Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29580 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24328-2009 proposto da:

SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE SICULI JANUA ARL (già LA TERZA ETA’

soc. coop. arl), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELL’ELETTRONICA 20, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE PIERO SIVIGLIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato SAMMARTINO SALVATORE, giusta 2421 delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 22690/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 09/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SAMMARTINO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FIMIANI Pasquale che ha concluso per il rigetto ricorso del

Ministero, accoglimento ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 22690, depositata il 9.9.2008, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nei confronti della Società Cooperativa Sociale Siculi Janua (già Soc. Coop. La Terza Età), e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso della contribuente avverso l’avviso di rettifica IVA, per l’ammontare di L. 141.288.000, relativo all’anno 1992.

La Cooperativa ricorre per la revocazione di tale sentenza, in base a quattro motivi, ai quali resiste l’Agenzia delle Entrate, con controricorso. Depositata la relazione ex art. 380 bis c.p.c., la Corte, all’adunanza del 14.12.2010, ha rinviato la causa alla pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente, il cui oggetto sociale è relativo alla costruzione ed alla gestione di una casa di riposo, riferisce che: a) in data 5.3.1993, aveva presentato la dichiarazione annuale IVA per il 1992, evidenziando un credito d’imposta di L. 141.288.000, del quale aveva chiesto il rimborso per la somma di L. 141.097.000, ed il computo in detrazione del residuo, per l’anno successivo; b) aveva avanzato un’istanza di rimborso all’Ufficio IVA del predetto importo di L. 141.097.000, ed aveva, successivamente, impugnato il silenzio rifiuto formatosi su tale istanza; c) il relativo giudizio si era concluso in modo a lei favorevole, nei gradi di merito, con la condanna dell’Ufficio al rimborso del credito d’imposta (CTP Agrigento n. 656/2/97 del 30.6.1997, confermata dalla CTR della Sicilia n. 168/30/00 del 6.11.2000); d) il ricorso per cassazione, proposto dall’Ufficio, era stato rigettato con sentenza di questa Corte n. 11117/08, depositata il 7.5.2008, con la quale era stato accertato che spettava la “detrazione e per conseguenza (a parità delle altre condizioni poste dall’art. 30, comma 3, D.P.R. cit., la cui sussistenza non è contestata) il chiesto rimborso”, sul presupposto che l’indetraibilità era relativa a prestazioni di servizi esenti effettuate nel corso dell’esercizio interessato (che non risultavano compiute) e non a quelle possibili o ipotizzabili per l’anno futuro;

e) nelle more di quel giudizio d’appello, l’Ufficio IVA aveva provveduto a notificare il 12.3.1998; la rettifica della dichiarazione annuale IVA del 1992, negando sia la spettanza dell’intera detrazione che il diritto al rimborso della somma di L. 141.097.000; f) l’impugnazione da lei proposta avverso tale rettifica, che la aveva vista vittoriosa nei due gradi di merito, si era conclusa in senso negativo con la sentenza di questa Corte n. 22690 depositata il 9.9.2008, che aveva cassato la sentenza della CTR e, decidendo nel merito, rigettato il ricorso da lei proposto, sul rilievo che l’inerenza dell’attività all’oggetto dell’impresa non era sufficiente per attribuire il diritto alla detrazione dovuta o assolta a monte per acquisiti di beni e servizi per il successivo compimento di operazioni esenti, essendo necessario che dette operazioni fossero, a loro volta, assoggettabili ad IVA. 2. Col primo motivo, la ricorrente invoca l’art. 395 c.p.c., n. 5, deducendo il contrasto della seconda sentenza, che, giudicando nel merito, ha negato il diritto alla detrazione ed al chiesto rimborso, con la precedente pronuncia n. 11117 depositata il 7.5.2008, con cui questa Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, avverso la sentenza di merito che aveva statuito il diritto al rimborso. Col secondo, il terzo ed il quarto motivo, dedotti, in via gradata, ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, la ricorrente lamenta che la Corte è incorsa nell’errore di fatto: 1) nel non rilevare l’esistenza del predetto giudicato esterno, e, dunque, nel non astenersi dall’emettere la sentenza; 2) nell’avere deciso nel merito, quando, invece, erano necessari ulteriori accertamenti di fatto circa la mancata effettuazione di operazioni esenti in epoca successiva agli acquisti dell’anno 1992, avendo dedotto, nei suoi atti difensivi di primo e secondo grado, che le operazioni attive erano imponibili con l’aliquota del 4% e nulla constando al riguardo nella sentenza di secondo grado; 3) nel non aver disposto il giudizio di rinvio, omettendo di considerare gli altri motivi d’impugnazione, non affrontati nelle sentenze di merito, perchè ritenuti assorbiti, ma da lei riproposti in ogni grado.

