Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29539 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 14/11/2019), n.29539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10719-2017 proposto da:

B.G.G.C.,

B.D.M.A.M.R., B.R.R.S., domiciliati in

ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentati

e difesi dall’avvocato SALVATORE MIRENNA TRUGLIO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SFORZA

PALLAVICINI 18, presso lo studio dell’avvocato ISIDORO TOSCANO, che

la rappresenta e difende in virtù di procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 476/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Lette le memorie

depositate dai ricorrenti;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 476 del 24 gennaio 2017 ha rigettato l’appello proposto da Bo.Ca., date causa degli odierni ricorrenti , avverso la sentenza del Tribunale di Roma con la quale era stata rigettata la domanda di divisione dei beni ereditari appartenenti alla successione di D.M.G., padre di D.M.N., originaria parte attrice e deceduto nelle more del giudizio, sul presupposto del disconoscimento da parte di D.M.M. del testamento olografo con il quale il de cuius aveva istituto erede universale la Bo., in assenza di istanza di verificazione.

La Corte distrettuale, in effetti, riteneva inammissibile il gravame per la violazione dell’art. 342 c.p.c. quale novellato dalla L. n. 134 del 2012, atteso che l’appellante, pur avendo indicato le singole statuizioni che non condivideva, aveva però omesso di indicare le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza.

Comunque reputava che l’appello fosse anche infondato nel merito, in quanto, pur tenendo conto del fatto che il testamento oggetto di causa era stato redatto nello stato del New Jersey negli Stati Uniti, comunque si trattava di un testamento insuscettibile di poter essere qualificato come pubblico.

Ne derivava che, una volta fatto valere in Italia tale testamento, occorreva fare applicazione della disciplina processuale italiana, sicchè una volta intervenutone il disconoscimento, il suo utilizzo presupponeva la verificazione ad istanza della parte interessata.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso B.G.G.C., B.R.S. B.R., B.D.M.A.M.R., quali eredi di Bo.Ca. sulla base di quattro motivi.

D.M.M. ha resistito con controricorso.

Ritiene il Collegio che debba essere superato il rilievo di improcedibilità del ricorso di cui all’inziale proposta del Consigliere relatore, atteso che prima dell’udienza risulta essere stata depositata attestazione di conformità da parte del precedente difensore di parte ricorrente, occorrendo altresì evidenziare che la conformità dei messaggi di posta elettronica dell’avvenuta notifica della sentenza a mezzo pec non sono stati oggetto di contestazione da parte della difesa della controricorrente, il che assicura la procedibilità del ricorso come appunto chiarito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312/2019.

Va parimenti disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da parte controricorrente per essere stato proposto da parte degli eredi della originaria parte appellante, occorrendo a tal fine dare atto che dell’evento morte della parte nonchè della successione degli odierni ricorrenti, anche in virtù di testamento, è stata fornita prova mediante la documentazione prodotta in questa sede, attestante la loro effettiva qualità di eredi (per l’ammissibilità anche in sede di legittimità di tale produzione documentale, cfr. ex multis, Cass. n. 1943/2011).

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c. per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile l’appello proposto dai ricorrenti avverso la sentenza di primo grado affermandosi che lo steso non rispondeva al modello legale non essendo indicate al giudice le parti della sentenza impugnate e le modifiche che si richiedono. Nella specie secondo i giudici di appello, il gravame ancorchè avesse individuato le singole statuizioni contestate, aveva omesso di specificare le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza.

Il motivo è fondato.

In punto di diritto, occorre ricordare che secondo la giurisprudenza della Corte (cfr. Cass. n. 12280/2016), sebbene relativa alla precedente formulazione dell’art. 342 c.p.c., affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato, non è sufficiente che nel gravame sia manifestata una volontà in tal senso, occorrendo, al contrario, l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, anticipandosi in tal senso quanto poi disposto dal legislatore.

Tuttavia, e proprio con specifico riferimento a fattispecie sottoposta alla vigente previsione normativa, e precisamente alla novellata formula dell’art. 434 c.p.c., che, in materia di processo del lavoro, ricalca in maniera quasi integrale la previsione di cui all’art. 342 c.p.c., questa Corte ha specificato che (cfr. Cass. n. 2143/2015) l’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente formulato un ricorso in appello, in cui le singole censure – attinenti alla ricostruzione del fatto e/o alla violazione di norme di diritto – erano state sviluppate mediante la indicazione testuale riassuntiva delle parti della motivazione ritenute erronee e con la analitica indicazione delle ragioni poste a fondamento delle critiche e della loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata; in senso conforme si veda anche da ultimo Cass. n. 17712/2016).

