Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29577 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. I, 24/12/2020, (ud. 12/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12238/2016 proposto da:

Supertintoria Arcobaleno S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Mori Piergiovanni, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit Corporate Banking S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1684/2014 del TRIBUNALE di FIRENZE, pubblicata

il 23/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/10/2020 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

1. – Supertintoria Arcobaleno S.r.l. ricorre ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, per tre mezzi, nei confronti di Unicredit Corporate Banking S.p.A., contro la sentenza del 23 maggio 2014 con cui il Tribunale di Firenze ha respinto la sua opposizione avverso il decreto a mezzo del quale lo stesso Tribunale aveva ingiunto alla società il pagamento, in favore della banca, della somma di Euro 304.691,99, con accessori e spese, sentenza contro cui è stato spiegato appello dichiarato inammissibile per mancanza di probabilità di accoglimento.

2. – Unicredit Corporate Banking S.p.A. non spiega difese.

considerato che:

3. – Il primo mezzo denuncia violazione degli artt. 163,164,167 e 645 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto la nullità dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo per violazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4, quantunque detta disposizione non possa in tale frangente trovare applicazione, attesa la natura dell’atto di opposizione di sostanziale comparsa di risposta avverso l’atto introduttivo del giudizio, ossia il ricorso per ingiunzione.

Il secondo mezzo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per illogicità della motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere il giudice di merito fondato la propria decisione sugli estratti di saldaconto prodotti dalla banca, privi di efficacia probatoria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ed altresì per aver escluso la sussistenza di anatocismo sulla base di un dato insignificante, quale la stipulazione del contratto di conto corrente intercorso tra le parti successivamente alla Delib. CICR 9 febbraio 2000.

Il terzo mezzo, erroneamente indicato come quarto a pagina 12 del ricorso, denuncia violazione dell’art. 1418 c.c. e del D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la nullità della commissione di massimo scoperto perchè pattuita nel contratto di conto corrente, trattandosi di clausola comunque nulla.

ritenuto che:

4. – Il ricorso va accolto.

4.1. – Vanno difatti accolti i motivi proposti, meritevoli di essere simultaneamente esaminati, giacchè tutti diretti a dimostrare l’errore commesso dal Tribunale nel respingere l’opposizione a decreto ingiuntivo, quantunque la domanda della banca trovasse fondamento su documentazione priva di efficacia probatoria nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo.

4.2. – Accogliendo l’eccezione spiegata in proposito dalla banca opposta, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo introdotto da Supertintoria Arcobaleno S.r.l., il Tribunale di Firenze ha osservato che “l’atto di citazione contiene censure assolutamente generiche, al limite della nullità dell’atto medesimo per violazione dell’art. 164 c.p.c. (per mancata esposizione dell’oggetto della domanda, c.d. petitum, nonchè dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, c.d. causa petendi), riferendosi l’attrice a non meglio precisate somme che la banca avrebbe illegittimamente trattenuto su suoi conti correnti, a titolo di commissioni non dovute o interessi convenzionali diversi da quelli pattuiti, ma senza però assolutamente precisare a quali commissioni intenda riferirsi, nè quale sarebbe il tasso di interesse indebitamente applicato in luogo di quello pattuito… Ciò premesso, si osserva che i contratti di apertura di conto corrente depositati in atti… chiariscono sia il tasso di interesse a credito che quello a debito e prevedono la commissione di massimo scoperto e ne determinano l’ammontare… A fronte di tale chiare pattuizioni contrattuali non sussiste alcun principio di prova… che possa ingenerare anche solo il legittimo dubbio che la banca non si sia attenuta nello svolgimento del rapporto di conto corrente alla rigorosa applicazione degli interessi, della CMS e delle spese così come esattamente pattuito dalle parti, anche perchè non risulta che la società opponente abbia nel corso del rapporto mai contestato gli estratti conto che la banca periodicamente gli inviava”. Ed ancora: “Quanto alla censura in ordine all’applicazione illegittima di interessi anatocistici, si osserva che essa è palesemente infondata, in quanto entrambi i conti correnti per cui è causa sono stati aperti dalla società opponente successivamente alla modifica dell’art. 120 TUB operata dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25 e alla conseguente Delib. CICR 9 febbraio 2000… Inoltre si osserva che parte attrice opponente cita la Legge Antiusura n. 108 del 1996, per la prima volta solo nella sua terza memoria, sempre a supporto della richiesta di CTU, non avendo tuttavia allegato alcun principio di prova in ordine al possibile superamento del tasso soglia antiusura (anzi, la parte non ha neppure indicato quale sarebbe il tasso asseritamente usurario che sarebbe stato applicato dalla banca, nè il tasso-soglia vigente in quel momento, asseritamente inferiore)”.

