Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29540 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 14/11/2019), n.29540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26281-2017 proposto da:

F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE

CAROLIS 34-B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA LUIGIA

MEZZOGORI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.E., F.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

P.ZA CAMERINO 15, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

VICINANZA, rappresentati e difesi dall’avvocato SIMONE FERRONI

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2131/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 21/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate da entrambe le parti;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

F.V. conveniva i germani F.E. e F.L. dinanzi al Tribunale di Ferrara affinchè fosse accertata la natura relativamente simulata dell’atto di compravendita del 5 novembre 1983, con il quale il comune genitore aveva alienato ai convenuti un appezzamento di terreno, trattandosi in realtà di una donazione, la quale andava ridotta, essendo lesiva della quota di riserva dell’attore.

Nella resistenza dei convenuti i quali deducevano che la vendita era invece effettiva, il Tribunale adito con la sentenza n. 799/2014 rigettava la domanda, in quanto reputava che gli elementi indiziari offerti dall’attore non fossero in grado di documentare la dedotta simulazione.

La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 2131 del 21 settembre 2017 ha rigettato l’appello proposto da F.V..

Pur ribadendo che l’attore, in quanto legittimario, era legittimato a provare la simulazione anche a mezzo di presunzioni, riteneva che il quadro indiziario non fosse in grado di fornire la prova dell’assunto attoreo.

Infatti, rilevava la sentenza d’appello che, se il de cuius era divenuto assegnatario del fondo con patto di riservato dominio in favore dell’ERSA Ente Delta Padano con atto del 1969, a quella data già risiedevano sul posto i convenuti che prestavano la propria opera di braccianti agricoli insieme al padre ed in via continuativa.

A tal riguardo i convenuti avevano dedotto l’esistenza di un accordo intervenuto con il padre per effetto del quale gli stessi avrebbero acquistato la proprietà del fondo, anticipando al genitore le somme necessarie per il riscatto del bene, consentendo al padre di trattenere parte del loro guadagno derivante dalla detta attività di braccianti agricoli, e conservando solo quanto serviva loro per il mantenimento delle famiglie.

Tali versamenti erano sempre avvenuti in maniera fiduciaria ed in contanti.

Quindi, giunti nel 1983, provvedutosi al riscatto anticipato del fondo da parte del de cuius, coevamente si provvide anche alla vendita in favore dei convenuti, e che venne versato al genitore solo quanto ancora residuava a titolo di prezzo, al netto di quanto in passato trattenuto dal genitore, avendo poi provveduto al pagamento del residuo prezzo di riscatto ancora dovuto all’ente originario proprietario.

Alla luce di tale deduzione, secondo i giudici di appello l’elemento della presenza di testi in occasione della vendita non appariva risolutivo, atteso che lo stesso alienante aveva dichiarato di avere difficoltà a sottoscrivere per ragioni di età, mentre la moglie del venditore, che pur aveva preso parte all’atto, aveva dichiarato di non sapere sottoscrivere in quanto illetterata.

Ne derivava quindi che la presenza dei testi era obbligata, e non poteva essere ritenuta indicativa della volontà di munire l’atto della forma idonea anche per la donazione.

Ancora appariva equivoco il rapporto di parentela tra le parti, mentre privo di carattere indiziario era il fatto che alla morte del venditore non fossero state rinvenute liquidità, atteso il notevole lasso di tempo trascorso dalla data della vendita (1983) a quella della morte (2011), ben potendosi ritenere che il prezzo conseguito fosse stato utilizzato per far fronte negli anni al proprio sostentamento.

Quanto al versamento del prezzo, ancorchè le prove dei convenuti fossero generiche, ad avviso della Corte d’Appello doveva però ritenersi che la deduzione dei convenuti fosse del tutto verosimile, rispondendo a costumi e consuetudini del mondo contadino per la regolamentazione dei rapporti di proprietà terriera.

Pertanto, anche a non voler attribuire valore vincolante alla quietanza contenuta nell’atto, non poteva però ravvisarsi il carattere fittizio della vendita.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso F.V. sulla base di due motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata da parte controricorrente in relazione al disposto di cui all’art. 369 c.p.c., per non essere stata prodotta copia autentica del provvedimento impugnato, occorrendo da un lato rilevare che il ricorso risulta essere stato proposto entro sessanta giorni dalla stessa pubblicazione della sentenza gravata (il che rende irrilevante la produzione anche della relata di notifica (cfr. Cass. n. 17066/2013, nonchè Cass. S.U. n. 8312/2019), e dall’altro dare atto che il ricorrente, oltre a depositare copia della sentenza impugnata già recante l’attestazione di conformità ad opera del difensore della controparte in occasione della sua notifica (per l’impossibilità di esigere una cd. doppia attestazione, ove la stessa già sia stata apposta in relazione al provvedimento in occasione della notifica, si veda la già citata Cass. S.U. n. 8312/2019), ha altresì provveduto nuovamente ad attestarne la conformità evidenziando che si trattava di provvedimento originale digitale estratto dal fascicolo telematico.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.

