Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2954 del 07/02/2020

Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 07/02/2020), n.2954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34126/2018 proposto da:

K.C., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Angelico 38,

presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta

e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 344/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 16/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, K.C., cittadino della Costa d’Avorio, ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Con ordinanza del 18/8/2017 il Tribunale di Perugia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal K. è stato rigettato dalla Corte di appello di Perugia, a spese compensate, con sentenza del 16/5/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso K.C., con atto notificato il 16/11/2018, svolgendo tre motivi

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia errato esame delle dichiarazioni rese alla Commissione Territoriale e delle allegazioni da lui portate in giudizio circa la sua condizione personale.

La Corte di appello avrebbe dovuto comunque approfondire la situazione generale del paese per valutare la sussistenza di un sistema di violenza generalizzato; era del tutto mancata inoltre la considerazione del livello di integrazione sociale in Italia in funzione del tempo trascorso nel nostro Paese.

Il motivo è del tutto generico nella sua parte critica relativa alla richiesta dello status di rifugiato e non dà neppur conto delle ragioni che avrebbero giustificato il riconoscimento dello status richiesto.

La doglianza riferita alla protezione sussidiaria è invece compiutamente articolata nel motivo successivo.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento al tema della protezione sussidiaria in ragione della situazione sociopolitica attuale del Paese di origine, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, omesso esame delle fonti informative e omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

2.1. Con riferimento alla valutazione espressa circa l’inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno, il ricorrente lamenta che sia stata ignorata la documentazione da lui prodotta e che sia stata omessa la debita indagine informativa.

Era poi del tutto irrilevante che la situazione pericolosa di danno grave fosse sorta in un momento successivo alla partenza del richiedente dal paese di origine; del pari ininfluente era il motivo che aveva originato la partenza, poichè il legislatore aveva accolto il concetto di rifugiato sur piace anche in tema di protezione sussidiaria.

2.2. In ordine alla richiesta di protezione sussidiaria la Corte di appello, se pur non ha completamente omesso la motivazione, si è limitata a un inciso, per vero dettato più propriamente in sede di esame della richiesta di protezione umanitaria, quando ha affermato che “la natura privata della vicenda esclude anche che possa darsi rilievo a circostanze relative al rischio Paese”.

2.3. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), prevede il riconoscimento della protezione sussidiaria nei casi di “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Se tale situazione sussiste in linea oggettiva è totalmente irrilevante che il richiedente asilo sia espatriato per ragioni legate a una vicenda privata, di per sè non legittimante il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria “personalizzata” per le ragioni di cui dell’art. 14, lett. a) e b).

2.4. La Corte di appello, partendo da questa errata considerazione, ha totalmente omesso di assolvere al proprio dovere di cooperazione istruttoria, che trova fondamento non solo nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in tema di regole per l’esame delle domande di protezione internazionale ma anche nel D.L. 22 agosto 2014, n. 119, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis (aggiunto dall’art. 5, comma 1, lett. b-quater), convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2014 , n. 146), D.Lgs. n. 25 del 2008 (ora anche art. 35 bis, comma 9), secondo cui ciascuna domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale.

Questa Corte ha avuto modo di ribadire più volte che ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri – doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente.

Ciò in particolare quando lo straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto; in tal caso sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 6-1, 26/04/2019, n. 11312; Sez. 6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez. 6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez. 6-1, 10/04/2015, n. 7333).

Nella specie la Corte perugina non ha compiuto alcuna indagine circa la situazione socio-politica attuale della Costa d’Avorio.

2.6. E’ il caso di precisare, inoltre, che il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016). Infatti in tal caso il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Sez. 1, 24/05/2019, n. 14283; Sez. 6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez. 6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez. 6-1, 16/07/2015, n. 14998).

E’ stato infatti condivisibilmente affermato che ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla sua vicenda personale; in quei casi una indagine nel senso indicato sarebbe inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.

Diversamente occorre ragionare nella fattispecie di cui dell’art. 14, lett. c). Come ha avuto modo di precisare la Corte di giustizia, nell’interpretare l’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio n. 2004/83/CE (di cui la richiamata norma nazionale costituisce recepimento), l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Ciò implica che la protezione sussidiaria, nel caso in esame, deve essere accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da un territorio interessato dalla menzionata situazione di violenza indiscriminata: situazione in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17/2/2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30/1/2014, C 285/12, Diakitè).

2.7. Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Il pericolo di danno grave nel caso di rimpatrio deve essere quindi considerato in linea meramente oggettiva, a prescindere dalle ragioni che hanno indotto il richiedente asilo ad emigrare e comunque con riferimento all’attualità; è infatti irrilevante che la situazione pericolosa di danno grave possa essere sorta in un momento successivo alla partenza del richiedente dal paese di origine; del pari ininfluente è il motivo che aveva originato la partenza, avendo il legislatore accolto il concetto di rifugiato sur place, divenuto tale cioè a causa di situazioni sopravvenute nel Paese di origine durante la sua assenza.

La Direttiva 29/04/2004 n. 83 2004/83/CE, ha codificato il concetto di rifugiato sur piace all’art. 5, attuato dal legislatore italiano al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, specificamente richiamato in tema di protezione sussidiaria anche dall’art. 17 dello stesso decreto.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento delle condizioni di legge per il riconoscimento della protezione internazionale, ed in particolare della protezione sussidiaria ed umanitaria, non può rigettarsi la domanda unicamente sulla base di quanto dichiarato dal cittadino straniero riguardo ai motivi che lo avevano originariamente determinato a lasciare il proprio paese, mancando di accertare, all’attualità, la sussistenza, successivamente dedotta dal richiedente nel procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale, di una situazione d’instabilità socio politica o di violenza indiscriminata, nella specie, astrattamente rientrante nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), atteso che la necessità di ricevere protezione dal paese ospitante può sorgere anche in un momento successivo rispetto alla partenza del richiedente dal Paese di origine, tanto per ragioni oggettive quanto per ragioni soggettive (Sez. 6-1, 17/04/2018, n. 9427).

2.8. In accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

3. Resta assorbito il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in tema di protezione umanitaria, con cui il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, L. 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto il reato di tortura, e ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, con omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2020

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