Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29546 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 16/11/2018), n.29546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19233-2011 proposto da:

SALUMIFICIO MINOLI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GUIDO

D’AREZZO 32, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO CAVALIERE, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIAN CARLO

TOVAGLIERI, CLAUDIO ANDREA TOVAGLIERI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI GALLARATE in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE SEDE CENTRALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 55/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 01 giugno 2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA D’OVIDIO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Con distinti ricorsi proposti dinanzi alla C.T.P. di Varese, Salumificio Minoli s.r.l. impugnava due avvisi di accertamento IRPEG, IRAP ed IVA, relativi agli esercizi chiusi rispettivamente in data 30 giugno 2003 e 30 giugno 2004, con i quali erano stati rettificati i redditi dichiarati accertando maggiori imposte dovute, quanto al primo anno, per Euro 137.203,00, e, quanto all’anno successivo, per Euro 142.196,00, oltre sanzioni ed interessi.

Gli avvisi originavano da un processo verbale di constatazione, redatto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Gallarate, e si fondavano su quanto emerso nel corso di una verifica parziale effettuata nei confronti della società CHIMITEZ s.p.a., cliente di Salumificio Minoli s.r.l..

In particolare, risultava che la CHIMITEX, negli anni 2002 e 2003, aveva acquistato dalla società odierna ricorrente confezioni regalo, contenenti alimenti e bevande, destinate ad essere utilizzate quali omaggi a clienti e fornitori: nel corso della verifica, tuttavia, era stata rinvenuta una fattura del Salumificio Minoli alla quale era annesso un foglietto manoscritto (del tipo post-it) recante prezzi delle confezioni tutti superiori a quelli fatturati, ad eccezione di quelli relativi alla confezione denominata di “tipo A”. Il fatto che tali importi trascritti sul foglietto fossero i prezzi effettivi di acquisto della confezioni regalo era confermato dalla signora S., procuratrice della CHIMITEX.

Contro tale tesi il Salumificio eccepiva la non riferibilità a sè del documento, trattandosi di atto extracontabile, peraltro proveniente da altra ditta, e l’inattendibilità delle dichiarazioni rilasciate nell’immediatezza dalla signora S., in quanto dalla stessa subito modificate. La società contestava anche la ricostruzione dei ricavi nonchè le riprese per costi non documentati, non di competenza o indeducibili.

L’Ufficio confermava la validità dei rilievi mossi.

2. La Commissione tributaria provinciale di Varese, con sentenza n. 61/06/2008, previa riunione dei ricorsi, li rigettava relativamente ai maggiori ricavi accertati e li accoglieva nel resto.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello la società eccependo, in via preliminare, la carenza di motivazione del provvedimento impugnato e la mancata pronuncia su punti decisivi della controversia, e riproponendo, nel merito, le argomentazioni già addotte nel giudizio di primo grado.

L’Ufficio appellato si costituiva contestando le avverse deduzioni e spiegando, a sua volta, appello incidentale relativamente a quella parte della sentenza che aveva accolto il ricorso disconoscendo il recupero dei costi.

4. La Commissione Tributaria Regionale di Milano, con sentenza n. 55/15/10, del 25 gennaio 2010, depositata l’1 giugno 2010 e non notificata, respingeva sia l’appello principale che l’appello incidentale, compensando le spese.

5. Per la cassazione di tale sentenza la società Salumificio Minoli a r.l. ha proposto ricorso fondato su due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39”.

Lamenta la società ricorrente che la CTR, nel confermare la legittimità dell’accertamento dei maggior ricavi di vendita operato dall’Ufficio, avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti quelle presunzioni gravi, precise e concordanti che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, consentono agli Uffici di procedere alla rettifica del reddito di impresa. Ciò in quanto tali presunzioni sarebbero state ravvisate in un documento extracontabile (consistente in un post-it) rivenuto, non già presso la sede dell’azienda verificata (Salumificio Minoli s.r.l.), bensì presso terzi (la cliente Chimitez s.p.a.), nonchè proveniente da un soggetto diverso dall’imprenditore e, per di più, apocrifo. Inoltre, per suffragare il significato attribuito a tale documento dall’Ufficio sarebbero state illegittimamente utilizzate le dichiarazioni di un dipendente della stessa Chimetex, tra l’altro successivamente non confermate, in violazione del divieto della prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

1.1 La censura è inammissibile.

La ricorrente, invero, non ha prospettato alcuna violazione o falsa applicazione delle norme evocate nell’intitolazione del motivo, nè ha indicato affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si porrebbero in contrasto con tali norme, essendosi limitata a contestare la valenza probatoria riconosciuta al documento extracontabile (un post it) e alla dichiarazione di un dipendente della Chimitex.

Le censure, inoltre, neppure assumono che il giudice di merito avrebbe erroneamente sussunto sotto i tre caratteri individuatoti della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sarebbero rispondenti a quei requisiti (vizio che sarebbe censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: cfr. Cass., sez. 3, 4/8/2017, n. 19485, Rv. 645496-02), ma contestano tout court il valore probatorio (e non quello di semplici indizi) solo di alcuni dei singoli fatti considerati dalla CTR, peraltro senza censurare anche la valutazione complessiva che da quegli elementi ha tratto il giudice di merito.

Giova in proposito ricordare che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,dispongono che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”.

In tema di presunzioni, poi, questa Corte ha chiarito che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, il quale “è impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono” (Cass., sez. 6-5, 7/6/2017, n. 14237, Rv. 644435 – 01; Cass. 23/4/2010, n. 9784, Rv. 612593 – 01).

