Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29546 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 14/11/2019), n.29546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28460-2017 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato BARBARA PICCINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE REALE giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 411/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 18 febbraio 2009, M.F. conveniva in giudizio P.G., asserendo che in data 18 febbraio 2008 aveva da questi acquistato un motociclo al prezzo di Euro 3.000,00 e che, solo a seguito del ritiro del certificato di proprietà, era venuto a conoscenza di un provvedimento di fermo amministrativo del motociclo risalente all’8 settembre 2006. Ritenendo quindi che il contratto andasse considerato come compravendita a effetti reali immediati, chiedeva, previo l’accertamento di una serie di spese sostenute a causa dell’impossibilità di fruire del mezzo, tra cui quelle di revisione periodica, di assicurazione, di manutenzione e di tasse automobilistiche, che fosse riconosciuto il diritto alla sospensione del pagamento del prezzo, stante l’inadempimento della controparte, con riserva di agire per la risoluzione del contratto e per il ristoro dei danni.

Ritualmente costituitosi in giudizio, P.G. contestava la qualificazione del contratto operata da parte attrice, ritenendo che esso andasse inteso quale vendita con riserva di proprietà, ed affermava che il prezzo pattuito non fosse di Euro 3.000,00, bensì di Euro 3.750,00, di cui l’attore aveva versato solo i primi Euro 1.500,00, ragion per cui chiedeva la condanna del M. all’esecuzione del contratto, e quindi al versamento del prezzo ancora dovuto, chiedendo, in subordine, la risoluzione del contratto con condanna dell’attore all’equo compenso per l’uso del motociclo oltre al risarcimento del danno.

Con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, l’attore specificava la domanda, concludendo, oltre che per il rigetto della riconvenzionale, anche per l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni scaturenti dal fermo amministrativo, il cui ammontare doveva essere compensato con il residuo prezzo ancora dovuto.

Il Tribunale di Lecce con sentenza n. 2752/2014, accertata l’avvenuta compravendita del bene e l’esistenza del provvedimento di fermo al momento della vendita, accoglieva la domanda attorea e quantificava il danno subito dall’attore in Euro 1.500,00, compensando integralmente il prezzo residuo da versare al convenuto col risarcimento del danno dovuto all’attore; rigettava, inoltre la domanda riconvenzionale del P., e condannava quest’ultimo al pagamento delle spese legali.

Per la riforma della pronuncia di primo grado P.G. proponeva appello dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce chiedendo l’accoglimento della domanda riconvenzionale rigettata in primo grado, e dunque, la condanna dell’appellato al pagamento della somma di Euro 2.250,00 oltre interessi, nonchè di quella di Euro 680,00 quale corrispettivo per la vendita di due caschi con “apparecchi interfon”, con la condanna altresì alla restituzione della somma di Euro 900,00 versata per il pagamento delle spese del giudizio di primo grado.

Costituitosi con comparsa di risposta in appello, M.F. chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma delle statuizioni di primo grado.

Con sentenza n. 411/2017 la Corte d’Appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello, riformava parzialmente la sentenza del giudice di prime cure ritenendo che, se doveva reputarsi dimostrata l’esistenza di un contratto di compravendita, relativamente al quale era da reputarsi congruo il corrispettivo individuato in Euro 3.000,00 dal giudice di prime cure, tuttavia non era stata fornita la prova del mancato uso del ciclomotore durante il periodo di vigenza del fermo, sicchè andava ridotto l’importo riconosciuto a titolo di danni, nella minore cifra di Euro 700,00.

M.F. propone oggi ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’intimato P.G. non ha svolto difese in questo grado di giudizio.

Con il primo motivo di ricorso si censura la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., (pronuncia oltre i limiti della domanda) art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il P. con atto di appello non avrebbe proposto alcuna specifica doglianza relativa alla misura del risarcimento del danno riconosciuto in primo grado. Egli si sarebbe unicamente limitato a lamentare, nel corpo dell’atto, di una generica ingiustizia della sentenza, senza però muovere una specifica critica alle parti della sentenza del Tribunale concernenti il capo di domanda sul risarcimento del danno, sul quale, pertanto, si sarebbe formato il giudicato.

La Corte d’Appello avrebbe così ridotto il danno d’ufficio, in assenza cioè di una specifica censura sul punto e di una precisa impugnazione al riguardo, violando così il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, limitandosi ad affermare che “non è stata mai fornita la prova del non uso del ciclomotore” ragion per cui “il risarcimento va opportunamente ridotto”.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., (decisione su fatti non provati) art. 360 c.p.c., n. 4″.

Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe posto a fondamento della decisione fatti mai allegati dalle parti, sui quali sarebbe mancata del tutto la prova, in violazione dell’art. 115 c.p.c..

La riduzione del risarcimento del danno si fonderebbe unicamente sull’asserzione dell’assenza di prova del mancato uso del ciclomotore nel periodo del fermo, circostanza solo presunta dal Tribunale. Tuttavia il fatto modificativo del diritto al risarcimento del danno, sostanziantesi nell’utilizzo del mezzo nel periodo di fermo amministrativo” non sarebbe mai stato allegato dall’appellante, sicchè i giudici di secondo grado non avrebbero, comunque, potuto porlo a fondamento della decisione.

L’appellante non avrebbe mai affermato che il veicolo fosse stato utilizzato nel periodo di fermo e che ciò comportasse una riduzione del risarcimento e così la Corte avrebbe pronunciato in contrasto all’art. 115 c.p.c., che prescrive che il giudice ponga a fondamento della decisione i fatti provati dalle parti, ma che, al contrario, nel caso di specie, non sarebbero neppure stati allegati.

I motivi di ricorso, per la loro stretta connessione, possono trattarsi congiuntamente e devono entrambi ritenersi fondati con conseguente accoglimento del ricorso.

Invero, ad avviso del Collegio; la Corte d’appello si è pronunciata esorbitando dalle richieste dell’appellante, il quale non ha proposto uno specifico motivo di appello volto ad impugnare il capo della sentenza relativo alla misura del risarcimento del danno, ma si era limitato a chiedere l’accoglimento della domanda riconvenzionale nell’importo indicato in primo grado, reiterando la tesi secondo cui sarebbe stata offerta la prova del maggior prezzo per l’acquisto.

In relazione al profilo dell’entità del danno, m. invero un motivo di appello dotato dei caratteri della specificità, avendo la parte genericamente dedotto l’assenza di prova, ma con un’argomentazione che si correla sempre alla tesi oggetto invece delle ben più articolate doglianze, della diversa entità del prezzo di compravendita del veicolo.

Pertanto i giudici dell’appello una volta disattesa la domanda riconvenzionale avrebbero dovuto limitarsi a rigettare l’appello, senza poter anche investire con la riforma una statuizione che non risultava validamente attinta dal gravame. Ed, invero, una volta ribadito che era il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale a rappresentare l’oggetto dell’unica effettiva censura mossa con l’atto di appello, al giudice di seconde cure non era consentito incidere sulla misura del risarcimento del danno.

Il ricorso è dunque fondato.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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