Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29577 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 29/12/2011), n.29577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15780-2007 proposto da:

FALLIMENTO FRAP RUBINETTERIE SRL in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CLITUNNO 51, presso lo studio

dell’avvocato ONGARO FRANCO, che lo rappresenta e difende, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO BORGOMANERO in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 15/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 04/04/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ONGARO, che si riporta agli

scritti difensivi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 4.4.2006 n. 15 la CTR della regione Piemonte sez. 6 Torino, in riforma della decisione di prime cure, annullava parzialmente l’avviso emesso dall’Ufficio di Borgomanero della Agenzia delle Entrate nei confronti di Fallimento FRAP Rubinetterie s.r.l., con il quale venivano accertatati maggiori tributi IVA (Euro 158.644,20), IRPEG (Euro 383.057,11) ed IRAP (Euro 44.081,15), oltre sanzioni ed interessi, dovuti per l’anno 2000.

La CTR piemontese rilevava la infondatezza delle censure mosse all’avviso di accertamento dal contribuente con il ricorso introduttivo in primo grado (e relative alla omessa rilevazione, ai fini della esatta corrispondenza tra dati contabili e materiale riscontrato in giacenza, di n 89.786 “vitoni” occultati dietro uno scaffale; alla mancata considerazione della interscambiabilità di “vitoni e miscelatori” ai fini della realizzazione di prodotti finiti, con conseguenti inesattezze della quantificazione delle giacenze rilevate rispetto ai dati contabili; al mancato riconoscimento di vendite dirette a favore di clienti di materiali sfusi non considerabili prodotti finiti; alla applicazione di illegittime doppie presunzioni) ad eccezione di quella concernente la misura percentuale dei cali di “cartucce” (materiali utilizzati per il prodotto finito) dovuti a causa di imperfezioni o rotture nel corso della lavorazione che riduceva al 2% rispetto al 5% calcolato dall’Ufficio.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento della società deducendo quattro motivi recanti plurime censure.

Ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni pregiudiziali e preliminari.

1.1 Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR della regione Piemonte introdotto dal introdotto dall’Ufficio di Borgomanero della Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

1.2 La eccezione di inammissibilità proposta dalla resistente per decadenza del termine previsto per la notifica del ricorso per cassazione dal D.Lgs n. 546 del 1992, art. 38, comma 3 e art. 51, comma 1 che rinviano all’art. 327 c.p.c., è infondata.

La sentenza è stata pubblicata il 4.4.2006 e dunque il termine “lungo” di impugnazione veniva a scadere il 20.5.2007.

Il ricorso è stato consegnato all’Ufficiale giudiziario, per la notifica da eseguire ai sensi dell’art. 149 c.p.c., in data 21.5.2007, ultimo giorno utile, prorogato ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4 essendo il termine di scadenza 20 maggio del 2007 giorno festivo.

2. Il Fallimento ricorrente ha investito la sentenza di appello con le seguenti censure:

1^- violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41 bis avendo la PA emesso l’avviso all’esito del procedimento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis inapplicabile nel caso di specie;

2^- violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 non essendo stato allegato il verbale di ispezione richiamato nell’avviso di accertamento notificato;

3^- violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, art. 10, commi 1, 2 e 3 e degli artt. 97 e 101 Cost. non avendo l’Ufficio finanziario riscontrato le note difensive depositate dal contribuente in seguito alla notifica del verbale ispettivo, e non avendo l’Ufficio “fatto seguire al verbale di contestazione della GdF un proprio verbale di contestazione con il quale, senza recepire apoditticamente i rilievi formulati avrebbe dovuto procedere ad una analisi dei fatti in contraddittorio con il contribuente”;

4^- omesse, insufficienti contraddittorie motivazioni in ordine a fatti controversi e decisivi (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), essendo fondato il verbale ispettivo: su prove inconcludenti e prive di riscontro; su illegittime prove presuntive non essendo applicabili alla fattispecie (almeno così sembra comprendersi) del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, artt. 1 e 3; sulla indebita quantificazione delle cessioni di prodotti in base al mancato rinvenimento in magazzino di alcuni componenti (vitoni e cartucce); sulla contestata applicazione del criterio determinativo dei prezzi fondato sul valore medio del prodotto finito e sul metodo della media aritmetica anzichè della media ponderata peraltro senza applicazione dei consueti sconti praticati alla clientela; sulla omessa indicazione del criterio di calcolo del prezzo unitario applicato per la determinazione del valore dei beni oggetto di presunzione di acquisto.

2.1 I motivi di ricorso sono inammissibili.

L’onere di formulazione nel ricorso per cassazione del “quesito di diritto”, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. a pena di inammissibilità (norma successivamente abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47), è stato introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, art. 6, n. 40 con riferimento ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (2.3.2006): la norma trova pertanto applicazione al presente giudizio, essendo stata pubblicata la sentenza di appello in data 4.4.2006.