4.3. – Ciò detto, non ha bisogno di essere rammentato che l’opponente a decreto ingiuntivo è, come è noto, sostanzialmente convenuto, sebbene formalmente attore, sicchè l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo deve avere tutti i requisiti formali previsti dagli artt. 163 e 163-bis c.p.c., ma non quelli concernenti il contenuto del normale atto di citazione, previsti dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, giacchè sotto il profilo del contenuto è equiparabile ad una comparsa di risposta, di modo che deve presentare i requisiti di cui all’art. 167 c.p.c. (Cass. 20 ottobre 2006, n. 22528).

Orbene, l’art. 167 c.p.c., impone al convenuto di “proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda”. E dunque, il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la sussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica (Cass. 6 ottobre 2015, n. 19896).

4.4. – Tanto premesso, è di tutta evidenza che la ratio decidendi sottesa all’adozione della decisione qui impugnata, nonostante l’erroneo richiamo all’art. 164 c.p.c., si fonda per l’appunto sulla asserita genericità dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, mancante di una presa di posizione chiara e specifica, idonea a soddisfare la previsione del citato art. 167 c.p.c. e, dunque, tale da far scattare il meccanismo della contestazione e, così, da sollecitare il giudice all’effettuazione delle verifiche istruttorie del caso.

Conferma di ciò si trae dal passaggio della sentenza del Tribunale di Firenze ove si dà conto del diniego della consulenza tecnica richiesta dalla società opponente in ragione del suo carattere “esplorativo”: il che, nel ricorrente linguaggio della prassi, sta ad indicare un’indagine istruttoria non già diretta a verificare la fondatezza della prospettazione della parte interessata, ma a supplire al difetto del quadro delle allegazioni.

4.4. – L’impostazione che sorregge la decisione impugnata, così riassunta, è tuttavia errata in diritto, sia dal versante sostanziale del riparto degli oneri probatori, sia, conseguentemente, da quello processuale dell’onere di contestazione da parte dell’opponente a decreto ingiuntivo, giacchè non tiene conto dell’atteggiarsi della controversia, esordita con il ricorso per ingiunzione fondato sull’estratto conto di cui all’art. 50 del Testo Unico Bancario.

Questi i termini della questione.

4.5. – Il naturale radicamento della prassi, che il Collegio sovente ha avuto modo di constatare movendo dall’esperienza maturata nell’esaminare ricorrenti controversie quale quella oggi in esame, sembra non aver ancora del tutto cancellato dal mondo del diritto, a quasi trent’anni dall’abrogazione della norma, il dettato dell’art. 102 della vecchia Legge Bancaria (L. 7 marzo 1938, n. 141, art. 102) la quale consentiva alle banche di ottenere il decreto ingiuntivo sulla base dell'”estratto di saldaconto”.

La norma non chiariva cosa il “saldaconto” fosse, ma, nella pratica, si era assestata l’idea che si trattasse di una semplice dichiarazione, proveniente dalla banca, dell’entità del saldo, con la attestazione di “verità e liquidità” da parte del funzionario addetto.

L’art. 50 del Testo Unico Bancario ha introdotto una novità abbastanza modesta, se considerata sul piano strettamente lessicale: l'”estratto di saldaconto” è stato sostituito dall'”estratto conto”. Ma, al di là della permanente connotazione del documento quale “estratto”, la distanza tra la previgente previsione e l’attuale è invece nella sostanza assai marcata: se il “saldaconto” era qualcosa di non esplicitamente definito, sicchè l’interpretazione poteva orientarsi nel senso anzidetto, l'”estratto conto” non può che essere ciò che la legge definisce e regola come tale, anzitutto all’art. 119 del Testo Unico Bancario, oltre che agli artt. 1853 e 1857 c.c.. Dunque, secondo l’art. 119, “una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto”.

