Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2957 del 07/02/2020

Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 07/02/2020), n.2957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24262/2018 proposto da:

S.A.Y., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Pier Francesco Ruzza, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno domiciliato per legge in Roma Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 443/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/11/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 28 febbraio 2018, respinge il ricorso proposto da S.A.Y., cittadino del Togo, avverso l’ordinanza del locale Tribunale che ha respinto il ricorso del richiedente avverso provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che:

a) preliminarmente deve essere sottolineato che il denunciato difetto di motivazione del provvedimento della Commissione territoriale, al pari di eventuali altre irregolarità formali del provvedimento stesso, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè il presente procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo;

b) comunque il vizio lamentato è insussistente;

c) il ricorrente ha riferito di aver subito persecuzioni e minacce in ambito familiare per ragioni ereditarie;

d) pur essendo da ritenere pienamente attendibile il racconto del richiedente, tuttavia è da escludere che ricorrano i presupposti per una forma la protezione internazionale ovvero per la protezione umanitaria;

e) infatti, ai fini della protezione internazionale gli autori della persecuzione se soggetti non statuali possono solo eccezionalmente considerarsi responsabili di tali atti, per le suddette finalità;

f) da fonti aggiornate risulta che in Togo vi sono rischi di tipo terroristico non più elevati di quelli che si riscontrano in altri Paesi, compresi quelli Europei, e, d’altra parte, non vi è una situazione di violenza indiscriminata che possa esporre il ricorrente ad un particolare pericolo;

g) infine, non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità temporanea che impediscano all’interessato di far fronte ad esigenze qualifica bili come umanitarie;

3. il ricorso di S.A.Y., illustrato da memoria, domanda la cassazione della suddetta sentenza per due motivi; oppone difese con controricorso il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso è articolato in due motivi;

1.1. con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte d’appello applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità del richiedente applicando i parametri stabiliti dal citato art. 3, comma 5, cit.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa valutazione sia della situazione socio-politica esistente in Togo e in Libia (Paese in cui il richiedente è stato sequestrato e imprigionato) sia dell’incapacità della polizia di proteggere i cittadini;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per non avere la Corte d’appello valutato in modo congruo l’inserimento sociale e lavorativo del ricorrente in Italia nonchè la situazione critica del Paese di provenienza, al fine del riconoscimento della protezione umanitaria;

2. l’esame dei motivi di censura porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

3. il primo motivo va dichiarato inammissibile, per molteplici ragioni, tra le quali la principale è senz’altro rappresentata da non avere offerto alcun argomento in merito al carattere familiare della vicenda persecutoria narrata dal ricorrente, che rappresenta la ratio decidendi che sorregge la decisione relativa al mancato riconoscimento della protezione internazionale nell’ambito della sentenza impugnata, avendo invece il ricorrente inammissibilmente indirizzato le censure su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale, quale quello delle modalità di valutazione della credibilità del richiedente, che è del tutto ultroneo visto che la Corte d’appello non ha messo in dubbio tale credibilità;

3.1. come più volte confermato anche dall’UNHCR, le vicende di natura privata e familiare sono in linea generale estranee al sistema della protezione internazionale;

3.2. in particolare, secondo la consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte, le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale che quindi non rientrano nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g);

3.3. infatti, i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave soltanto ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, comunque con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), (tra le altre: Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758);

3.4. nel ricorso non vengono forniti elementi utili su tale questione che ha un ruolo decisivo nella sentenza impugnata ai fini del rigetto della protezione internazionale;

3.5. il carattere familiare della persecuzione riferita, senza la dimostrazione che gli atti persecutori o il danno grave paventati non siano imputabili esclusivamente a soggetti non statuali (nella specie: familiari) ma siano da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), è idoneo di per sè a giustificare la contestata decisione di rigetto di ogni forma di protezione internazionale, per le anzidette ragioni;

3.6. la omessa impugnazione della suddetta ratio decidendi rende inammissibile, per difetto di interesse, il primo motivo, in quanto la statuizione non censurata è divenuta definitiva e quindi non si può più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

3.7. tale rilievo ha carattere assorbente rispetto alla erronea formulazione del profilo di censura riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5 per non conformità con l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis;

4. anche il secondo motivo è inammissibile in quanto con esso ci si limita a sostenere che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello – il ricorrente avrebbe pieno diritto ad ottenere almeno la protezione umanitaria facendosi generico riferimento al suo percorso di integrazione in Italia e alla situazione difficile del Paese di origine e, così, richiamando elementi che sono inidonei, di per sè, a legittimare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che dipende dalla dimostrazione di specifici di vulnerabilità del richiedente, nella specie mancante, come ha rilevato motivatamente la Corte d’appello;

5. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

6. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

7. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2020

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