Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2958 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. III, 07/02/2011, (ud. 10/01/2011, dep. 07/02/2011), n.2958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 171, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE NARDELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati MASTRANGELO

PIETRO, ARNESE AURELIO con studio in 74016 MASSAFRA (TA) VIA S.

LEONARDO 30, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TORO ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona

dell’amministratore delegato e Presidente, legale rappresentante

Dott. D.P.L. elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARLO

FELICE 103, presso 10 studio dell’avvocato BERCHICCI GIANCARLO, che

la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

RAS RIUNIONE ADRIATICA SOCIETA’ S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 369/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, emessa il 17/10/2007, depositata il

26/11/2007, R.G.N. 455/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato PIETRO MASTRANGELO;

udito l’Avvocato AURELIO ARNESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia ha ad oggetto la richiesta di condanna al risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale, proposta dalle compagnie assicuratrici (che avevano risarcito il committente) nei confronti di C.G., a seguito del furto di una pala meccanica detenuta per manutenzione nell’officina del medesimo.

Il Tribunale adito ha accolto la domanda delle compagnie. La Corte di Appello ha respinto l’appello del C. e ne ha confermato la responsabilità, osservando che era pacifico che non fosse assicurato contro il furto e che la pala gli era stata consegnata per una riparazione abbastanza semplice (cambio olio e filtro); l’officina era protetta da una saracinesca e le foto prodotte dalle assicurazioni rappresentavano una situazione di ridotta protezione, visto che in essa venivano depositati mezzi altrui anche di rilevante valore. La prova testimoniale, espletata attraverso testi lavoranti nell’officina, aveva confermato che, eseguita la manutenzione, venne avvisato il P. dell’ultimazione dei lavori; non gli fu detto però che l’officina non era provvista di antifurto o di particolari sistemi di protezione contro il furto (il P. non aveva potuto ritirare la pala per fatti sopravvenuti). In diritto, era pacifico che il contratto per la riparazione di un autoveicolo comprende anche l’obbligazione relativa alla custodia dello stesso, sicchè il riparatore, ex art. 1780 c.c. per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenuto a fornire la prova che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile. Nella specie, non s’era raggiunta la prova dell’imprevedibilità ed inevitabilità della perdita della cosa, prova che incombeva al C., essendo emersa anzi la prova positiva della mancanza di diligenza, del medesimo.

Propone ricorso per cassazione il C. sulla base di otto motivi; resiste con controricorso la Toro Assicurazioni.

Col primo motivo, il ricorrente denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1766, 1768 e 1780 c.c. chiede alla Corte se le predette norme siano applicabili o meno e se la sentenza meriti di essere annullata, posto che il veicolo è stato affidato al C. per il cambio dell’olio e del filtro, con l’intesa che il bene doveva essere sottoposto a manutenzione e ritirato nel pomeriggio e che il veicolo stesso era stato sottratto da ignoti dopo la chiusura dell’officina ove – ormai completata la manutenzione – era stato ricoverato, non avendo il committente provveduto a ritirarlo. Questa censura può essere trattate unitamente a quelle formulate con il quinto, il sesto ed il settimo motivo, essendo tutte rivolte a contestare i presupposti della responsabilità del depositario.

Infatti, col quinto motivo sotto il profilo della violazione dell’art. 1780 c.c., il ricorrente chiede di verificare se la prova liberatoria dell’imprevedibilità ed inevitabilità della sottrazione del bene e quella della diligenza del custode potesse darsi anche dimostrando la stipula di un’assicurazione contro il rischio del furto sui beni affidati in custodia per manutenzione o riparazione.

Col sesto motivo, chiede verificarsi se l’affermazione della responsabilità contrattuale del ricorrente possa ritenersi giustificata .e motivata sulla base degli elementi di fatto sopra riferiti: mancata assicurazione del furto; semplicità della commessa; protezione troppo ridotta dell’officina; mancato avviso di particolari sistemi di sicurezza. Col settimo motivo, deducendo violazione degli artt. 1177 e 17 68 c.c., il ricorrente si duole che la Corte, posto che il deposito si presume gratuito e che la sentenza non fa menzione di una custodia onerosa lo abbia condannato a risarcire tutti i danni patiti ex adverso, anzichè valutarne la responsabilità con minor rigore.

