Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29551 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19580-2018 proposto da:

IDEAL MARMI DI C.L.N. & C. SAS, con domicilio

eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANGELA VENTRICE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VIBO VALENTIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3699/2017 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO,

depositata il 28/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RITENUTO

Che;

IDEAL MARMI di C.N. & C. s.a.s. propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 3699/17, depositata il 28/12/2017, non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Calabria, in controversia concernente avvisi di accertamento di Tarsu per gli anni dal 2007 al 2012, in relazione ad immobili siti in Comune di (OMISSIS), è stato accolto l’appello del Comune avverso la prima sentenza di accoglimento dell’originario ricorso della contribuente e dichiarata la piena legittimità della pretesa tributaria dell’ente territoriale, e delle impugnate cartelle di pagamento, in quanto la stessa non è riferibile al capannone industriale, con conseguente ininfluenza delle questioni concernenti la produzione di rifiuti speciali, ed è stata tempestivamente esercitata, con conseguente infondatezza della eccezione di decadenza.

Il Comune non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo di ricorso la società IDEAL MARMI deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, e art. 68, per avere il giudice di appello erroneamente affermato, sulla base di una relazione tecnica in atti, che gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) non riguardano il capannone industriale ma immobili catastalmente in “cat. VI studi prof.- uffici” ed in “cat. VII neg. Off. Artig.”, e ritenuto, quindi, irrilevanti le questioni concernenti i rifiuti speciali.

Assume, tra l’altro, la contribuente che detta identificazione catastale (foglio (OMISSIS), numero (OMISSIS), sub. 1) riguarda il capannone industriale e gli annessi locali, che tutti insieme sono utilizzati per la lavorazione, la produzione e per il commercio di marmi, ed ancora che la relazione tecnica relativa alla variante in corso d’opera di cui alla concessione edilizia n. 6107/2000 è stata superata dalla dichiarazione di fabbricato urbano o nuova costruzione – Tipo Mappale n. (OMISSIS) – accertamento della proprietà immobiliare urbana Mod. D1 dell’Agenzia del Territorio.

Con il secondo motivo deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62, e 59, art. 116 c.p.c., per non avere il giudice di appello correttamente esaminato la questione concernente la mancata attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani da parte del Comune nella zona industriale ove hanno sede gli immobili tassati.

Assume, in particolare, la contribuente che dalla documentazione prodotta in atti, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, emerge la prova della mancata attivazione e comunque dell’inesistenza del servizio comunale in Loc. (OMISSIS), non essendovi cassonetti per la raccolta dei rifiuti.

Con il terzo motivo deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62,artt. 115 e 116 c.p.c., per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto non contestata, e rilevante, la circostanza che gli immobili rientrassero nell’elenco dei c.d. “fabbricati fantasma” e che, quindi, la Tarsu fosse accertabile sin dall’anno 2007.

Assume la contribuente che la suddetta circostanza era stata contestata, tant’è che si era sostenuta al più la tassabilità dell’abitazione e dell’autorimessa dall’anno 2013, immobili anteriormente inidonei a produrre rifiuti solidi urbani e, quindi, non assoggettabili a Tarsu.

I motivi appaiono connotati da evidenti profili di inammissibilità, e comunque sono infondati.

Quanto alla prima censura, la ricorrente si duole della decisione della CTR che, in discontinuità con le valutazioni del giudice di prime cure, ha ritenuto non adempiuto, da parte della società IDEAL MARMI, l’onere di provare la sussistenza della dedotta causa di esclusione dal pagamento della Tarsu, delimitando la parte del complesso immobiliare, della superficie complessiva di mq. 2061, in cui vengono prodotti i rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani, i quali pacificamente non possono essere conferiti nel normale circuito di raccolta dei rifiuti, e che la contribuente assume smaltiti direttamente a proprie spese.

Orbene, l’ordinaria produzione di rifiuti speciali, tossici o nocivi, non comporta che tali categorie di rifiuti siano, di per sè, esenti dalla Tarsu, in quanto ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal richiamato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, che rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producano rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali (Cass. n. 5377 del 2011).

