Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29571 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 17/10/2018, dep. 16/11/2018), n.29571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7034-2012 R.G. proposto da:

C.P., rappresentato e difeso dall’avv. Antonino Palmeri e

dall’avv. Uberto Gasperini Zacco, elettivamente domiciliato presso

lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale Gorizia n. 2.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, sezione n. 10, n. 6, pronunciata il 2/12/2010, depositata

il 3/02/2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre

2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La controversia riguarda il diniego di rimborso di ritenute fiscali (IRPEF 2004, per un ammontare di Euro 12.320,29), sulle somme erogate, in unica soluzione, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, dal Fondo di previdenza per il personale della Banca Commerciale Italiana, a favore di C.P., dipendente dalla banca dal 1970 al 2003.

Questi ricorre, sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria (in seguito: CTR), in epigrafe, che ha rigettato l’appello del contribuente aderendo all’orientamento della Corte (Cass. 7/05/2010, n. 11156), per il quale la base imponibile su cui calcolare l’imposta è costituita dall’intera somma versata dal Fondo, senza che sia possibile defalcare da essa i contributi versati dal dipendente (poichè gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo di ricorso: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2696 c.c.Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17. Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 dello statuto del Fondo. Comunque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Il ricorrente formula la seguente censura: “Ribadendo, quindi, paradossalmente il concetto da questa difesa evidenziato che la sentenza della Cassazione, n. 11156/(2010), richiamata dal Giudice regionale, oltre a non essere attinente alla controversia è stata superata dalle ultime sezioni unite” (cfr. pag. 11 del ricorso).

1.1. Il motivo è inammissibile.

Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito.

Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche e giuridiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (Cass. 14/05/2018, n. 11603).

Precisato che il richiamo all’art. 2696 c.c. è palesemente errato e, ancora, che l’asserita violazione dell’art. 18 dello statuto del Fondo non configura un errore di diritto in quanto le disposizioni dello Statuto non hanno il rango di norme di legge, in ogni caso, è dato rilevare che il contribuente, in modo non consentito, ho omesso di spiegare le ragioni per cui la sentenza della CTR sarebbe affetta da un errore di diritto o viziata nello sviluppo motivazionale, il che non pone la Corte nella condizione di effettuare il necessario controllo di legalità della decisione ad essa demandato.

2. Secondo motivo: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2696 c.c. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17. Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 dello statuto del Fondo. Comunque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Si denuncia che la CTR non avrebbe tenuto conto che: a) il contribuente aveva prodotto in giudizio la certificazione del fondo pensioni del personale della Banca Commerciale Italiana che il valore della produzione previdenziale, al 31/12/2000, pari a Euro 165.787,14, relativo alla liquidazione della posizione individuale del dipendente, fosse comprensiva dei contributi dal medesimo versati, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto del Fondo; b) l’ente erogante, nell’effettuare le ritenute IRPEF (per Euro 54.538,65) sul valore della produzione previdenziale non ha tenuto conto della previsione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, comma 2, (TUIR), vigente ratione temporis.

2.1. Il motivo è inammissibile.

S’intende dare continuità al costante indirizzo della Corte, in virtù del quale è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20/08/2015, n. 17049).

Nella specie, a causa (ancora una volta) della genericità della doglianza, la Corte non è posta nella condizione di conoscere se il contribuente avesse impugnato la sentenza della Commissione provinciale deducendo, quale specifico motivo d’appello, l’erronea valutazione dei documenti dal medesimo prodotti in primo grado a supporto dell’istanza di rimborso dei contributi previdenziali versati, ovvero se egli, in modo non consentito, faccia valere solo adesso una censura – l’erronea valutazione, da parte del giudice di merito, della prova documentale – neppure dedotta come specifico motivo d’appello.

3. Terzo motivo: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2696 c.c. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17. Violazione e falsa applicazione della L. 9 marzo 1989, n. 88, ex art. 54. Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 dello statuto del Fondo. Comunque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.”.

Il ricorrente, infine, assume che il suo diritto al rimborso era fondato su documenti inconfutabili (Statuto del Fondo; estratto conto previdenziale INPS; attestazione del Fondo del 25/05/2009) che certificavano che i contributi che egli aveva versato dal 2/03/1970 al 31/12/1994 ammontavano al 7,75% della retribuzione imponibile ai fini AGO.

Si duole, quindi, che: “Nella sentenza di primo grado i giudici, sposando la tesi dell’Amministrazione finanziaria hanno ritenuto che non fosse stato provato in modo inconfutabile il diritto al rimborso del sig. C..” (cfr. pag. 15 del ricorso per cassazione).

3.1. Il motivo è inammissibile.

Si osserva che la critica in esso contenuta si appunta, inammissibilmente, contro la sentenza di primo grado e non contro quella d’appello di cui è chiesta la cassazione.

In disparte l’ovvia considerazione che alla Corte non può essere demandato il compito di sussumere, entro il paradigma logico e normativo dell’art. 360 c.p.c., le doglianze confusamente esposte nel ricorso per cassazione, ipotizzando, invece, che il contribuente abbia, implicitamente, voluto censurare anche la decisione d’appello perchè non avrebbe emendato l’erroneo apprezzamento delle prove documentali fornite (in primo grado) dall’appellante, a sostegno dell’istanza di rimborso, vale il rilievo posto a base della declaratoria d’inammissibilità del secondo mezzo (cfr. p. 2.1.).

Ancora una volta la Corte non è posta nella condizione di verificare, dal testo del ricorso per cassazione, se l’erronea valutazione delle prove, da parte del giudice di primo grado, fosse stata o meno dedotta come specifico motivo d’appello.

4. Ne consegue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il contribuente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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