Sebbene articolati, ad eccezione del sesto, sotto forma di censure per violazione di legge, i mezzi tendono ad un’inammissibile rivalutazione del merito della causa, circa la ricorrenza dei presupposti per la responsabilità del depositario; nè i quesiti (e, quanto al sesto motivo, il momento di sintesi) sono idonei, perchè si limitano a chiedere alla Corte se le disposizioni di cui si lamenta la violazione siano, o meno, applicabili al caso di specie e debbano essere lette, o meno, nel senso auspicato dal ricorrente.

La motivazione resa sui punti dalla Corte d’Appello è immune da vizi logici e giuridici ed è in armonia con consolidati principi espressi da questa S.C.. Infatti, che il contratto di prestazione d’opera contiene in sè, quando sia consegnata una qualunque cosa per la riparazione, le obbligazioni di custodia e di riconsegna, proprie del contratto di deposito, con il conseguente dovere della diligenza del buon padre di famiglia nella custodia della cosa affidata (Cass. 4557/96, secondo cui, in caso di consegna di una roulotte per l’esecuzione di alcuni lavori, non è necessario provare l’assunzione di uno specifico obbligo di custodia da parte del prestatore d’opera, costituendo tale obbligo un accessorio del contratto di prestazione d’opera).

Inoltre, va riaffermato che colui che prenda in consegna la cosa per ripararla e, malgrado il compimento dell’opera, continui a tenerla nella sua sfera di controllo è responsabile contrattualmente della sua sottrazione (Cass. n. 10956/10; 10986/96); nè assume rilievo che il proprietario abbia tardato a ritirare la cosa della quale risponde il prestatore d’opera fino a quando rimane nella custodia del titolare dell’officina (Cass. n. 5955/84).

Me deriva che la sentenza ha congruamente ricostruito la fattispecie ed apprezzato le risultanze di fatto, dovendosi ribadire che l’art. 1780 c.c. trova integrale applicazione anche quando l’obbligazione della custodia e della riconsegna sia necessariamente compresa nel contenuto del contratto diverso dal deposito (come, nella specie, il contratto d’opera) o formi parte di un contratto misto nel quale confluiscano le cause del deposito e di altro contratto. In caso di sottrazione della cosa depositata, pertanto, il depositario, per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenuto a fornire la prova che 1 ‘ inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile (Cass. n. 13359/04). Il relativo accertamento costituisce questione di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, ove la motivazione, come nella specie, sia immune da vizi logici e giuridici.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 1375 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente, poste le circostanze di fatto descritte nel primo motivo, chiede alla Corte se concreti violazione di detta norma configurare a carico del prestatore d’opera l’obbligo aggiuntivo di dare avviso al committente che l’officina non era provvista di sistemi sicuri di protezione, obbligo non diretto a garantire la correttezza nello svolgimento del rapporto d’opera, ma a prevenire le conseguenze che sarebbero potute derivare a sfavore del committente dalla mancata osservanza di un obbligo essenziale nato dal contratto d’opera a carico del committente.

Col terzo motivo, il ricorrente, chiede se vi sia stata violazione degli artt. 1218 e 1176 c.c., avendo la Corte affermato che il committente non aveva potuto ritirare la pala nel pomeriggio per fatti sopravvenuti, posto che questi si era obbligato a ritirarla dopo la manutenzione nel pomeriggio stesso ed il ritiro non era avvenuto. La medesima censura viene sostanzialmente formulata sotto il profilo del vizio motivazioziale nel quarto motivo, perchè la Corte, affermando che il P. non avrebbe potuto ritirare la pala per fatti sopravvenuti, avrebbe immotivatamente liberato il committente dalla responsabilità per il mancato ritiro del veicolo mantenuto nel termine concordato.