Al riguardo, va anche ricordato che, per consolidato principio giurisprudenziale, “incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70), un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale” (Cass. nn. 10634 del 2019, 21250 del 2017, 17622 del 2016, 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006, 17599 del 2009, 775 del 2011).

E poichè solo i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, possono essere considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della tassa, correttamente il giudice d’appello ha provveduto ad accertare l’adempimento in concreto, da parte della contribuente, del relativo onere probatorio.

Stante, infatti, il carattere “universale” della Tarsu (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, ad essa, per quel che in questa sede rileva, sono soggetti tutti i locali siti nel territorio dell’ente comunale impositore, e poichè la invocata disposizione eccettuativa (art. 62, comma 3), non riguarda tipologie di locali, bensì “parti di superfici”, correttamente il giudice d’appello ha concluso che il mero riferimento a dati catastali, e correlate planimetrie, non è di per sè argomento sufficiente a dimostrare la sussistenza delle circostanze fattuali che costituiscono i presupposti esoneranti contemplati dalla legge.

La Corte, del resto, è ferma nel ritenere che la previsione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, il quale stabilisce che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dovuta per l’occupazione o la detenzione delle aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni, costituisce una previsione di carattere generale e subisce solo le deroghe indicate nello stesso art., nei successivi commi (2 e 3), che non sono automatiche, ma devono essere di volta in volta dedotte ed accertate con un procedimento amministrativo, la cui conclusione deve essere basata su elementi obiettivi direttamente rilevabili o su idonea documentazione (Cass. n. 21780/ del 018, n. 11070 del 2019).

La contribuente, peraltro, secondo quanto dedotto dal Comune di Vibo Valentia, che mai l’ha contestato, “non ha presentato la denuncia dei locali ai fini dell’applicazione della Tarsu (si sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70), e non ha mai pagato il tributo”.

In tema di TARSU, le operazioni di avviamento al recupero dei rifiuti speciali, (nella specie gli imballaggi terziari e secondari per i quali non sia stata attivata la raccolta differenziata) non comporta la riduzione della superficie tassabile, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, ma il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la cui dimostrazione è onere che incombe sul contribuente e che può essere fornita attraverso valida documentazione, quale il prescritto formulario di identificazione o altra idonea attestazione rilasciata da operatori autorizzati.

Infine, in ordine alla valutazione del materiale probatorio operata dalla CTR è appena il caso di osservare che la sentenza di appello è censurata per violazione di legge e non per vizio di motivazione, e che la valutazione delle risultanze, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione, involgendo apprezzamenti di fatto, è attività riservata al giudice del merito, il quale, peraltro, nel porre a fondamento della sua decisione una fonte di prova ad esclusione di altre, è senz’altro tenuto ad indicare le ragioni del proprio convincimento, ma non a discutere ogni singolo elemento nè a confutare tutte le deduzioni avverse.

Quanto alla seconda censura, la ricorrente si duole della decisione impugnata perchè la CTR non ha correttamente valutato la documentazione prodotta in atti, dalla quale emergerebbe la prova della mancata attivazione e comunque dell’inesistenza del servizio in regime di privativa comunale nella Loc. (OMISSIS), zona priva dei cassonetti per il conferimento dei rifiuti.

Orbene, il giudice di appello, dopo aver rilevato che la zona industriale denominata Loc. (OMISSIS), sita nel Comune di (OMISSIS), nella quale sono ubicati gli immobili della contribuente, non è servita dal servizio di raccolta differenziata dei rifiuti di cui al capitolato speciale d’appalto che la società ha richiamato a riprova dalla dedotta insussistenza del servizio di comunale di prelevamento dei rifiuti solidi urbani, ha evidenziato che quest’ultimo “continua ad essere svolto (con) il vecchio sistema di raccolta “indifferenziata”, come emerge dalla Delib. del Consiglio Comunale 10 agosto 1989, n. 81, che ha istituito e regolamentato, a decorrere dall’1.1.1990, la tassa per i servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti nelle zone del territorio in cui il contribuente conduce o occupa i locali oggetto di tassazione”.