3. Procedendo all’esame del primo motivo – che va valutato con priorità, secondo la prospettazione della ricorrente, va rilevato che la controricorrente ne ha eccepito l’inammissibilità per non esser stata prodotta la sentenza n. 11117/08 di questa Corte, passata in giudicato, nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata per revocazione. L’eccezione è infondata: il paradigma dell’art. 395 c.p.c., n. 5, secondo il quale “le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione … se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purchè non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”, non solo, non impone l’onere di siffatto deposito per il ricorrente, ed B, fortiori non ne sanziona con l’inammissibilità il mancato rispetto, ma implica, anzi, nella prospettiva di uno sviluppo fisiologico del processo, che l’esistenza del giudicato non sia stata neppure eccepita dalla parte, e che, comunque, su tale questione (peraltro, rilevabile d’ufficio) non vi sia stata alcuna statuizione. Deve, comunque, rilevarsi che l’indicazione della sentenza n. 11117/08, quale quella in relazione alla quale quella qui impugnata avrebbe giudicato in contrasto, è inesatta. Infatti, con la citata pronuncia n. 11117/08, questa Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’Ufficio: su tale sentenza, di mera legittimità, si è bensì formato il giudicato formale, ma non anche quello sostanziale di cui all’art. 2909 c.c., che è ipotizzabile solo in relazione all’oggetto dell’accertamento della situazione giuridica sostanziale racchiuso nelle pronunce di merito (cfr. Cass. SU n. 19867 del 2008), e che, in concreto, si è formato in relazione all’accertamento contenuto nella sentenza di merito della CTR della Sicilia n. 168/30/00 che ha accolto il ricorso della contribuente avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso dell’IVA relativa all’anno 1992; decisione che risulta, comunque, puntualmente richiamata, in seno al ricorso, secondo quanto si è sopra esposto.

4. La controricorrente ha eccepito, inoltre, l’inammissibilità del motivo per la mancata formulazione del quesito di diritto. Anche tale eccezione va rigettata. E’ vero, infatti, che, nella vigenza del regime giuridico anteriore alla L. n. 69 del 2009, qui in rilievo, ed in virtù del richiamo operato dall’art. 391 bis c.p.c., comma 1, trova applicazione l’art. 366 bis c.p.c. – secondo il quale la formulazione del motivo deve risolversi nell’indicazione specifica, chiara e immediatamente intelligibile del fatto sul quale si fonda la richiesta revocazione – sia nel caso in cui il vizio revocatorio abbia ad oggetto l’errore di fatto (Cass. N. 4640 del 2007, 5076 del 2008, SU n. 26022 del 2008), sia quando riguardi una delle altre ipotesi di revocazione di cui all’art. 391 ter c.p.c. (Cass. ord. n. 862 del 2011) dovendosi escludere, invece, la necessità della formulazione del quesito di diritto (Cass. n. 5075 del 2008). Ma, a tale onere non si è sottratta la ricorrente, che, nel primo motivo, ha chiaramente indicato, in modo del tutto comprensibile, le ragioni del contrasto tra i due giudicati.

