Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29577 del 11/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 29577 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 24310-2015 proposto da:
PEPPOLONI LORIS, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato
LOREDANA RONDELLI, rappresentato e difeso
dall’avvocato LUIGI MARSICO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
3145

ISTITUTO FIGLIE DI SAN CAMILLO, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio
úell’avvozat ,:> w.)1(3

f.kLCJNTA, rAle lo rdppluuidd

Data pubblicazione: 11/12/2017

difende

unitamente

all’avvocato

FABIO

MASSIMO

COZZOLINO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 7719/2014 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/04/2015 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/07/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato RONDELLI LOREDANA per delega orale
Avvocato MARSICO LUIGI;
udito l’Avvocato COZZOLINO FABIO MASSIMO.

3993/2013;

RG 24310/15

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Istituto Figlie di San Camillo proponeva appello avverso la sentenza
emessa il 30.2.13 dal Tribunale di Roma, con cui, in parziale
accoglimento del ricorso proposto da Peppoloni Loris -ex dipendente
dell’Istituto con qualifica dirigenziale (quale responsabile del settore
acquisti e lavori edili)- aveva dichiarato illegittimo il licenziamento in

pagamento, in suo favore, della complessiva somma di C.758.752,15
(di cui C.100.963 a titolo di indennità di preavviso, ed C. 65.789 a
titolo di indennità aggiuntiva), rigettando ogni altra domanda.
L’appellante sosteneva che erroneamente il giudice di prime cure aveva
ritenuto tardiva la contestazione disciplinare, benché i fatti contestati
fossero emersi soltanto a seguito degli accertamenti eseguiti nel giugno
2006; nel merito ribadiva che la condotta posta in essere dal lavoratore
costituiva sen’altro giusta causa di licenziamento.
Resisteva il lavoratore, proponendo appello incidentale sostenendo che
erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che l’indennità dovuta in base
all’accordo 28.5.01 non fosse cumulabile con l’indennità dovuta in base
al c.c.n.l. di categoria, così come erroneamente aveva ritenuto non
provato il dedotto demansionamento.
Con sentenza pubblicata il 13.4.15, la Corte d’appello di Roma
accoglieva il gravame principale, ritenendo provati e gravi gli addebiti
contestati, e rigettava, per difetto di prova, l’incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Peppoloni, affidato
a sette motivi. Resiste l’Istituto con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente
sentenza.
1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa
applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70; 1175,1375 e 2119 c.c.; 132 n.4
c.p.c., in relazione alla erronea esclusione della tardività della

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tronco intimatogli in data 11.7.06 e condannato l’Istituto al

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contestazione disciplinare, avendo l’Istituto lasciato trascorrere sei
mesi tra la conoscenza dei fatti e la contestazione.
Il motivo è inammissibile.
Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio
di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla
motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai

processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato
sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone
la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non
ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art.
360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione
interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di
legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053),
coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi
ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione
del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di
legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione
(rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla
proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293\12, Cass. n. 144\08,
Cass. n. 21965\07, Cass. n. 24349\06; quanto alla gravità
dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788\11, Cass. n. 7948\11)
ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come
violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo
motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima
dell’11.9.12) ed oggi all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in
base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.
Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce
nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se
esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di
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di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del

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omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa
sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La
parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di
cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n.
4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale
o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel

parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez.un. 22 settembre
2014 n. 19881).
Il motivo non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360,
comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed
inammissibile riesame delle circostanze di causa (in ordine ai tempi
delle infrazioni ed alla loro conoscenza), ampiamente valutate dalla
Corte di merito. Deve del resto considerarsi che il principio di
immediatezza (o tempestività) della contestazione va inteso in senso
relativo (ex plurimis, Cass. n. 1248\16, Cass. n. 20719\13) in relazione
a tutte le circostanze del caso concreto.
Alla luce di tali considerazioni non sussiste neppure, all’evidenza, il
denunciato vizio di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa
applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70; 1175,1375 e 2697 c.c.
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che la
tardività della contestazione rileva solo se è segno di acquiescenza o se
produce una lesione del diritto di difesa del lavoratore.
Anche tale motivo è inammissibile per le considerazioni sopra svolte,
avendo la sentenza impugnata esaminato i relativi fatti, applicando
peraltro ad essi un principio, di cui alla censura, pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa
applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70 e 112 c.p.c., lamentando una
omessa pronuncia sulla eccezione di genericità della contestazione.
Anche tale motivo è inammissibile per le ragioni sopra esposte,
evidenziandosi che la sentenza impugnata ha sul punto accertato che il
Peppoloni si difese adeguatamente dalle contestazioni sostenendo che
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quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le

