Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29550 del 11/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29550 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 5900-2017 proposto da:
RANIERI GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO
‘ARCHETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO
FLORIO;

– ricorrente contro
TRENITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente avverso la sentenza n. 19919/2016 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA, depositata il 05/10/2016;

Data pubblicazione: 11/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’08/11/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.
Rilevato che:
questa Corte, con sentenza n. 19919/2016, rigettava

il ricorso

propogtod Ihnieri Giuseppe avverso la sentenza della Corte di

emessa nel giudizio di opposizione ex 1. 92/2012, contenente la
declaratoria di decadenza del ricorrente ai sensi dell’art. 6 comma 2 1.
604/66, novellato dalla 1. 183/2010, in relazione al mancato rispetto
del termine previsto per il deposito del ricorso introduttivo con il quale
era stato dedotto il carattere discriminatorio del licenziamento intimato
al predetto dalla società Trenitalia p.a.;
la Corte di Cassazione riteneva che il precedente ricorso cautelare,
proposto antecedentemente al 31.12.2011 per la reintegrazione nel
posto di lavoro, contrariamente a quanto assunto dal lavoratore, non
fosse sufficiente ad evitare la decadenza in relazione alla regola
secondo cui, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione
stragiudiziale del licenziamento, era necessario, che nel termine
previsto, venisse proposto ricorso giudiziale secondo il rito di cui ai
commi 48 e ss. dell’art. 1 della 1. 92/2012;
di tale decisione chiede la revocazione il Ranieri con ricorso ai sensi
dell’ art. 395, comma 1°, n. 4, c.p.c., cui ha opposto difese la società,
con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata
comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza
in camera di consiglio, in prossimità della quale hanno depositato
memorie entrambe le parti;
Considerato che :

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appello di Messina che aveva respinto il reclamo avverso la decisione

1. Il Ranieri deduce che la sentenza della Corte di Cassazione sarebbe
suscettibile di revocazione per errore di fatto costituito dall’essere la
motivazione fondata sulla supposizione di un fatto (inesistenza di un
ricorso di merito) la cui verità è incontestabilmente esclusa,
evidenziando come la proposizione di un ricorso anche nel merito,

4.10.2013, quest’ultimo relativo al carattere discriminatorio del
licenziamento, fosse incontestata tra le parti e documentata in atti;
in particolare assume che il ricorso n. 1860/2011 R.G., proposto
dinanzi al Tribunale di Messina e volto ad ottenere la reintegrazione
del lavoratore sul presupposto dell’illegittimità del recesso datoriale,
conteneva istanza cautelare e domande di merito (il giudizio si era
concluso con sentenza n. 219/2017 del 17.2.2017), laddove la Corte di
Cassazione erroneamente aveva fatto riferimento nella parte motiva
della sentenza al carattere meramente cautelare dello stesso ricorso e,
sempre per errore percettivo, aveva trascurato l’avvenuta
impugnazione del licenziamento intimato in data 8 marzo 2011 con
impugnazione giudiziale in data 25 marzo 2011;
2. il ricorso è inammissibile se vengono condivise le argomentazioni
che seguono:
secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità l’errore di fatto
previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione
delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve
consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai
documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, riferito alle
ipotesi in cui la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui
verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta
l’inesistenza di un fatto la cui verità e positivamente stabilita, sempre
che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia
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antecedente alla proposizione del giudizio introdotto con ricorso del

costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a
pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del
fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed
immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre
la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo

modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non
vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un
punto controverso sul quale la. Corte si sia pronunciata; 4) presentare i
caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per
essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di
indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del
fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto
medesimo. Sicché detto errore non soltanto deve apparire di assoluta
immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua
constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini
ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto
apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme
giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella
ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità
delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009,
nonché 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007;
3652/2006; 13915/2005; 8295/2005);
3. in relazione al caso esaminato, la Corte, nella sentenza della quale
si chiede la revocazione, ha in primo luogo precisato, con riferimento
al contenuto del ricorso proposto dal Ranieri, che quest’ultimo aveva
premesso di avere già proposto un primo ricorso giudiziale ex art. 700
cpc con contestuali domande di merito (RG 1860/2011), avente ad
oggetto l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e la domanda
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incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in

di reintegrazione nel posto di lavoro quale pseudo dirigente (pagg. 3 e
4 della sentenza 19919/2016) e, come è dato evincere dai passaggi
motivazionali indicati con riguardo al primo motivo formulato nella
sede di legittimità, ha affermato che si applica anche ai dirigenti l’art. 6
1. 604/66, come modificato dall’art. 32 della 1. 183/2010, che prevede il