5. Sennonchè, il motivo di ricorso è da dichiarare inammissibile, sotto un diverso profilo. E’ da chiedersi, infatti, se sia ammissibile la revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5 delle sentenze della cassazione, ed, in particolare, di quelle che, in conformità col modulo di cui all’art. 384 c.p.c., abbiano cassato e giudicato nel merito, per la ritenuta insussistenza della necessità di acquisire ulteriori accertamenti di fatto. A tale quesito, va data risposta negativa, in quanto non esiste alcuna disposizione di legge che legittimi siffatta statuizione. Va premesso che l’originario divieto di revocazione nei confronti delle sentenze emesse dalla cassazione è stato superato (a seguito delle sentenze della Corte Cost. n. 17 del 1986 e n. 36 del 1991) dall’art. 391 bis c.p.c. (della L. n. 353 del 1990, art. 67), che ha introdotto la disciplina della correzione dell’errore materiale e della revocazione della sentenza per errore di fatto (art. 395 c.p.c., n. 4). Su tale limitato sistema, è intervenuto il D.Lgs. n. 40 del 2006, che, con l’art. 16, ha modificato l’art. 391 bis citato, assoggettando a revocabilità per errore di fatto anche le ordinanze emesse ex art. 375, nn. 4 e 5 (previsione che, in virtù della sentenza additiva della Corte Cost. n. 207 del 2009, è stata estesa all’ordinanza ex art. 375 c.p.c., n. 1), e, con l’art. 17, ha introdotto l’art. 391 ter c.p.c., in base al quale i provvedimenti coi quali la Corte ha deciso la causa nel merito sono impugnabili per revocazione (ed opposizione di terzo) “per i motivi di cui all’art. 395, nn. 1), 2), 3) e 6)”, disposizione che costituisce la puntuale attuazione dell’art. 1, comma 3, lett. a), della Legge Delega n. 80 del 2005, secondo la quale doveva prevedersi l’impugnabilità delle sentenze di merito della Corte di cassazione (oltre che con l’opposizione di terzo) col rimedio della “revocazione straordinaria”, proponibile anche contro sentenze passate in giudicato, che è, appunto, quella contemplata dai motivi 1), 2), 3) e 6) dell’art. 395, poi, in concreto, introdotti. Nonostante il cospicuo ampliamento dell’ambito di operatività del rimedio della revocazione nei confronti delle sentenze della Corte di cassazione, il motivo di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5 non risulta, tuttavia, previsto dal codice di rito. Per tale ragione, questa Corte con la sentenza n. 7998 del 2004 (resa nel regime vigente prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 40 del 2006, ma in parte qua immutato), ha dichiarato inammissibile il ricorso che deduceva detto vizio revocatorio avverso una sentenza che aveva deciso nel merito, ex art. 384 c.p.c., conclusione che è stata condivisa dall’ordinanza n. 9027 del 2005, con cui la Cassazione ha, però, ritenuto non manifestamente infondata, in relazione all’art. 24 Cost., comma 2, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 391 bis c.p.c. nella parte in cui non prevede la revocazione per il motivo di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5 delle sentenze rese ai sensi dell’art. 384 c.p.c.. A seguito della declaratoria di manifesta inammissibilità della questione (Corte Cost. ord. n. 77 del 2006) per omessa motivazione della rilevanza, con sentenza n. 18234 del 2006, resa nell’ambito della medesima controversia, ed espressamente invocata dalla ricorrente a fondamento del proposto motivo, la Corte (pur dichiarando inammissibile l’impugnazione per difetto di interesse, in applicazione del principio per cui, in ipotesi di contrasto di giudicati, prevale il secondo, che, in quel caso, era più favorevole al ricorrente rispetto al primo) ha, invece, ritenuto proponibile l’impugnazione ordinaria per revocazione delle pronunce di merito ex art. 384 c.p.c. della Corte di cassazione per contrasto con il precedente giudicato, osservando che tali sentenze – di natura analoga a quelle d’appello o in unico grado – non potevano esser regolate diversamente per il solo fatto, occasionale, di provenire da giudici di legittimità ed essere emesse contestualmente alla pronuncia di cassazione, invece che intervenire successivamente e in sede di rinvio, per non essere necessari altri accertamenti di fatto; aggiungendo che un’espressa previsione in tal senso non era necessaria in rapporto a tali pronunce. Con sentenza n. 10867 del 2008, le SU della Corte, chiamate a comporre il contrasto, hanno evidenziato che “la diversità delle argomentazioni utilizzate dalla sentenza n. 7998/2004 (condivise anche dall’ordinanza n. 9027/2005) e dalla sentenza n. 18234/2006, a parte che non appaiono idonee a configurare un vero e proprio contrasto, essendo nel primo caso corrispondenti al decisum mentre nel secondo costituiscono un obiter dictum, non rileva ai fini della decisione del presente giudizio che ha ad oggetto un’impugnazione per revocazione di sentenza di mera legittimità”, ed, in relazione a queste ultime, hanno escluso la proponibilità della revocazione per contrasto tra giudicati, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, considerando, tra l’altro, che tale ipotesi non è espressamente contemplata dalla legge.