Il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo, sia perchè risolventesi in una tautologia o in un interrogativo circolare, sia perchè insufficiente a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (cfr. Corte cass. SU 30.10.2008 n. 26020; id. SU 2.12.2008 n. 28536; id. sez. lav. 25.3.2009 n. 7197 id. 3 sez. 25.5.2010 n. 12712) Nella specie il ricorrente:

– quanto al primo motivo ha omesso del tutto di individuare la fattispecie concreta, limitandosi alla affermazione di un truismo sostenendo che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e l’art. 41 bis contemplano fattispecie normative diverse: il motivo si palesa quindi inammissibile per inadeguatezza del quesito in quanto formulato in modo del tutto generico (cfr. Corte cass. SU 28.9.2007 n. 20360);

– quanto al secondo motivo il quesito è formulato in modo meramente ripetitivo dell’enunciato normativo, dovendo darsi pertanto seguito al principio secondo cui “con riferimento al quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., lo stesso è inadeguato, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi di ricorso, quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere quali rilevanza ai fin della decisione del corrispondete motivo, mentre la norma impone la ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie” (Corte cass SU 9.7.2008 n. 18759);

il terzo motivo si conclude con un quesito (“La mancata formale contestazione da parte dell’Ufficio dei rilievi contenuti nel verbale della GdF rende nullo l’accertamento”) che, da un lato, appare riduttivo rispetto alla censura come invece sviluppata nella parte espositiva ed argomentativa; dall’altro risulta scarsamente comprensibile in quanto i rilievi formulati dalla Guardia di Finanza nel verbale di ispezione, notificato alla società il 20.12.2000, sono stati ritualmente contestati al contribuente mediante la notifica dell’avviso di accertamento il quarto motivo non è corredato della “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione di assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per la quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione” (art. 366 bis c.p.c., seconda parte: cfr. Corte cass. SU 1.10.2007 n. 20603, id. 3 sez. 7.4.2008 n. 8897 secondo cui tale indicazione deve concretare un “momento di sintesi” che costituisce un “quid pluris” distinto dalla esposizione del motivo), essendosi limitato il ricorrente alla affermazione dell’enunciato assolutamente generico e privo di ogni aggancio con la fattispecie controversa, secondo cui nel processo tributario non possono essere acquisiti elementi probatori diversi da quelli documentali, nè è possibile l’utilizzo della prova presuntiva. Ne consegue che il quesito è inammissibile alla stregua del principio per cui “allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorsola anche formulando al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso” (cfr. Corte cass. SU 14.10.2008 n. 25117).

2.2 I motivi, peraltro, sono ulteriormente inammissibili, per difetto del requisito di specificità e completezza nonchè per mancanza di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., o sono comunque da ritenersi infondati.

Il primo ed il secondo motivo vanno incontro ad inammissibilità, per difetto di autosufficienza, in quanto sottopongono all’esame del Giudice di legittimità questione nuove non esaminate dai giudici di merito: dalla sentenza impugnata non risulta, infatti, che il contribuente abbia formulato le relative eccezioni di nullità dell’avviso con il ricorso introduttivo, nè – ove l’avesse proposte – che abbia “riproposto” tali questioni ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 e art. 346 c.p.c..

Qualora, infatti, una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto – come nella specie l’esame del documento costituito dall’avviso di accertamento notificato al contribuente – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della cesura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare ex actis a veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (giurisprudenza consolidata: cfr. Corte cass. 5 sez. 2.4.2004 n. 6542; id. 3 sez. 10.5.2005 n. 9765; id. 3 sez. 12.7.2005 n. 14599;

id. sez. lav. 11.1.2006 n. 230; id. Ili sez. 20.10.2006 n. 22540; id.

3 sez. 27.5.2010 n. 12912);

