Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29542 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 14/11/2019), n.29542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27019-2017 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

107, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GELERA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO SPILLARE giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M., G.L., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA DELLA CONCILIAZIONE, 44, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO

SEGATO, rappresentate e difese dagli avvocati GIOVANNI MANFREDINI,

ANDREA LETTER giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

B.L., B.D.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1848/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

G.L. e S.M., deducendo di essere eredi legittime della defunta G.A.M., deceduta vedova e senza figli in data 6/2/2004, convenivano in giudizio E.G., al fine di ottenere la declaratoria di nullità del testamento olografo con il quale il convenuto era stato istituito erede universale, assumendo la falsità dello stesso nonchè la sua annullabilità per essere stato redatto allorquando la testatrice era incapace di intendere e di volere.

Nella resistenza del convenuto, ed integrato il contraddittorio nei confronti degli altri eredi legittimi, B.L., B.D. e G.S., il Tribunale di Vicenza con la sentenza n. 233 del 3 febbraio 2016 ha dichiarato la nullità del testamento in quanto apocrifo, accertando che le attrici erano eredi della de cuius per la quota di 2/8 pro capite.

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1848 del 6 settembre 2017 ha rigettato l’appello dell’ E..

Per quanto ancora rileva in questa sede, dopo avere ritenuto che correttamente non si era addivenuti alla declaratoria di invalidità del testamento passando attraverso il procedimento incidentale di verificazione, alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 12307/2017, disattendeva gli ultimi tre motivi di appello che investivano la valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di primo grado.

In tal senso rilevava che le attrici avevano avanzato rituali richieste istruttorie e tra queste avevano ottenuto l’espletamento di una CTU grafologica la quale era pervenuta alla conclusione della natura apocrifa del testamento.

I giudici di appello ritenevano condivisibile il metodo di indagine seguito dall’ausiliario d’ufficio, evidenziando quelle che erano le divergenze rispetto alle scritture di comparazione delle quali si era avvalsa, confutando in maniera puntuale le osservazioni critiche del ctp di parte appellante.

Quanto alla divergenza con la conclusione alla quale era pervenuto il perito nominato dal GIP in sede penale, che aveva appunto ravvisato l’autenticità del testamento, la sentenza d’appello riteneva che gli elementi che a detta del consulente di parte E. avrebbero legittimato le divergenze (e cioè il particolare stato d’animo della scrivente al momento della stesura del testamento) non apparivano decisivi in quanto nella scrittura devono sempre rinvenirsi della caratteristiche salienti che ne consentono la riferibilità all’autore, quali che siano il suo grado di attenzione, concentrazione ed il suo stato d’animo.

Nè apparivano meritevoli di condivisione le contestazioni quanto all’utilizzo delle scritture di comparazione, in quanto, ancorchè nel fascicolo penale acquisito ai fini della redazione della CTU, non fossero state rinvenute tutte le scritture di comparazione delle quali si era invece avvalso il perito nominato dal GIP, erano state esaminate numerose scritture, alcune delle quali costituite da sottoscrizioni della testatrice ed altre da svariati appunti manoscritti, che avevano permesso all’ausiliario di ufficio di formare soddisfacentemente il proprio convincimento.

Infine alcun rilievo assumevano le prove orali in quanto le circostanze riferite dai testi avrebbero potuto avere una incidenza solo laddove il testamento fosse risultato autentico. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso E.G. sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso G.L. e S.M..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza gravata e del procedimento per effetto della nullità della CTU, in quanto lesiva del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa, di cui agli artt. 101 e 24 Cost. con la conseguente nullità di tutti gli atti successivi.

Assume il ricorrente che il CTU non avrebbe esaminato tutte le scritture utilizzate invece dal consulente in sede penale, e che avevano permesso di addivenire alla conclusione circa l’autenticità del testamento.

In particolare, sebbene il mandato conferito al CTU in sede civile prevedesse l’utilizzo delle medesime scritture di comparazione già esaminate in sede penale, l’acquisizione del fascicolo penale non aveva consentito di rinvenire tutte le sottoscrizioni della de cuius in precedenza esaminate, in quanto alcune delle scritture erano state restituite alle banche presso le quali erano state a loro volta acquisite.

Il mancato esame di tutti i documenti di comparazione ha quindi leso il diritto di difesa del ricorrente, con la conseguente nullità della consulenza d’ufficio, come contestato già nel corso delle operazioni peritali ed in occasione della prima udienza successiva al deposito della CTU.

In subordine si lamenta che in tal modo sarebbe stato modificato il quesito conferito al CTU senza il consenso della difesa del ricorrente.

Il secondo motivo deduce sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza d’appello per carenza assoluta di motivazione e conseguente lesione dell’art. 111 Cost., comma 6, in quanto pur essendosi dato atto delle critiche formulate dal ricorrente con l’atto di appello, la sentenza gravata non fornisce la minima motivazione in merito alle ragioni per le quali le censure stesse andavano disattese.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Ed, invero le doglianze del ricorrente vertono essenzialmente sulla circostanza che il CTU nominato in sede civile è pervenuto alla conclusione circa la falsità del testamento del quale il ricorrente è beneficiario, avvalendosi solo di alcune delle scritture di comparazione delle quali si era a suo tempo avvalso il perito del giudice penale, sicchè tale limitato impiego delle scritture comparative costituisce causa di nullità dell’elaborato peritale, tempestivamente eccepita, atteso anche che solo la disamina complessiva di tutte le scritture di comparazione avrebbe permesso di avvedersi dell’autenticità del testamento, e ciò conformemente alle conclusioni del perito nominato dal GIP.

