Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29570 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 05/10/2011, dep. 29/12/2011), n.29570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

G.F.;

– intimato –

sul ricorso 21576-2007 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PODENZANA BONVINO DAVIDE con studio in GENOVA

VIA PALESTRO 12/3, (avviso postale), giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 24/2006 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 26/04/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto incidentale.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Dogane ricorre per cassazione nei confronti di G.F. (che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella esattoriale relativa ad imposte di fabbricazione di oli minerali, la C.T.R. Marche, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva respinto il ricorso del contribuente), dichiarava estinta per prescrizione la pretesa azionata, rilevando che, anche a voler ritenere nella specie operante il termine decennale, la notificazione dell’atto di ingiunzione originaria era intervenuta il 18 maggio 1983, mentre solamente il 21 giugno 1994 era stato notificato l’avviso di mora.

2. Deve innanzitutto essere disposta la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2945 e 2946 c.c. anche in relazione al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 5 l’Agenzia ricorrente pone a questo giudice il seguente quesito: “il termine di prescrizione decennale per l’esecuzione esattoriale di pretesa fiscale definitiva è validamente interrotto dal rinnovo della notifica dell’atto ingiuntivo originario e dalla notifica di invito al pagamento?”.

La censura è inammissibile per inidonea formulazione del quesito di diritto, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il motivo che (come nella specie) si concluda con un quesito assolutamente astratto e generico, privo di ogni specificità in relazione alla concreta fattispecie e formulato in maniera inadeguata ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della definizione della controversia (v. tra le altre Cass. n. 8463 del 2009, n. 7197 del 2009 e n. 8463 del 2009, nonchè SU n. 7257 del 2007 e SU n. 7433 del 2009).

E’ poi appena il caso di precisare che il quesito involge una quaestio facti (SU 23860 del 2008), non risultando nella sentenza impugnata accertato che nella specie intervennero un rinnovo della notifica dell’atto ingiuntivo originario ed una notifica di invito al pagamento.

E’ infine da aggiungere che il generico riferimento a tali atti senza indicare se essi sono intervenuti nella specie ed eventualmente in che data non consente a questo giudice una risposta al quesito proposto utile ai fini della definizione della controversia.

Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano senza alcuna motivazione disconosciuto la valenza degli atti interruttivi della prescrizione prodotti dall’amministrazione e presi in considerazione dai primi giudici. La censura è inammissibile innanzitutto per difetto di autosufficienza non essendo riportato in ricorso il contenuto degli atti interruttivi asseritamente depositati dall’amministrazione e non presi in considerazione dai giudici d’appello.

E’ peraltro da rilevare che manca l’indicazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. cass. n. 8897 del 2008).

Occorre precisare che al termine della esposizione del motivo in esame si indica come “punto controverso e decisivo della causa” in ordine al quale sarebbe riscontrabile vizio di motivazione il seguente: “se il termine di prescrizione dell’attività esecutiva esattoriale fosse stato validamente interrotto”.

In tali termini l’indicazione è generica e come tale risulta assolutamente irrilevante, posto che sul “punto” indicato il giudice ha deciso e motivato ritenendo che non vi fosse stata una valida interruzione prima della notifica dell’avviso di mo?a, onde occorreva indicare il fatto specifico o i fatti specifici – in ipotesi emergenti dagli atti e non considerati in motivazione dai giudici d’appello – dai quali era desumibile l’intervento di una valida interruzione della prescrizione.

In proposito, è appena il caso di sottolineare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo introdotto dopo la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile alla fattispecie ratione temporis) prevede tra i motivi di ricorso la “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” e che pertanto l’indicazione di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. ha ad oggetto (non più un “punto” o una questione ma) un fatto preciso, inteso sia in senso naturalistico che normativo, ossia un fatto “principale” o eventualmente anche “secondario”, purchè controverso e decisivo.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile con conseguente assorbimento del ricorso incidentale in quanto proposto “in subordine”, ossia per il caso di mancato accoglimento della richiesta di inammissibilità, improcedibità o infondatezza del ricorso principale avanzata nel controricorso. La spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale e assorbito l’incidentale. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 6.100,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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