I giudici di appello nel ritenere privi di univocità gli elementi indiziari addotti dal ricorrente ai fini della prova della simulazione relativa dell’atto impugnato hanno in sostanza sovvertito l’onere della prova, atteso anche che la stessa sentenza dà atto che le prove addotte dai convenuti al fine di documentare l’avvenuto pagamento del prezzo erano generiche.

Invece, in presenza di elementi che confortano la simulazione è onere del convenuto dimostrare che il prezzo è stato effettivamente versato.

Il motivo è infondato.

I giudici di appello, pur partendo dal corretto principio secondo cui il legittimario è da considerarsi terzo ai fini della prova della simulazione degli atti posti in essere dal de cuius, in quanto volti a dissimulare una donazione, potendo quindi avvalersi anche della prova presuntiva ai fini della relativa dimostrazione, hanno tuttavia ritenuto che gli elementi indiziari offerti fossero privi dei caratteri che, ai sensi dell’art. 2729 c.c., consentono loro di assurgere al rango di prova.

In tal senso deve ricordarsi che essendo la presunzione semplice affidata alla “prudente” valutazione del decidente (art. 2729 c.c.), spetta al giudice di merito valutare la possibilità di fare ricorso a tale tipo di prova, scegliere i fatti noti da porre a base della presunzione e le regole d’esperienza – tra quelle realmente esistenti nel sapere collettivo della società – tramite le quali dedurre il fatto ignoto, valutare la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge; trattandosi di apprezzamento affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, esso è sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato (Sez. 3, Sentenza n. 8023 del 02/04/2009, Rv. 607382; Sez. L, Sentenza n. 15737 del 21/10/2003, Rv. 567551; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003, Rv. 565726; da ultimo, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 101 del 08/01/2015, Rv. 634118).

Tali principi sono stati poi costantemente riaffermati anche nella materia della prova della simulazione avendo la Corte ribadito che (cfr. Cass. n. 903/2005) in tema di simulazione, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo l'”id quod plerumque accidit”, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (conf. Cass. n. 22801/2014 che ribadisce come spetti al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico; Cass. n. 11372/2005).

Cass. n. 11372/2005 ha altresì precisato che alla dichiarazione relativa al versamento del prezzo, pur contenuta in un rogito notarile di una compravendita immobiliare, non può attribuirsi valore vincolante nei confronti del creditore (ovvero come nel nostro caso del legittimario), atteso che questi è terzo rispetto ai soggetti che hanno posto in essere il contratto, e che possono trarsi elementi di valutazione circa il carattere fittizio del contratto dalla circostanza che il compratore, su cui grava l’onere di provare il pagamento del prezzo, non abbia fornito la relativa dimostrazione (conf. Cass. n. 22454/2014), ma tuttavia deve escludersi che sia stata posta in essere un’indebita inversione dell’onere della prova.

Ed, invero, come si ricava dalla argomentata e logica motivazione del giudice di appello, la quale ricalca le motivazioni del Tribunale, l’esclusione della natura simulata dell’atto oggetto di causa è il frutto di una disamina dei vari elementi indiziari, compiuto sia singolarmente, nella parte in cui si è escluso che ognuno di essi fosse di per se indicativo della natura fittizia della vendita, ma anche complessiva, laddove si è sottolineato che la tesi di parte ricorrente appariva smentita dalla diversa ricostruzione offerta dai convenuti che risultava maggiormente verosimile, alla luce delle consuetudini del mondo contadino, constando il trasferimento della proprietà da padre a figli di norma effettuato secondo le modalità indicate dai convenuti.

In tal senso la sentenza gravata, pur dando atto del carattere non vincolante della quietanza contenuta nell’atto impugnato, ha tuttavia ritenuto che, anche prescindendo dall’espletamento dei mezzi di prova richiesti dai convenuti, potesse comunque ritenersi raggiunta la prova del pagamento del prezzo, e secondo le modalità suggerite dai controricorrenti, rispondendo le stesse appunto alla consuetudine del mondo degli agricoltori. Ne deriva che il motivo proposto, solo in apparenza è volto a denunciare una violazione di legge, ma mira surrettiziamente a criticare la valutazione dei fatti come compiuta dal giudice di merito, sollecitando quindi un diverso apprezzamento del complessivo quadro indiziario, pur a fronte di una adeguata motivazione a corredo della decisione gravata.

Lo stesso quindi, proprio alla luce dei precedenti citati, non può essere accolto.

Il secondo motivo denuncia invece l’omessa valutazione di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione con riferimento alla mancanza di prova circa il pagamento del prezzo.

Il motivo è inammissibile.

Ed, invero a che a voler soprassedere circa il fatto che la questione relativa alla prova del pagamento del prezzo da parte dei convenuti è stata espressamente considerata dai giudici di appello, l’inammissibilità discende dall’applicazione dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., che risulta ratione temporis applicabile (il giudizio di appello risulta, infatti, introdotto in data successiva all’11 settembre 2012), e che per l’ipotesi di cd. doppia conforme (decisione di appello fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione di primo grado) preclude la deducibilità del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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