Ed, invero, anche a voler ritenere che l’ambigua deduzione difensiva sollevata dalla difesa del ricorrente alla prima udienza successiva al deposito della CTU (” la CTU in questione appare nulla o quanto meno irrilevante ai fini del giudizio in quanto: 1. E’ stata svolta solo parzialmente, tralasciando aspetti decisivi, rispetto a quelli inseriti nella perizia penale;…”), mancando un chiaro riferimento alla verifica compiuta solo sulla base di alcune scritture di comparazione, stante l’assenza nel fascicolo penale acquisito di tutte le scritture che aveva invece avuto modo di esaminare il perito penale, non appare legittimamente estensibile al caso in esame la diversa conclusione della giurisprudenza secondo cui è causa di nullità della CTU grafologica l’utilizzo di scritture di comparazione diverse da quelle indicate dal giudice ai sensi dell’art. 217 c.p.c. (per tale ipotesi si veda Cass. n. 13401/2005).

Viceversa nella vicenda in esame, il CTU si è avvalso in ogni caso di scritture di comparazione che erano state indicate dal giudice (e sulle quali non vi era contestazione tra le parti), ma gli si imputa di non avere invece esaminato tutte quelle che secondo l’intento del giudice al momento del conferimento dell’incarico dovevano costituire oggetto di indagine comparativa.

Ed, invero, ancorchè questa Corte in un non recente precedente abbia affermato il principio secondo cui (Cass. n. 2072/1964) una volta che siano state dal giudice ammesse, per la comparazione con quella oggetto di disconoscimento, diverse scritture provenienti dalla persona rispetto alla quale è contestata la paternità della prima, il consulente tecnico di ufficio non è tenuto ad esaminare tutte le dette scritture, ove reputi conducenti allo scopo l’esame soltanto di alcune di esse (il che denoterebbe l’infondatezza in radice della censura mossa), è comunque principio riaffermato anche di recente quello secondo cui (Cass. n. 13844/1999) spetta al giudice del merito stabilire quali scritture debbano servire di comparazione, senza esser vincolato da alcuna graduatoria tra le varie fonti di accertamento dell’autenticità (conf. Cass. n. 5648/1984).

Sebbene il mandato originario contemplasse la possibilità per il CTU di potersi avvalere di tutte le scritture di comparazione che erano in origine presenti nel fascicolo del procedimento penale, una volta riscontrata l’assenza di alcune delle sottoscrizioni (per essere state restituite alle banche presso cui i documenti erano stati acquisiti), della circostanza è stato reso edotto il giudice in un’apposita udienza, all’esito della quale l’ausiliaria è stata invitata a proseguire nell’espletamento dell’incarico.

A prescindere dall’assenza di una formale opposizione sollevata dalla difesa del ricorrente all’esito di tale udienza tenutasi in data 5 dicembre 2007, e ribadito che permane, alla luce di quanto sopra esposto, il potere del giudice di individuare quelle che ritiene essere fondamentali come scritture di comparazione ai fini della decisione, anche con la possibilità di restringerne l’individuazione rispetto all’originaria scelta, con valutazione questa che non determina un mutamento del mandato (che resta sempre quello di accertare la autenticità della grafia della testatrice) – mutamento che ben potrebbe essere compiuto anche in assenza di consenso delle parti, trattandosi di strumento istruttorio rimesso ai poteri officiosi del giudice – a confutare la fondatezza delle doglianze di parte ricorrente resta la valutazione compiuta sia dal giudice di primo grado che dal giudice di appello circa la sufficienza e completezza delle indagini svolte dall’ausiliario di ufficio, della quale sono state condivise le soluzioni.

In tal senso appaiono assolutamente confortanti le motivazioni del giudice di appello, il quale a pag. 9 della sentenza gravata, nel rispondere all’analoga obiezione mossa con i motivi di appello, ha evidenziato che, oltre ad esservi stata una accettazione dell’operato del CTU in ordine alla scelta delle scritture comparative (e ciò alla luce dell’esito dell’udienza del 5 dicembre 2007), ha escluso che vi fosse una nullità della consulenza “anche in considerazione della copiosità del materiale a disposizione, comprensivo non solo di nove firme, ma anche di svariati appunti manoscritti”.

Trattasi di affermazione che denota la valutazione di completezza dell’attività di indagine del CTU, sul presupposto che le scritture di comparazione utilizzate, sebbene non fossero tutte quelle in origine presenti nel fascicolo penale, fossero per la loro quantità e tipologia assolutamente idonee a confortare ed a giustificare la valutazione dell’ausiliario d’ufficio, e di riflesso quella del giudice di primo grado e quindi la propria.

Il passaggio motivazionale sopra riportato denota altresì come in realtà le contestazioni mosse alla validità ed all’utilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio siano state esaminate e valutate dal giudice di secondo grado con adeguata motivazione, il che esclude altresì la ricorrenza del dedotto vizio di nullità della sentenza per carenza di motivazione, occorrendo a tal fine tenere conto anche della regola del cd. minimo costituzionale della motivazione quale emergente dagli arresti delle Sezioni Unite (Cass. nn. 8053 ed 8054 del 2014) all’esito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per le intimate che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore delle controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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