Il terzo motivo è privo di specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) avuto riguardo alla genericità delle contestazioni di inattendibilità, mosse con le note difensive, ai risultati compendiati nel verbale ispettivo della Guardia di Finanza, e non risultando, peraltro, neppure individuati i punti critici della sentenza di appello che si intendono censurare. Il motivo è altresì infondato in relazione alla asserita nullità dell’avviso di accertamento per avere la PA “recepito acriticamente” i risultati della indagini svolte dalla Guardia di Finanza, tenuto conto della oggetti va distinzione delle competenze amministrative attribuite rispettivamente, alla Polizia giudiziaria ed agli Uffici finanziari, e della autonomia valutativa dei risultati della indagini di PG riservata a questi ultimi, sicchè anche la mera recezione di tali risultati, ai fini della affermazione della pretesa tributaria nei confronti del contribuente, implica, comunque, un esercizio di attività intellettiva e volitiva dell’Ufficio finanziario – consistente in una manifestazione di volontà adesiva alle conclusioni prospettate dai verbalizzanti in relazione ad aspetti valutativi dei fatti rilevati – esternata con la emissione dell’avviso di accertamento. Peraltro la struttura procedimentale che caratterizza l’attività degli Uffici finanziari in quanto PP.AA., impone la specifica distribuzione delle competenze tra gli uffici ed organi che intervengono nel procedimento, con la conseguenza che appare del tutto fisiologico che l’Ufficio al quale compete l’adozione del provvedimento finale (e che quindi interviene nella fase decisoria del procedimento) eserciti le proprie competenze in base agli elementi – necessari alla corretta valutazione del fine di pubblico interesse-acquisiti da altri organi ed uffici che, nell’ambito della loro autonoma competenza, intervengono nelle fasi preparatorie ed istruttorie del medesimo procedimento (cfr. Corte cass. 5 sez. 26.6.2003 n. 10205; id. 5 sez. 28.11.2005 n. 25146; id.

5 sez. 11.4.2011 n. 8183 secondo cui “L’avviso di rettifica da parie della dichiarazione IVA, che abbia operato il semplice richiamo agli elementi risultanti dai verbali della polizia tributaria, non può ritenersi privo della necessaria autonoma valutazione di tali elementi da parte dell’Ufficio, dovendosi piuttosto ritenere implicitamente condivisa la valutazione di rilevanza espressa nei verbali richiamati”. Vedi: Corte cass. 5 sez. 23.1.2006 n. 1236 secondo cui “L’atto amministrativo finale di imposizione tributaria, il quale sia il risultato dell’esercizio di un potere frazionato anche in poteri istruitovi attribuiti, in proprio o per delega, ad altri uffici amministrativi, è legittimamente adottato quando, munendosi di un’adeguata motivazione, faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali: tale principio è desumibile sia dalle norme generali sull’attività amministrativa poste dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (applicabili, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario), alla stregua delle quali il titolare dei poteri di decisione non è tenuto a reiterare l’esercizio dei poteri, d’iniziativa e, soprattutto, istruttori, che hanno preparato la sua attività; sia dalle norme tributarie generali di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 12; sia, infine – per quanto concerne in particolare l’IVA – dalle disposizioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 51 e 52 che, nel regolare minuziosamente la fase istruttoria del procedimento di accertamento, prevedono che gli uffici IVA si avvalgano delle prestazioni cognitive di altri organi, di altre amministrazioni dello Stato e della Guardia di finanza” conf. id. 5 sez. 12.3.2008 n. 6591).

Il quarto motivo, che cumula una serie di rilievi in fatto (o sub- motivi) distinti mossi alla motivazione della sentenza, è inammissibile in quanto: generico e carente del requisito di specificità, chiarezza e completezza (sub A); privo della indicazione del vizio di insufficienza logica della parte motivazionale interessata e comunque del carattere decisivo della censura (sub B); apodittico e dunque privo di specificità, non essendo in alcun modo esplicata la ragione della asserita inapplicabilità alla fattispecie delle presunzioni legali di cessione e di acquisto previste da D.P.R. n. 441 del 1997 (sub C);

infondato quanto alla ipotizzata illegittimità della presunzione di cessione di prodotti finiti applicata ai componenti non rivenuti tra le giacenze di magazzino (sub D), avendo dettagliatamente considerato i Giudici di appello la completezza delle procedure di rilevazione dei componenti e dei prodotti finiti seguite dai verbalizzanti e basate sulle movimentazioni di carico e scarico eseguite al momento della ricezione o della stampa del documento di trasporto o della emissione della fattura, tanto con riferimento ai kits (componenti montati), quanto ai componenti sfusi venduti ai clienti, ed ancora con riferimento ai beni consegnati per lavorazioni ai terzi e quindi da questi restituiti per la realizzazione del prodotto finito (cfr.

sentenza sub censure 2 e 4); inammissibile quanto agli altri rilievi, in quanto volto ad introdurre questioni concernenti i criteri di determinazione dei prezzi unitari ed il relativo metodo di calcolo che non risultano essere state discusse ed esaminate nei precedenti gradi di merito, e che non possono pertanto accedere al sindacato di legittimità per novità delle questioni sollevate.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il Fallimento ricorrente condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Fallimento FRAP Rubinetterie s.r.l. nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze;

rigetta il ricorso proposto dal Fallimento FRAP Rubinetterie s.r.l.

nei confronti della Agenzia delle Entrate e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 10.000,00 per onorari oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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