Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29539 del 11/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29539 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: ESPOSITO LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 24045-2014 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
80185250588, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente contro
ZUPPAN KARIM, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRACASSINI
4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA NERI, rappresentato e
difeso dall’avvocato LUIGI GENOVESE;
– con troricorrente avverso la sentenza n. 187/2014 della CORTE D’APPELLO di
TRIESTE, depositata il 31/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 04/10/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

Data pubblicazione: 11/12/2017

RILEVATO

che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha
confermato la sentenza del giudice di primo grado che aveva accolto
la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione,

del Ministero, diretta al riconoscimento delle differenze retributive
dovute, da commisurare sulla base del calcolo dell’anzianità di
servizio maturata in costanza dei rapporti di lavoro a termine allo
stesso modo di quella riconosciuta, in relazione ai medesimi periodi,
al corrispondente personale di ruolo;

che la Corte territoriale, richiamato il principio di non discriminazione

sanit ik

dusùl 4 l@ll’Accordo

Quadro sul lavoro a tempo

determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999,
nel rigettare le ulteriori censure mosse dal MIUR, ha svolto le
seguenti considerazioni: – le condizioni di impiego, rispetto alle quali
sussiste il divieto di discriminazione, comprendono, in conformità con
quanto chiarito dalla Corte di Giustizia, tutti gli istituti idonei ad
incidere sulla quantificazione del trattamento retributivo, non
essendo idonei a giustificare una diversità di trattamento tanto la
mera circostanza che un impiego nel settore pubblico sia definito
‘non di ruolo’, quanto la specialità del sistema del reclutamento
scolastico; – la posizione del docente a tempo indeterminato e quella
di chi ha lavorato con continuità nella medesima mansione in forza di
una pluralità di rapporti a termine sono pertanto pienamente
equiparabili, non potendo essere preclusiva la circostanza che si
tratti di un impiegato ‘non di ruolo’, non assunto per pubblico
concorso e non soggetto a stabilizzazione dopo un periodo di prova;
– s’impone, di conseguenza, una lettura della disciplina nazionale
conforme alla norma europea come interpretata dalla Corte di
Giustizia;

Ric. 2014 n. 24045 sez. ML – ud. 04-10-2017
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dell’Università e della ricerca da Zuppan Karim, docente dipendente

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di due
m otivA;

che lo Zuppan ha resistito con controricorso, illustrato mediante

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.,
è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente
in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma
semplificata;

CONSIDERATO

che con il primo articolato motivo il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca denuncia violazione e falsa
applicazione della direttiva 99/70/CE, del D.Igs. n. 368/2001 (in
particolar modo art. 10, comma 4 bis e art. 6, dell’art. 70, comma 8
del D.Igs. n. 165/2001 e degli art. 2, 36, 485 e 526 del D.Igs. n.
297/1994). Assume che: – i rapporti di lavoro a tempo determinato
del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di
settore, sicché agli stessi non si applica la disciplina generale dettata
dal d.lgs. n. 368/2001; – il principio di non discriminazione è
correlato all’abuso del contratto a termine, che nella specie deve
essere escluso in quanto il ricorso alla supplenza e alla stipula di
contratti a termine del personale scolastico trova giustificazione in
ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al
datore di lavoro un risparmio di spesa;

che il motivo non è fondato, osservandosi, in conformità con Cass. n.
22558/2016; Cass. n. 27387/2016; Cass. n. 165/2017; Cass. n.
Ric. 2014 n. 24045 sez. ML – ud. 04-10-2017
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memorie;

290/2017, (alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto
del tutto condivise), che il Ministero ricorrente sovrappone e
confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4
dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18
marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale
– CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il

della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo, laddove
i due piani debbono, invece, essere tenuti distinti, essendo il primo
principio teso a ‘migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato
garantendo il rispetto del principio di non discriminazione’ e il divieto
a ‘creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi
derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato’;

che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al
lavoratore a tempo determinato ‘condizioni di impiego’ che non siano
meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo
indeterminato ‘comparabile’, sussiste, quindi, a prescindere dalla
legittimità del termine apposto al contratto, giacché detto obbligo è
attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del
principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione
che costituiscono ‘norme di diritto sociale dell’Unione di particolare
importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto
prescrizioni minime di tutela’ (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C177/14, Regojo Dans, punto 32);

che la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di
esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha
affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio
rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di
qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia
15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05,
Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed
Ric. 2014 n. 24045 sez. ML – ud. 04-10-2017
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divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto

affermando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non
potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n.
5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo
determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il
beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a
tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio

Alonso, cit., punto 42);

che la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che
derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono
condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza
che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a
tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva
(Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto
44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente
che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed
astratta, di legge o di contratto, né rilevando la natura pubblica del
datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo,
perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da
elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano
le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle
caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55
e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani
Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza;
7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

che l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte
di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice
nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti
e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore
fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino
ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato
ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito
Ric. 2014 n. 24045 sez. ML – ud. 04-10-2017
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comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro

dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n.
2468);

che correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha richiamato le
statuizioni della Corte di Lussemburgo per escludere la conformità al
diritto eurounitario delle clausole dei contratti collettivi nazionali per

personale docente ed educativo non di ruolo era escluso il
riconoscimento della anzianità di servizio, previsto per gli assunti a
tempo indeterminato in base ad un sistema di progressione
stipendiale secondo fasce di anzianità;

che anche in questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di
condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di
trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle
caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate,
le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti,
sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di
ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni
oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato
e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non
confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate
nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che
contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine
alle quali nulla ha dedotto il ricorrente;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115/2012,
contestando l’applicazione della richiamata disciplina nei confronti del
Ministero;

che il motivo è manifestamente fondato in base al principio in forza
del quale “Nei casi di impugnazione respinta integralmente o
dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi
Ric. 2014 n. 24045 sez. ML – ud. 04-10-2017
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il comparto scuola, succedutisi nel tempo, in forza delle quali per il

dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare
applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che,
mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate
dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo. (In

presupposti per il raddoppio, pur avendo dichiarato inammissibile un
ricorso del Ministero dell’Interno per l’inapplicabilità dello speciale
regime impugnatorio di cui all’art. 11 della I. n. 206 del 2004)”
(Cass. Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016);

che, pertanto, in difformità rispetto alla proposta, fermo restando il
rigetto del primo motivo, il secondo va accolto con cassazione della
sentenza impugnata in parte qua ed eliminazione della statuizione
attinente al raddoppio del contributo unificato;

che la novità e la complessità della questione, diversamente risolta
dalle Corti territoriali, giustificano la compensazione delle spese del
giudizio di legittimità;
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La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito,
dichiara non dovuto da parte del Ministero il raddoppio del contributo
unificato. Rigetta nel resto il ricorso. Spese compensate.
Così deciso in Roma il 4/10/2017
Il Presidente
Adriana Doronzo

applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso la sussistenza dei

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