6. L’argomento letterale, considerato dalle Sezioni Unite in tale sentenza, appare al Collegio insormontabile, anche, con riferimento alla sentenza sostitutiva della pronuncia di merito, qui in rilievo:

il motivo di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5 non è, infatti, previsto nè dall’art. 391 bis, che disciplina l’altro motivo di revocazione cd. ordinaria, nè dall’art. 391 ter c.p.c., relativo alle ipotesi di revocazione delle sentenze in cui la Corte, accogliendo il ricorso, abbia deciso la causa nel merito. Inoltre, l’ammissibilità della revocazione per contrasto con precedente giudicato implicherebbe una deroga, anch’essa non prevista dal legislatore, al principio secondo cui le sentenze della Corte di cassazione passano in giudicato per effetto della loro pubblicazione, tenuto conto che i termini di sessanta giorni dalla sua notificazione o di un anno dalla sua pubblicazione sono testualmente riferiti, dall’art. 391 bis c.p.c., alle sole ipotesi in cui la sentenza della Corte sia affetta da errori materiali o di calcolo o dall’errore revocatorio, di cui all’art. 355 c.p.c., n. 4 (l’art. 391 ter c.p.c. non contiene termini di sorta, in ragione della natura straordinaria di tale tipo di impugnazione). Del resto, la sostanziale identità, rilevata da Cass. n. 18234/2006, tra la sentenza di cassazione sostitutiva della pronuncia di merito e la sentenza emessa all’esito del giudizio di rinvio non tiene conto del fatto, già posto in evidenza da Cass. n. 7998/2004, che la sentenza sostitutiva ex art. 384 c.p.c. può esser emessa, solo, quando la controversia debba esser decisa in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell’errato – e perciò cassato – giudizio di diritto, laddove al giudice del rinvio sono demandati accertamenti che si configurano come “ulteriori” rispetto alle statuizioni cassate (cfr. Cass. n. 17221 del 2002; n. 4063 del 2004; n. 18928 del 2006; 5884 del 2011), e che costituiscono il tratto saliente che contraddistingue proprio quel giudizio. Il conflitto tra diverse regulae juris, data dalla presenza di due distinti giudicati sullo stesso oggetto, si compone, poi, con la prevalenza del secondo sul primo, in base all’art. 15 preleggi, che va applicato al giudicato, in quanto partecipa della natura dei comandi giuridici (cfr. Corte Cost. ord. n. 77 del 2006, Cass. n. 18234 del 2006 cit; n. 6406 del 1999; n. 2082 del 1998; n. 997 e 833 del 1993).

