Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29564 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 24/12/2020), n.29564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7082-2019 proposto da:

MIP CAR 4X4 SAS DI P.O. & C, in persona del legale

rappresentante p.t. elettivamente domiciliata in Roma via N.

Tartaglia n. 5 presso lo Studio dell’Avvocato Alessandro di Giovanni

che la rappresenta e difende unitamente agli Danilo Pezzi e Paolo

Mazzoni;

– ricorrenti –

contro

L.F. & C SNC, in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Bertilla Lain e dall’Avv.

Carlo Marzioni, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via

dell’Amba Aradam n. 22;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2256/2018,

depositata in data 22.8.2018, della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/08/2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

29.9.2020 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

 

Fatto

FATTI di CAUSA

La Mip Car 4X4 s.a.s. (da ora Mip Car) ha adito il tribunale di Vicenza esponendo di aver stipulato con la Lain s.n.c. un contratto di acquisto di un autocarro, per il prezzo di Euro 39.200,00; che, all’esito di successive verifiche, era emerso che il bene era immatricolato come autovettura ed inoltre, solo dopo 18 mesi dalla stipula del contratto, era stata consegnata la carta di circolazione, per cui il veicolo era stato rivenuto con grave ritardo e ad un prezzo inferiore a quello di acquisto.

Ha chiesto la condanna della convenuta al risarcimento del danno, quantificato in Euro 20.033,00, oltre accessori.

Il tribunale, in parziale accoglimento della domanda, ha liquidato l’importo di Euro 880,00, oltre accessori, per le sole spese di immatricolazione, respingendo ogni altra richiesta.

La pronuncia è stata confermata in appello.

Per quanto ancora rileva, la Corte veneziana, riconosciuta la sussistenza dell’inadempimento in capo alla società venditrice, ha ritenuto carente la prova del danno, rilevando che dalla visura A.C.I., prodotta in causa, era emerso che il veicolo era stato acquistato dalla ricorrente, in data 26.4.2004, al prezzo di Euro 30.200,00 ed era stato rivenduto a terzi, il successivo 3.6.2004, al prezzo di Euro 38.000,00, ricavandone un guadagno.

Ha escluso la configurabilità della frode contrattuale, rilevando che il procedimento penale era stato archiviato, sia pure per motivi processuali, e che la condotta della resistente aveva una valenza puramente civilistica, apparendo fra l’altro assai sfumati gli artifici e raggiri indispensabili alla fattispecie criminosa, ritenendo – inoltre – indimostrate le ulteriori voci risarcitorie (danno non patrimoniale e mancato ricarico a causa della vendita a prezzo ribassato).

Per la cassazione della sentenza la Mip Car ha proposto ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.

La Lain s.n.c. ha proposto controricorso.

Diritto

FATTI DI CAUSA

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza ritenuto, in base alle risultanze della visura Aci, che la ricorrente, nel rivendere il veicolo, avesse conseguito un vantaggio, mentre, dalle fatture di acquisto e di rivendita del bene emergeva con evidenza che il veicolo era stato acquistato al prezzo di Euro 39.200,00 ed era stato rivenduto per un corrispettivo di Euro 29.000,00, riportando una perdita.

Si assume che le risultanze dell’Aci non potevano considerarsi vincolanti ai fini della prova del contenuto del contratto di vendita e, inoltre, che il giudice avrebbe dovuto adeguatamente motivare in merito alla ritenuta valenza probatoria delle predette visure.

Il motivo è inammissibile.

La Corte distrettuale ha escluso che il tribunale, nell’accogliere solo parzialmente la domanda, fosse incorso in un errore di quantificazione del prezzo di acquisto e rivendita del veicolo, non solo dando rilievo alle risultanze delle visure Aci, ma evidenziando anche che un’eventuale vendita a prezzo ribassato non poteva imputarsi alla venditrice, in mancanza di prova che la Mip Car avesse effettivamente perduto una concreta opportunità di rivendere il bene al maggior prezzo reclamato.

Le censura, oltre a riguardare una circostanza (entità del prezzo di rivendita) che la Corte ha specificamente valutato (senza alcun obbligo di dar conto di tutti gli elementi acquisiti al giudizio e, quindi, del contenuto delle fatture: Cass. s.u. 8053/2014) finisce per richiedere un esame della valenza probatoria della documentazione acquisita (comunque utilizzabile a fini decisori: Cass. 22605/2009; Cass. 9314/2010), che è compito esclusivo del giudice di merito, omettendo di considerare, peraltro, l’insieme della ragioni che hanno condotto al rigetto della domanda (la ritenuta carenza di prova che la ricorrente avesse perduto concrete opportunità di rivendere il bene al maggior prezzo preteso).

