono, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dal giudice di merito.

7. Alla stregua delle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono il ricorso deve essere rigettato, nulla disponendosi sulle spese del presente giudizio, atteso che il Ministero è rimasto intimato.

8. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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