cui deve seguire, a pena di inefficacia, il deposito del ricorso
giurisdizionale nei successivi 180 gg., in forza di quanto previsto dalla
legge n. 92/2012, termine inizialmente fissato in 270 gg.;
4. nell’ulteriore sviluppo motivazionale (punto 3.2) ed in particolare
a pag. 7 della pronunzia qui impugnata per errore revocatorio la stessa’
Corte ha poi evidenziato, con riguardo al contenuto del ricorso
introduttivo della prima fase del rito Fornero, come, dal richiamo
all’art. 125 cpc contenuto nel comma 48 dell’art. 1 1. 92 del 2012,
dovesse desumersi che anche in detto atto introduttivo era prevista la
necessaria indicazione di causa petendi e petitlun, prescrizione questa
diversamente non contemplata dall’art. 669 bis cpc relativamente al
ricorso con il quale si attiva la richiesta del provvedimento di urgenza
ex art. 700 cpc ed ha, nel contempo, sottolineato come la formula
dell’art. 6, comma 2, della 1. 604/66, nel testo vigente a seguito delle
modifiche apportate dal Collegato Lavoro, era tale da individuare quale
modalità per escludere la decadenza, alternativa al ricorsò depositato
presso la cancelleria del giudice del lavoro, la comunicazione del
tentativo di conciliazione o di arbitrato, cui doveva seguire, entro
sessanta giorni dalla chiusura infruttuosa del tentativo medesimo, il
deposito del ricorso ordinar’io, ad inequivocabile conferma della
inidoneità di atti giudiziali diversi (nello specifico caso il ricorso di
merito doveva essere quindi necessariamente individuato in quello
riferito alla ragione discriminatoria, mai evocata prima del ricorso
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termine di 60 gg. per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento,

depositato soltanto il 4.10.2013, ossia ben oltre il termine decadenziale
di cui all’art. 32 1. 183/2010, decorrente, secondo quanto previsto
dall’art. 2 comma 54 d.L. 225/2010, conv. dalla legge 26 febbraio 2011
n. 10, dal 31.12.2011);
5. la critica del ricorrente, proprio perché verte sull’inapplicabilità

temporis, per essere asseritamente il licenziamento, intimato in data
8.3.2011, assoggettato al solo regime prescrizionale anteriore alle
modifiche apportate dall’art. 32 1. 183/10 e art. 2 comma 54 D. L. 29
dicembre 2010, n. 225, conv. dalla 1. 26 febbraio 2011, n. 10, che ne
aveva differito l’efficacia al 31.12.2011 – mira nella sostanza ad
accreditare la tesi della inapplicabilità di una disciplina decadenziale,
non ancora vigente ratione temporis, in base al richiamo di principi
difformi da quelli ben delineati dalla Corte di cassazione; quest’ultima
ha, invero, pertinentemente ed in modo consequenziale alle premesse
suesposte in ordine alla non necessità di indicazione nel ricorso
cautelare di petitum e causa petendi, attribuito rilievo alla circostanza
che il ricorso di merito allo stesso contestuale non potesse di certo
valere a fini interruttivi del termine decadenziale in rapporto a pretese
formulate nel successivo giudizio di merito proposto con ricorso
depositato il 4.10.2013, relativo a diversa causa petendi (carattere
discriminatorio del licenziamento);
6. il richiamo a differenti principi validi con riguardo a normativa
vigente all’epoca del primo ricorso giudiziale del 25.3.2011 (con il
quale era dedotta l’illegittimità del licenziamento dell’8.3.2011) rileva,
dunque, quale prospettazione di error in iudicando, attinente a profili
valutativi della successione di vicende processuali relative ad uno
stesso licenziamento, rifluenti sulla individuazione del regime
decadenziale applicabile, che, come già detto, non rientrano nel
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della normativa sulla decadenza – ritenuta non ancora vigente ratione

paradigma dell’errore revocatorio dedotto ai sensi dell’art. 395 comma
4 c.p.c.;
7. per tutto quanto esposto, deve pervenirsi, in conformità alla
proposta del relatore, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso
con ordinanza, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., non incidendo

svolte dal ricorrente nella memoria depositata prima dell’adunanza;
8.

le spese del giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e si

liquidano nella misura indicata in dispositivo;
9. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR
115 del 2002;

dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il Ranieri al
pagamento delle spese del presente giudizio di revocazione, liquidate
in euro 200,00 per esborsi curo 3000,00 per compensi professionali,
oltre accessori come per legge; • nonché al rimborso delle spese
forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei
ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo- unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13, comma ibis, del citato
D.P.R..
Così deciso in Roma in data 8.11.2017
Il Presidente
Dott. Adriana Doronzo

nel senso di un approdo decisorio di diverso segno le considerazioni

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