Questa Corte, al riguardo, ha chiarito che “In tema di Tarsu, ove il Comune abbia istituito e attivato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella zona nella quale si trova l’immobile del contribuente e quest’ultimo, tuttavia, abbia provveduto a gestire direttamente gli stessi, indipendentemente dalle ragioni per le quali ciò sia avvenuto, la tassa è egualmente dovuta – essendo finalizzata a consentire all’amministrazione locale di soddisfare le esigenze generali della collettività e non di fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti – ma in misura ridotta ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4.” (Cass. n. 11451 del 2018).

Ed in punto di deducibilità dei difetti di valutazione del materiale probatorio posto a fondamento della decisione vale quanto sopra detto, essendo desumibile dalla motivazione della impugnata sentenza l’istituzione ed attivazione del servizio di raccolta, che consento di individuare i potenziali utenti, e di per sè la mancata fruizione del servizio non esonera il contribuente dal pagamento della Tarsu (Cass. n. 21508 del 20005), mentre l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la sola conseguenza, appunto, che essa è dovuta in misura ridotta (v. D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59).

Quanto alla terza e ultima censura, la ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello, al fine di escludere l’eccepita decadenza, ha ritenuto erroneamente pacifica tra le parti la circostanza non provata che gli immobili rientravano nell’elenco dei c.d. “fabbricati fantasma” rilevati dall’Agenzia del Territorio e quindi che la Tarsu fosse utilmente accertabile sin dall’annualità (2007) più risalente.

La doglianza è inammissibile in quanto non coglie la reale ratio decidendi della sentenza d’appello, essendo sufficiente, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, correggere sul punto in questione la motivazione che cionondimeno regge la decisione adottata.

La contribuente aveva omesso di presentare la dichiarazione Tarsu e di effettuare i versamenti annuali, ed il Comune di Vibo Valentia, legittimamente, ha provveduto, in data 7/11/2013, a notificare gli avvisi di accertamento per gli anni dal 2007 al 2012, prima che decorresse il termine quinquennale di cui alla L. n. 19120 del 2006, art. 1, comma 161, (per l’annualità 2007 l’accertamento doveva intervenire entro il 31 dicembre 2013), come pure osservato dal giudice di appello.

Giova ricordare che questa Corte ha recentemente chiarito che “Ai fini della riscossione del tributo l’ente impositore, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, può procedere all’emissione di un avviso di accertamento quando il contribuente non abbia presentato la denunzia prescritta dal precedente art. 70, oppure nel caso in cui ritenga che la denuncia presentata sia infedele o incompleta (Vedi Cass. n. 19255 del 2003; Cass. n. 19181 del 2004; Cass. n. 20646 del 2007). Qualora invece la denuncia sia stata presentata, e l’ente ritenga di non contestarla, il medesimo D.Lgs., art. 72, comma 1, consente al Comune di procedere direttamente alla liquidazione 3 della TARSU, sulla base degli elementi dichiarati dallo stesso contribuente originariamente, ed alla conseguente iscrizione a ruolo, attraverso la meccanica applicazione dei ruoli dell’anno precedente e dei dati in esso contenuti, procedendo alla notificazione di una cartella esattoriale, senza previa emissione di alcun avviso di accertamento. Secondo quanto già ritenuto da questa Corte “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72, comma 1, attribuisce ai Comuni la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente, purchè sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione, sicchè, salvo il caso di omessa denuncia o incompleta dichiarazione da parte del contribuente, non occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento.” (cfr. Cass. n. 22248 del 2015 e n. 19120 del 2016). 1.3 Nell’ipotesi in cui il Comune proceda ad un accertamento trova applicazione la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, secondo cui “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”. Tale disciplina ha aumentato a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato dalla stessa L., art. 1, comma 172, con decorrenza dall’1.7.2007, il previgente D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, che prevedeva, invece, il termine triennale.”(Cass. n. 14043 del 2019 e da ultimo 13106 del 2020 e 6572 del 2020).

Nulla per le spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva del Comune intimato.

PQM

La corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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