7. La mancata previsione del rimedio della revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, non appare, infine, in contrasto con principi o norme costituzionali: non col principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., in quanto, come si è sopra esposto e come condivisibilmente affermato da Cass. n. 7998 del 2004, non sussiste “identità, o analogia, tra le posizioni del giudice di merito in sede di rinvio e della corte di cassazione in sede di decisione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2”; non col diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., giacchè l’esclusione del rimedio anzidetto attiene ad i limiti ed alle condizioni di operatività del giudicato, che sono affidati alla valutazione discrezionale del legislatore ordinario, al quale non rimane certamente estranea l’esigenza, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., comma 2, di evitare che l’attività di giudizio si protragga all’infinito (Cass. SU. n. 10867 del 2008, cit., con riferimento alle sentenze di mera legittimità); tenuto conto che, come già osservato da Corte Cost. n. 305 del 2001, un’eventuale difforme interpretazione della norma richiederebbe al giudice delle leggi un’estensione delle ipotesi di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, che è riservata alla discrezionalità del legislatore (Cass. ord. n. 862 del 2011, in tema di mancata previsione della revocazione ex art. 391- ter c.p.c., in relazione alle sentenze di mera legittimità della Corte di cassazione).

8. I motivi secondo, terzo e quarto, che possono esaminarsi congiuntamente sono, anch’essi, inammissibili. Anzitutto, secondo quanto ha eccepito la controricorrente, gli stessi non rispettano il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., che, come si è esposto al punto 4, si applica anche al ricorso per revocazione. Trattandosi di far rilevare errori di fatto in cui la Corte sarebbe incorsa, la formulazione dei motivi avrebbe dovuto risolversi nella chiara indicazione riassuntiva sia del fatto oggetto del dedotto errore sia delle ragioni per cui l’errore presenterebbe i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c., indicazione che, nella specie, non risulta, affatto, enunciata. Inoltre, per quanto riguarda il secondo motivo, col quale si deduce che “l’omesso rilievo del giudicato costituisce errore di fatto”, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU n. 23242 del 2005 e n. 21639 del 2004, Cass. n. 17443 del 2008), il giudicato, sia esso interno od esterno, costituendo la regola del caso concreto, partecipa della qualità dei comandi giuridici, sicchè “l’erronea presupposizione della sua inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regola juris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, inidoneo, come tale, a integrare gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 395 c.p.c., n. 4”. Coi motivi terzo e quarto, la ricorrente, senza neppure far rilevare i punti di asserito contrasto fra le diverse rappresentazioni dello stesso fatto – una emergente dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali – si limita a denunciare supposti errori di valutazione in cui sarebbe incorsa la sentenza nel ritenere non necessari ulteriori accertamenti di fatto e nel non considerare l’esistenza di altri motivi d’impugnazione dell’atto impositivo asseritamente riproposti in ogni grado, ma “per ultimo, dalle controdeduzioni presentate dalla cooperativa per il giudizio d’appello” (cosi a pag. 19 ricorso);

errori che esulano dall’ambito del motivo revocatorio, che presuppone, invero, che la valutazione del giudice sia inficiata da una distorta percezione, risultante in modo incontrovertibile dalla realtà del processo (beninteso di cassazione: l’errore deve riguardare gli atti interni di tale giudizio, quelli cioè che la Corte esamina direttamente con una propria ed autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, cfr. Cass. n. 17110/2010), di un fatto, che, ove esattamente inteso, avrebbe determinato una diversa valutazione, sempre che dalla stessa decisione non risulti che quello stesso fatto – denunciato come erroneamente percepito – sia stato oggetto di giudizio.

9. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. La Corte ravvisa giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio, in considerazione delle diverse soluzioni date dalla giurisprudenza riguardo all’ammissibilità della revocazione per contrasto con precedente giudicato, in ipotesi di sentenze sostitutive ex art. 384 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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