In proposito, questa Corte è stata assai sollecita nel riconoscere la portata della novità, a pochi mesi di distanza dall’entrata in vigore del testo unico bancario: “il saldaconto previsto dall’art. 102 Legge Bancaria è affatto diverso dall’estratto periodico di conto corrente”; il primo è un “documento appositamente formato dalla banca per la finalità dell’art. 102 Legge Bancaria e nel quale viene indicato soltanto il saldo debitore del conto, senza che sia riportata l’evoluzione delle operazioni attive e passive che l’hanno determinato”; il secondo, viceversa, “riproduce integralmente i dati annotati nella scheda del conto e relativi a tutte le operazioni affluite sullo stesso” (Cass., Sez. Un., 18 luglio 1994, n. 6707). Ed era ivi colta con la massima chiarezza la ratio ispiratrice della (allora) novità normativa, diretta a soddisfare – osservazione, quella che segue, essenziale per i fini dello scrutinio del motivo – la “necessità di tutelare il correntista anche nell’eventuale giudizio susseguente al procedimento monitorio, consentendogli una contestazione consapevole delle risultanze del documento stesso”, giacchè, al contrario, il vecchio “saldaconto” “non consente alcun controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti”.

4.6. – Allo stato, dunque, è un punto fermo che “l’estratto di saldaconto, di mera natura riassuntiva del debito finale, idoneo nel vigore del previgente art. 102 della Legge Bancaria del 1938, non è più sufficiente ai sensi dell’art. 50 del T.u.b., che richiede finanche in monitorio un vero e proprio estratto conto con la registrazione delle varie partite in dare e avere” (Cass. 30 maggio 2017, n. 13542; ed inoltre Cass. 23 maggio 2017, n. 12935; Cass. 23 maggio 2017, n. 12936).

Sorge qui il quesito – destinato però in quest’occasione a rimanere senza risposta certa – su cosa debba esattamente intendersi con la previsione secondo cui “le banche possono chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’art. 633 c.p.c., anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili”: e cioè, in particolare, se sia esatto ritenere, come è stato in un’occasione affermato, che nella “fase monitoria… possono essere prodotti gli estratti conto relativi all’ultima fase di movimentazione del conto” (Cass. 2 agosto 2013, n. 18541, in motivazione).

In verità, non è ben chiaro quali sarebbero “gli estratti conto relativi all’ultima fase di movimentazione del conto”: nè pare che la norma offra appigli, almeno espliciti, all’opinione secondo cui essa si riferirebbe all’ultimo estratto conto: a meno di non voler valorizzare il troppo esile rilievo che “l’estratto conto” è citato al singolare.

Semmai, sembra preferibile ritenere che la facoltà delle banche di chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’art. 633 c.p.c., “anche in base all’estratto conto”, ossia ad “una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto”, richieda la produzione di quegli estratti conto dai quali sia possibile ricostruire, nello sviluppo temporale del rapporto, la sussistenza del credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione.

4.7. – Tuttavia, come si diceva, non è su questo quesito che occorre prendere posizione, giacchè non è da esso che dipende l’esito dell’esame del motivo.

Ciò che è certo è che l’onere del convenuto in senso sostanziale di prendere posizione, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore in monitorio a fondamento della propria domanda, in tanto può esplicarsi, in quanto l’attore abbia a propria volta spiegato, nel ricorso per ingiunzione, una pretesa fondata su fatti esposti in modo chiaro ed analitico: fatti cioè che, ove non specificamente contestati, possano risultare idonei a far scattare il meccanismo della non contestazione.

Il che non accade ove la banca si avvalga, nel ricorso per decreto ingiuntivo, dell’estratto conto previsto dal citato art. 50, laddove esso non contenga – e senza dubbio non è questo il caso che ci occupa – un completo resoconto delle varie partite in dare e avere, tale da palesare la sussistenza del credito azionato in monitorio.

Solo se la banca ricorrente in monitorio abbia fondato la propria pretesa su estratti conto che – per riprendere le parole delle Sezioni Unite citate poc’anzi – consentano un pieno “controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti”, l’opponente si troverà esposto all’onere di contestazione che, nel caso di specie, il Tribunale di Firenze gli ha erroneamente addebitato.

Nel qual caso, effettuata la contestazione, si applicherà il noto principio secondo cui l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca, di cui all’art. 50 citato, in caso di contestazione non costituisce di per sè prova del credito vantato dalla banca nei confronti del correntista (Cass. 3 maggio 2011, n. 9695): principio che si esplica ulteriormente nell’affermazione, di cui pure il giudice del rinvio dovrà tener conto, secondo cui, nel caso in cui l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali, ma anche sostanziali, quali la contestazione dell’importo a debito, risultante dall’applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati, nel giudizio a cognizione piena, spetta alla banca produrre il contratto su cui si fonda il rapporto, documentare l’andamento di quest’ultimo e fornire così la piena prova della propria pretesa (Cass. 6 giugno 2018, n. 14640).

5. – La sentenza è cassata e rinviata anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che si atterrà a quanto indicato e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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