In ogni caso, la sentenza di appello risulta fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme), sicchè, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3 (applicabile in relazione alla data di deposito della pronuncia di appello), la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in cassazione.

2. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che, del tutto erroneamente, la sentenza abbia escluso che la Lain avesse posto in essere una frode contrattuale, senza considerare la puntuale descrizione della condotta della venditrice contenuta nel capo di imputazione e le dichiarazioni di uno degli informatori, sentito nel corso dell’indagine penale, che aveva confermato che la ricorrente aveva chiesto un autocarro di nuova immatricolazione.

Il motivo è inammissibile, assumendo decisivo rilievo il fatto che la domanda risarcitoria sia stata rigettata non solo per l’impossibilità di configurare, nello specifico, una fattispecie di reato, ma anche per la dichiarata insussistenza di un concreto pregiudizio risarcibile, poichè – come accertato dalla Corte distrettuale – dalla rivendita era stato riportato un guadagno, anzichè una perdita.

Neppure l’eventuale consumazione di una frode contrattuale avrebbe – di per sè – giustificato il risarcimento del danno da reato, in mancanza della prova di un concreto pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, riconducibile alla condotta della venditrice.

E’ noto che questa Corte, sin dalle sentenze nn. 7281, 7282 e 7283/2003, e più decisamente dalle pronunce nn. 8827/2003 e 8828/2003, ha proceduto ad una completa rielaborazione della sistematica del danno risarcibile.

Prima degli arresti del 2003, la reazione risarcitoria era azionabile anche solo in presenza della lesione di situazioni soggettive meritevoli di tutela, a prescindere dalle concrete ricadute pregiudizievoli dell’illecito.

Era la tesi del danno evento, ossia elemento interno e costituivo del fatto produttivo di una lesione di un bene protetto, non bisognevole di ulteriore dimostrazione (cd. danno in re ipsa), se non che ai fini della personalizzazione del risarcimento (Corte Cost. 184/1986; Cass. 2515/2002).

Nel sistema emerso a partire dalle richiamate sentenze del 2003, la struttura generale del fatto illecito, contrattuale ed extracontrattuale, è stata configurata in termini unitari, a prescindere dalla natura del pregiudizio (patrimoniale o non patrimoniale), occorrendo sempre un’azione o omissione dolosa o colposa, la lesione di un interesse meritevole di tutela, tradizionalmente identificata con il danno evento, nonchè – quale ulteriore indispensabile condizione – il verificarsi di concrete ricadute pregiudizievoli a scapito del danneggiato (cd. danno conseguenza). Appare dunque respinta la teoria del danno evento: ai fini del risarcimento sono sempre necessarie l’allegazione e la prova dei concreti pregiudizi subiti dal danneggiato e non è in alcun caso configurabile un danno in re ipsa, neppure se il danno, come nel caso in esame, derivi da un inadempimento contrattuale o, ipoteticamente, dalla commissione di un reato.

Tale soluzione è stata successivamente confermata dalle Sezioni unite con le sentenze nn. 26972, 29673, 29674 e 29675 del 2008 ed è costantemente ribadita dalla giurisprudenza successiva (cfr., per le più recenti, Cass. 19434/2019; Cass. 5807/2019; Cass. 31537/2018; Cass. 28742/2018; Cass. 7594/2018).

3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1477 e 1222 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte negato rilievo alla ritardata consegna dei documenti di immatricolazione, sebbene detto ritardo avesse determinato l’immobilizzazione del capitale impiegato per l’acquisto del veicolo, determinando il danno esattamente quantificato in domanda.

Il motivo è infondato, poichè, come stabilito in fatto dalla Corte distrettuale, non vi era prova neppure del danno da ricarico, collegato alla vendita a prezzo ribassato (sentenza, pag. 5) e, comunque, la ricorrente aveva ottenuto un prezzo superiore a quello sostenuto dalla vendita e, quindi, un guadagno tale da compensare anche i presunti danni economici lamentati in giudizio.

Le contrarie deduzioni della ricorrente, volte ad affermare la risarcibilità della suddetta posta di danno a causa del mero ritardo nella consegna dei documenti, finisce nuovamente per trascurare che, ai fini del risarcimento, era richiesta la prova delle conseguenze economiche negative prodotte dall’inadempimento, che la sentenza ha motivatamente ritenuto carente.

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2900,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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