Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2957 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. III, 07/02/2011, (ud. 10/01/2011, dep. 07/02/2011), n.2957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C. in proprio, VILLAGGIO TURISTICO LA MADDALENA DI

PESSOLANO CARMINE & C. S.N.C., in persona del legale

rappresentante

pro tempore, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che li

rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE ABRIOLA (OMISSIS), in persona del suo Sindaco e

rappresentante pro tempore Ing. P.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GALLIA N. 86, presso lo studio dell’avvocato

RISUCCI MADDALENA, rappresentato e difeso dall’avvocato FERRARA

DOMENICO ANTONIO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/2008 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

emessa il 14/05/2008, depositata il 19/05/2008, r.g.n. 38/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per L’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia ha ad oggetto la domanda, proposta dal Comune nei confronti della società convenuta, di restituzione degli immobili facenti parte del complesso turistico la Maddalena concessi in comodato gratuito. La S.n.C. Villaggio turistico “La Maddalena” di Pessolano Carmine e C. ed il P. in proprio chiedevano il rigetto della pretesa, eccependo il difetto di legittimazione attiva del Comune, in quanto terzo rispetto al contratto, stipulato dal Consorzio Bonifica Gallitello, nonchè la mancanza di prova della proprietà dei beni da parte del Comune stesso.

L’adito Tribunale ha accolto la domanda, affermando la legittimazione attiva del Comune, avendo esso agito all’epoca come mandante dello stipulante Consorzio di bonifica. L’appello della società e del P., che reiteravano le eccezioni proposte in primo grado, veniva dichiarato inammissibile, non avendo investito la motivazione addotta dal primo giudice nel respingere l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del Comune.

Propongono ricorso per cassazione la società ed il P. in proprio, sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria, nel quale, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentano che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto mancanti i motivi specifici dell’impugnazione, in quanto essi appellanti, ritenendo che presupposto fondamentale dell’azione restitutoria fosse l’effettiva titolarità dei beni, hanno insistito su tale questione, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui tale impostazione non era stata accolta, non deducendo nulla in ordine alla questione del mandato tra Comune e Consorzio stipulante, in quanto questa, nella loro impostazione, è assorbita dalla problematica sul difetto di prova della titolarità dei beni. Chiedono, pertanto, di verificare se l’indicazione dei motivi di appello di cui all’art. 342 c.p.c., possa dirsi validamente ed integralmente soddisfatta tramite l’articolazione di una censura il cui contenuto sia del tutto incompatibile con la motivazione che sorregge la sentenza impugnata.

Il Comune resiste con controricorso, illustrato con memoria, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso – per inidoneità del quesito di diritto, generico e scollegato al caso di specie ed allo stesso contenuto del motivo – e, comunque, rigettarlo stante la sua genericità ed infondatezza.

La censura è inammissibile. Quanto alla formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., va ribadito che esso deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata, disposizione di legge (Cass. n. 19769/08). Nella specie, il quesito non è idoneamente formulato rispetto all’esposizione del motivo, che deduce violazione di legge: il ricorrente si limita a richiedere l’affermazione di una propria tesi, senza, tuttavia, accompagnare tale affermazione con la sintetica specificazione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, nè della regola di diritto applicata da detto giudice.

Il mezzo, inoltre, è formulato in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto non risulta riportato in ricorso il gravame di cui si assume l’adeguata specificità. Infatti, deve ribadirsi che, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità dell’appello, per difetto di specificità, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. n. 21621/07; 20405/06; 1020/06;

14450/05).

Peraltro, anche ove fosse stato ritualmente dedotto, non è riscontrabile alcun vizio logico nè giuridico nella statuizione impugnata: la questione della titolarità del diritto di proprietà sugli immobili non rappresenta l’antecedente logico-giuridico della questione della ritenuta sussistenza di un rapporto di mandato tra il Comune e l’originario Consorzio comodante, perchè tale sussistenza rappresenta proprio l’argomentazione con cui i giudici di appello hanno respinto la tesi sostenuta dai convenuti in primo grado, sicchè la stessa avrebbe dovuto essere specificamente censurata indicando le ragioni volte ad incrinarne il fondamento logico e giuridico (Cass. n. 9244/07; 20261/06; 5445/06; 24817/05; 10991/03).

La prova della titolarità dei beni non è antecedente logico- giuridico dell’azione di restituzione proposta dal Comune, trattandosi di azione di natura personale, con cui la parte attrice non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna dei beni, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa (tra le molte, v. Cass. 1929/09, in motivazione;

4416/07; 14135/05).

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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