Questi tre motivi – che possono trattarsi congiuntamente, essendo tutti rivolti avverso la medesima statuizione in tema di responsabilità del depositario – non colgono nel segno. Come il primo, infatti, anche se prospettati, come accade per il secondo ed il quarto, sotto il profilo della violazione di legge, si limitano a proporre un’inammissibile riconsiderazione delle risultanze di fatto, rispetto alle quali vi è congrua e corretta motivazione della Corte di Appello. Come noto, nel formulare la motivazione della sentenza, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, (nel testo “ratione temporis” vigente), che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (Cass. 24542/09; 407/06; 14445/02;

10569/01; 1390/98). Del resto, il controllo sulla logicità del giudizio, riservato a questa S.C., non può risolversi in un’ulteriore valutazione degli elementi sottoposti all’esame del giudice del merito, con apprezzamento dell’eventuale ingiustizia della sentenza impugnata. Altro è l’insufficienza della motivazione, ossia la mancanza di ragioni, altro l’ingiustizia della decisione, ossia la mancanza di buone ragioni. La sentenza di merito è valida purchè il giudice dica quali argomenti lo abbiano guidato a decidere come ha deciso. La bontà della soluzione adottata non può essere sindacata in cassazione sulla base di critiche che attengono alla inadeguatezza della decisione per un diverso apprezzamento delle risultanze di causa. La Corte regolatrice è tenuta soltanto a verificare la sussistenza di “ragioni sufficienti”, posto che all’obbligo formale di motivare si affianca l’obbligo, di esprimere in modo adeguato il proprio convincimento, risolvendo la questione di fatto secondo canoni metodologici indicati nel codice di rito e comunque desumibili dai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. La lunga ed approfondita elaborazione giurisprudenziale ha posto in rilievo che il controllo sulla motivazione non può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso dal giudice a quo, che come tale è incensurabile, ma costituisce lo strumento attraverso il quale si può valutare solamente la legittimità della base di quel convincimento e neppure consente di valutare l’eventuale ingiustizia in fatto della sentenza, ma solo un mero sintomo di ingiustizia; pertanto il vizio riscontrato deve riguardare un punto decisivo, tale, cioè da render possibile una diversa soluzione ove il relativo errore non fosse stato commesso (Cass, n. 11406/00; 1595/00; 326/96; 11154/95 2476/92). Nel caso in esame, il ricorrente contesta la soluzione accolta dalla Corte di Appello, prospettando una sua diversa valutazione delle risultante processuali, in particolare considera atomisticamente le argomentazioni dei giudici di merito ed assume come decisivo il preteso obbligo del depositante di ritirare la cosa appena effettuata la riparazione; mentre tale circostanza, anche ove fosse risultata provata, non è stata ritenuta dai giudici medesimi determinante ai fini dell’inquadramento giuridico della fattispecie.

Con l’ottavo motivo, il ricorrente, lamenta violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, perchè la Corte lo ha condannato senza considerare che il risarcimento non era dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza, sempre posto che oggetto del contratto era una prestazione semplice, che il committente non aveva ritirato la pala nel pomeriggio come concordato e che se il ritiro fosse avvenuto il danno non si sarebbe prodotto.

La censura è priva di pregio: anch’essa, pur prospettata sotto il profilo della violazione di legge, ripropone un’inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali, in particolare cerca di far considerare come cause di ridimensionamento della responsabilità quelle che negli altri motivi sono state prospettate come esimenti.

E’ noto, invece, che, in tema di risarcimento del danno, l’art. 1227 c.c., comma 1, attiene all’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, mentre il secondo comma ha riguardo a situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione dell’evento ma abbia omesso, dopo la relativa verificazione, di fare uso della normale diligenza per circoscriverne l’incidenza; l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della suindicata disciplina integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità se assistita – come nella specie – da motivazione congrua e corretta sotto il profilo logico e giuridico.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.800,00= di cui Euro 1.600,00= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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