La valutazione delle prove indiziarie, dunque, si articola necessariamente in due momenti valutativi: il primo, incentrato su una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi (Cass., sez. 6-5, 2/3/2017, n. 5374, Rv. 643327 – 01; Cass. sez. 5, 6/6/2012, n. 9108, Rv. 622995 – 01), atteso che tali elementi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, possono essere in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass., sez. 3, 12/04/2018, n. 9059, Rv. 648589 – 01).

Nella specie, la ricorrente nulla ha dedotto con riferimento al secondo necessario profilo di applicabilità della prova presuntiva, avendo incentrato le critiche solo sulla forza probatoria di singoli fatti, peraltro correttamente considerati dalla CTR come elementi presuntivi semplici (e non forniti di valenza probatoria ex se).

In particolare, per quanto riguarda il “post it rinvenuto in sede di verifica presso altra impresa, è sufficiente richiamare il principio già affermato da questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, primo comma, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (Cfr., Cass., sez. 5, 24/9/2014, n. 20094, Rv. 632341 – 01, relativa ad un avviso di accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo; Cass., sez. 5, 16/11/2011, n. 24051, Rv. 620184 – 01, relativa alla ricostruzione di redditi di persona fisica derivanti da collaborazione coordinata e continuativa in favore di una società, operata mediante il ricorso a “brogliacci” reperiti presso la sede di quest’ultima, nonchè presso l’abitazione dell’amministratore e dei soci).

Per quanto riguarda, poi, il valore presuntivo attribuito alle dichiarazioni della dipendente della Chimatez, signora S., il ricorrente afferma che quest’ultima avrebbe ritrattato (rectius: non confermato) le sue dichiarazione all’esito di un secondo esame da parte dei verbalizzanti, ma non indica in quale atto sarebbe rinvenibile tale successiva “ritrattazione”, nè specifica se sul punto sia stato sollevato un motivo di appello, indicazioni entrambe indispensabili ai fini dell’ammissibilità del motivo, tanto più che la sentenza impugnata non contiene alcun cenno alla questione di una asserita “ritrattazione” da parte della signora S..

Anche con riferimento a tale profilo della censura il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato, atteso che, come già affermato da questa Corte, “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella senten.za impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (cfr., Eurox. multis, Cass., sez. 6-1, 13/06/2018, n. 15430, Rv. 649332 – 01; Cass., sez. 3, 21/11/2017, n. 27568, Rv. 646645 – 01).

E’ appena il caso di aggiungere che, nella specie, neppure viene in rilievo il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, atteso che, come già affermato da questa Corte, tale norma si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (Cass., sez. 5, 7/4/2017, n. 9080, Rv. 643624 – 01); nè è con ciò violato il principio della cosiddetta “parità delle armi”, di cui all’art. 111 Cost., atteso che – in forza di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 – anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il medesimo valore probatorio (Cass., sez. 5, 29/7/2005, n. 16032, Rv. 583725 – 01).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la “violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

In particolare, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto determinante il dato extracontabile decifrato dal documento (anche) in base alla dichiarazioni della signora S., dipendente della Chimatex s.p.a., senza tuttavia considerare la successiva ritrattazione di quest’ultima, ed avrebbe poi avvalorato l’accertamento induttivo senza tener conto della tipologia dell’azienda (a struttura artigianale) e della clientela alla quale è destinata la produzione di quest’ultima, elementi che, invece, sarebbero sintomatici dell’abnormità del quantitativo sottofatturato.

2.1 Il motivo è inammissibile.

In primo luogo va ribadita l’inammissibilità della censura relativa alla asserita ritrattazione della signora S., per le ragioni già indicate al punto che precede.

Analogamente, con riferimento alla dedotta omessa considerazione, ai fini dell’accertamento induttivo, della tipologia dell’azienda e della sua clientela, la censura è inammissibile per novità, trattandosi di questioni di fatto che non risultano essere state prospettate nei precedenti gradi di giudizio, come eccepito anche dalla controricorrente, nè in questa sede la società ricorrente ha allegato, come era suo onere, l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito e fornito indicazioni sugli atti del giudizio precedente con i quali tale deduzione sarebbe stata fatta (Cass. n. 15430/2018 e n. 27568/2017, cit.).

Inoltre, a ben vedere la censura si risolve in una contestazione circa la valutazione operata dalla CTR sulla valenza probatoria complessiva degli elementi indiziari considerati, la quale attiene al merito ed è impugnabile in cassazione esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono (Cass., n. 14237/2017, Cass. n. 9784/2010, cit.).

Inadeguatezza ed incongruità che, nella specie non sono ravvisabili, avendo la CTR coerentemente e logicamente considerato “la relazione tra post-it e fattura e, di conseguenza, tra post-it ed il salumificio Minoli” (desunta dalla circostanza che il post-it era materialmente annesso alla fattura), nonchè la conferma di tale relazione fornita dalle dichiarazioni della signora S. (procuratrice della società Chimitex), il tutto valutando altri elementi convergenti, quali la mancata congruità con gli studi di settore, la particolarità della situazione reddituale, l’incongruità dei ricavi rispetto ai costi sostenuti, i prezzi di vendita in fattura (risultati pressochè uguali per le diverse tipologie di confezioni, benchè diversi nella composizione sia per qualità che per quantità di beni contenuti).

Ciò posto, vale ribadire il principio secondo il quale, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, applicabile ratione temporis) non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., sez. 6-5, 28/3/2012, n. 5024, Rv. 622001 – 01; Cass., sez. 6-5, 07/1/2014, n. 91, Rv. 629382 01).

Peraltro, neppure è consentito alla parte, deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, di censurare (come nella specie) la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass., sez. 1, 30/3/2007, n. 77972, Rv. 596019 – 01).

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna la ricorrente alle spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro 7.800,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, dalla 5^ sezione civile della Corte di cassazione, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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