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non rientrava tra i suoi compiti autorizzare i pagamenti o verificare la
corrispondenza tra i lavori eseguiti ed i lavoro contabilizzati, in
contrasto, secondo il motivato apprezzamento della sentenza
impugnata, con le sue mansioni di direttore tecnico.
4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa
applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70 e 2119 c.c.
Lamenta che la corte di merito aveva ignorato che il 16.2.06 la

tradito la fiducia in lui riposta’, evidenziando che dunque già nel
febbraio 2006 l’Istituto era a conoscenza dei presunti illeciti, sicché la
contestazione del giugno 2006 era incompatibile con una causa che
non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.
Anche tale motivo è inammissibile, alla luce del novellato n. 5 dell’art.
360, comma 1, c.p.c. (come sopra esposto), mirando ad una diversa
ricostruzione dei fatti, riproponendo peraltro le doglianze in merito alla
tempestività della contestazione sopra esposta.
5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa
applicazione degli artt. 1362, 2697, 2727 e 2729 c.c.; 115, 116, 132 n.
4 c.p.c. lamentando una errata valutazione delle prove ed in ogni caso
un vizio motivo al riguardo (quali avere il ricorrente chiaramente
indicato in talune fatture la dicitura ‘da non pagare’ o similia).
Anche tale motivo è inammissibile per impingere direttamente nel
fatto, rammentando quanto affermato al riguardo dalle sezioni unite di
questa Corte, secondo cui l’omesso esame di taluni elementi istruttori
non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il
fatto storico (tra cui non rientra la valutazione delle risultanze
istruttorie) rilevante in causa sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie (Cass. sez.un. 22 settembre 2014 n.
19881). La pretesa erronea valutazione delle prove attiene in sostanza
al merito della controversia e non ad un fatto storico decisivo.
6.- Con il sesto motivo, parimenti, il ricorrente denuncia la violazione
e\o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70; 2119 c.c.; 99, 112 e
132 b. 4 c.p.c. lamentando una errata interpretazione degli atti
processuali e vizio di motivazione.
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Superiora Generale aveva espressamente accusato il Peppoloni di ‘aver

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Lamenta infatti il ricorrente che la sentenza impugnata, oltre ad aver
travisato il contenuto di taluni documenti, nell’affermare che il
Peppoloni sarebbe stato inviato dalla Superiora a Treviso per verificare
la correttezza dei lavori e della loro contabilizzazione (a conforto delle
contestate irregolarità), non trovava esatta corrispondenza negli atti
processuali, ma la circostanza, priva di effettivo valore decisivo, non
concreta alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. posto che, come

chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 cod. proc. civ., non osta a
che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione
dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in
base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata
dall’istante, ma implica il divieto per lo stesso giudice di attribuire alla
parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione
che non trovi corrispondenza nei fatti di causa ma in elementi di fatto
non ritualmente acquisiti in giudizio (Cass. n.18249\09). Nella specie
non risulta alcuna statuizione basata esclusivamente su fatti, in tesi,
non ritualmente acquisiti in giudizio, mentre, per il resto, la censura si
risolve in un non consentito riesame delle circostanze di causa (ivi
compreso il denunciato travisamento del contenuto di un documento,
cfr. Cass. sez.un. n. 22398\16), come sopra evidenziato.
7.- Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa
applicazione degli artt. 75 e 654 c.p.p., oltre alla violazione dell’rt. 132
n. 4 c.p.c.
Lamenta che la sentenza impugnata basò la fondatezza dell’addebito
sul procedimento penale che lo vide imputato per i fatti in questione, e
non sulle prove ivi emerse, di cui la corte di merito non fece comunque
alcuna autonoma valutazione.
Il motivo è infondato per due ragioni: innanzitutto perché la sentenza
impugnata ha fatto riferimento al processo penale in questione solo ad
abundantiam (avendo già accertato i fatti e la loro gravità, a sostegno
dei quali cita il procedimento penale che lo vide condannato, sia pure in
primo grado, pendendo appello); in secondo luogo in quanto la corte di
merito ha valutato non il procedimento in sé ma, autonomamente, le
prove emerse nel corso di quel giudizio, ed in particolare la perizia ivi
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evidenzia lo stesso ricorrente, il principio della corrispondenza tra il

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svolta (da cui emerse una differenza tra il pagato alle varie ditte
appaltatrici e quanto effettivamente dovuto pari ad €.112.000 circa),
cfr. Cass. n. 10055\10.
8.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per
esborsi, €.4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali
nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1
quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n.
228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art.13.

Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’Il luglio 2017
Il Presidente

Il Cons. est.
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A (dr. Giuseppe Na ol t

(dr. Federico Balestrieri)

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