Infine, tale orientamento, ispirato alla negazione di una visione esclusivamente formalistica, è stato recepito dalle Sezioni Unite di questa Corte che con la sentenza n. 27199 del 2017 hanno affermato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Orbene posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, e ribadita la possibilità di procedere alla disamina diretta degli atti processuali, atteso che il motivo in esame denunzia un error in procedendo commesso dal giudice del merito, si ritiene che le doglianze dei ricorrenti siano fondate. La sentenza di prime cure aveva ritenuto che a fronte della produzione da parte dei ricorrenti del testamento redatto in USA da parte di D.M.N. e che aveva istituto come erede universale Bo.Ca., fosse sufficiente a privare di efficacia tale atto il mero disconoscimento della sottoscrizione da parte di D.M.M., atteso che il testamento de quo non era stato interessato da un’istanza di verificazione a cura della parte che lo aveva prodotto, e ciò nell’implicito, sebbene non espressamente affermato che l’atto in esame non avesse natura pubblica.

Con l’atto di appello, la difesa dei ricorrenti, non contestando che per il testamento, non qualificabile come pubblico, fosse sufficiente a renderlo inopponibile il mero disconoscimento (in assenza di verificazione), e ciò sebbene poi nelle more fosse mutato l’orientamento di legittimità a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 12307/2015), ha però individuato a pag. 4 la parte della sentenza che intendeva contestare, chiarendo quale fosse la questione di diritto sottesa (natura pubblica o meno del testamento redatto all’estero invocato dai ricorrenti), sviluppando da pag. 5 a pag. 7 le critiche alla sintetica motivazione del Tribunale, richiamando sia le norme di diritto internazionale privato in tema di efficacia dei testamenti redatti in base alla legge straniera, sia la disciplina dello Stato del New Jersey, dalla quale, tenuto anche conto dei principi di common law, doveva evincersi la sostanziale equiparazione dell’atto in esame ad un testamento pubblico, per il quale si imponeva quindi la proposizione della querela di falso per contestarne la provenienza dal de cuius, palesando in tal modo, in maniera specifica e puntuale, le ragioni per le quali si doveva riscontrare l’illegittimità della decisione gravata.

Ebbene il raffronto tra il tenore della sentenza appellata ed il contenuto dell’atto di appello consente di affermare che il secondo risultava redatto in conformità di quanto prescritto dall’art. 342 c.p.c., così come interpretato da questa Corte, essendo contraddetta ex actis l’affermazione della sentenza appellata quanto alla genericità dell’atto di appello.

Vanno poi dichiarati inammissibili i restanti motivi di ricorso in quanto afferenti il merito della soluzione offerta dal giudice di appello.

Infatti, con il secondo motivo di ricorso si deduce l’erroneità della sentenza gravata per avere la stessa ritenuto l’apostille come un procedimento che conferisce ad un documento la validità di atto pubblico in violazione della L. 20 dicembre 1966, n. 1523, di ratifica della Convenzione dell’Aja del 5/10/1961; con il terzo motivo si deduce l’erroneità della sentenza per aere ritenuto che fosse stato redatto un testamento “non pubblico” ma solo pubblicato dal notaio in violazione della L. n. 218 del 1995, art. 48; con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. 603,2702,2703 e 2715 c.c. per avere la sentenza ritenuto che l’atto di ultima volontà del de cuius avesse l’efficacia di una semplice scrittura privata.

Va evidenziato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. 20 febbraio 2007 n. 3840), qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (conf. Cass. S.U. 2 aprile 2007 n. 8087; Cass. 5 luglio 2007 n. 15234, Cass. S.U. 17 giugno 2013 n. 15122; Cass. 19 dicembre 2017 n. 30393). Ciò comporta che gli altri motivi, che involgono la fondatezza delle domande proposte e la correttezza delle argomentazioni svolte ad abundantiam dalla Corte di Appello, sebbene avesse già dichiarato l’inammissibilità dell’appello, sono a loro volta inammissibili.

In accoglimento del primo motivo, e previo assorbimento dei restanti motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, ed assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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