Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29565 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31130-2018 proposto da:

G.I., elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO TRIESTE 130,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO MARIA TERENZIO, rappresentata

e difesa dall’avvocato EMANUELA ROLANDO;

– ricorrente –

contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 498/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 447 c.p.c., M.M. chiese al Tribunale di Brescia di ordinare a G.I., G.V.M., B.E. e E.R. il rilascio, in suo favore, dell’immobile sito in Rivoltella di Desenzano del Garda, via (OMISSIS), nonchè di condannare G.I. e, in caso di accertamento di responsabilità concorrente, in via solidale, anche G.V.M., B.E. e E.R. al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione.

Il ricorrente rappresentò di essere usufruttuario del detto immobile, del quale G.I. era nuda proprietaria, e dedusse che quest’ultima, all’esito della separazione giudiziale tra loro intercorsa, aveva occupato il bene con la propria madre ( G.V.M.), con la badante ( B.E.) ed il figlio della medesima ( E.R.) dall’anno 2008.

Si costituì in giudizio soltanto G.I., contestando quanto dedotto dal ricorrente ed affermando di essere esclusiva proprietaria del bene in parola, avendo pagato le rate del relativo mutuo ed avendone sempre avuto il possesso esclusivo.

Il Tribunale adito, ritenuto che non trattavasi di causa in materia locativa, dispose il mutamento del rito e, all’esito dell’istruttoria, con sentenza n. 1680/2013, depositata in data 8 maggio 2013, condannò i convenuti a rilasciare libero da persone e cose il suindicato immobile; condannò, inoltre, la sola G.I. a pagare, in favore dell’attore, l’importo di Euro 24.957,59, oltre rivalutazione, a titolo di indennità di occupazione illegittima sino al 31 dicembre 2012, nonchè l’importo di Euro 483,87 mensili a fare tempo dal 1 gennaio 2013 all’effettivo rilascio, sempre a titolo di occupazione sine titulo, e regolò tra le parti le spese di lite, in esse comprese quelle di c.t.u..

Avverso la sentenza di primo grado e nei confronti del solo M., G.I. propose appello, del quale, costituendosi in giudizio, l’appellato chiese il rigetto.

La Corte di appello di Brescia, con sentenza n. 498/2018, pubblicata il 23 marzo 2018, rigettò il gravame e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito G.I. ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme, ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, con riferimento agli artt. 2043 e 2056 c.c. in relazione agli artt. 1223,1226 e 2697 c.c. nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c.”, la ricorrente lamenta che la Corte di merito, nel condannarla, tra l’altro, al risarcimento del danno in favore dell’usufruttuario dell’immobile da lei occupato sine titulo, così confermando la decisione del Tribunale di Brescia, abbia erroneamente ritenuto, difformemente da quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che il danno in parola sussistesse in re ipsa, senza considerare che era onere del danneggiato dimostrare il pregiudizio effettivamente subito.

1.1. Il motivo è fondato.

La Corte di merito, richiamando, nella motivazione della decisione impugnata in questa sede, le sentenze Cass. 8/03/2010 n. 5568, Cass. 7/08/2012, n. 14222 e Cass. 16/04/2013, n. 9137, ha chiaramente seguito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il danno da occupazione sine titulo è in re ipsa, orientamento ormai superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità.

Ed invero questa Corte ha più volte affermato, negli ultimi anni, che, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. 11/11/2008, n. 26972), secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. 5/07/2017, n. 16601), che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto (Cass. 25/05/2018, n. 13071; Cass. 24/04/2019, n. 11203; v. anche Cass., ord., 5/06/2020, n. 10804, soprattutto in motivazione, e Cass. 5/10/2020, n. 21272); ne consegue, altresì, che è onere del danneggiato provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare l’immobile ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, sulla base però di elementi indiziari allegati dallo stesso danneggiato (arg. ex Cass., ord., 4/12/2018, n. 31233).

2. Il ricorso va, pertanto, accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione.

Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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