Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29538 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2794-2017 proposto da:

R.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA

290, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO CASELLATO, rappresentato

e difeso dall’avvocato CARLO BASSOLI;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA AGRO PONTINO, EQUITALIA SUD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3951/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 17/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. MARIA ELENA MELE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

R.I. impugnava avanti alla Commissione tributaria provinciale di Latina la cartella di pagamento relativa al tributo “irrigazione di soccorso” per gli anni 2009-2010 imposto dal Consorzio di bonifica Agro Pontino su immobili di proprietà del ricorrente situati nel comprensorio consortile, contestando la debenza del contributo.

La Commissione accoglieva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dal Consorzio.

La Comnsione tributaria regionale per il Lazio, sez. di Latina, con sentenza n. 3951 in data 19 maggio 2016, depositata il 17 giugno 2016, accoglieva l’appello confermando la cartella di pagamento.

Avverso tale decisione il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi sostenuti da memoria.

Il Consorzio è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la nullità del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 avendo la sentenza impugnata rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto non a tutte le parti del giudizio e, specificamente, ad Equitalia Sud spa.

Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto recante una motivazione abnorme ed apparente, essendosi il giudice d’appello limitato a motivare la decisione attraverso il mero richiamo di una precedente sentenza dello stesso ufficio che aveva già deciso la medesima questione.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 860 c.c., il R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 10, la legge della Regione Lazio n. 53 del 1998 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, attinente al criterio di configurazione del tributo oggetto della pretesa in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 La sentenza impugnata non avrebbe considerato che il contributo richiesto, in quanto correlato alla cd. “irrigazione di soccorso” connessa al prelievo effettuato in base al fabbisogno aziendale di acqua, sarebbe dovuto in ragione della prestazione realmente effettuata, presupposto che nella specie mancherebbe in quanto il prelievo dell’acqua – peraltro vietato a causa del suo inquinamento – sarebbe avvenuto con l’esclusiva opera del ricorrente.

Il primo motivo è infondato e va disatteso.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, il quale dispone che l’appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., con la conseguenza che, in presenza di cause scindibili, la mancata proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado non comporta l’obbligo di integrare il contraddittorio quando, rispetto alle parti pretermesse, sia ormai decorso il termine per l’impugnazione (Cass., Sez. 5, n. 25588 del 2017, Rv. 646125-01; Sez. 5, n. 24083 del 2014, Rv. 633380-01). Nella specie, trova applicazione il richiamato principio, tenuto conto che non si verteva in ipotesi di litisconsorzio necessario, che le contestazioni del contribuente erano rivolte nei soli confronti del Consorzio attenendo unicamente al merito della pretesa tributaria, e che Equitalia Sud spa non si era costituita nel giudizio di primo grado.

Il secondo motivo è infondato.

Secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, la motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem rispetto a quella di un’altra decisione, anche se non passata in giudicato, purchè riproduca i contenuti mutuati e li renda oggetto di un’autonoma valutazione critica, in modo da consentire la verifica della compatibilità logico-giuridica del rinvio (Cass., Sez. 6-5, n. 5209 del 2018, Rv. 647325-01).

La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass., Sez. 6-5, n. 107 del 2015, Rv. 633996-01).

Nella specie, la Commissione regionale ha riprodotto nella sentenza impugnata il contenuto di altra decisione pronunciata dallo stesso giudice nei confronti del medesimo contribuente per altro anno di imposta, riportando la parte della motivazione che affronta e risolve la medesima questione sollevata dal ricorrente con le proprie censure in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame.

D’altra parte, come riconosciuto da questa Corte, “La motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l’utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni” (Cass., Sez. 5, n. 2861 del 2019, Rv. 652375-01).

Il terzo motivo è infondato.

La fonte dell’obbligo di debenza dei contributi consortili si riviene nell’art. 860 c.c. il quale prescrive che i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio del Consorzio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere di bonifica.

Il R.D. n. 215 del 1933, art. 11, stabilisce che la ripartizione della “quota di spesa” tra i proprietari è fatta “in ragione dei benefici conseguiti” per effetto delle opere di bonifica e i criteri di ripartizione sono fissati negli statuti dei consorzi o con successiva deliberazione degli stessi.

Va richiamata, altresì, l’intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, che ha previsto che le spese del consorzio sono a carico dei consorziati “i cui immobili traggono beneficio dalle azioni dei Consorzi”.

In ordine alla natura di tali contributi, la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta ad affermarne il pieno carattere tributario (ex plurimis, Cass., Sez. Un., n. 8770 del 2016; Cass., Sez. Un., n. 4309 del 2017; Sez. Un., n. 5399 del 2018; Sez. Un. 31760 del 2019).

Tale approdo interpretativo è stato avallato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 188 del 2018 la quale, richiamando il diritto vivente, ha affermato che “il beneficio che giustifica l’assoggettamento a contribuzione consortile non è legato, con nesso sinallagmatico di corrispettività, all’attività di bonifica, come sarebbe se si trattasse di un canone o di una tariffa, che invece tale nesso sinallagmatico presuppongono”. Nondimeno – ha affermato la Consulta – “il beneficio per il consorziato-contribuente deve necessariamente sussistere per legittimare l’imposizione fiscale; esso però consiste non solo nella fruizione, ma anche nella fruibilità, comunque concreta e non già meramente astratta, dell’attività di bonifica, che, in ragione del miglioramento che deriva all’immobile del consorziato, assicura la capacità contributiva che giustifica l’imposizione di una prestazione obbligatoria di natura tributaria”.

In ordine alla prova circa l’esistenza o inesistenza di tale beneficio, le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che “quando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi di bonifica sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, la contestazione di tale piano da parte di un consorziato, in sede di impugnazione della cartella, impedisce di ritenere assolto da parte del Consorzio il proprio onere probatorio, ed il giudice di merito deve procedere, secondo la normale ripartizione dell’onere della prova, all’accertamento dell’esistenza di vantaggi fondiari immediati e diretti derivanti dalle opere di bonifica per gli immobili di proprietà del consorziato stesso situati all’interno del perimetro di contribuenza; in quanto, se la (verificata) inclusione di uno (specifico) immobile nel perimetro di contribuenza può essere decisiva ai fini della determinazione del contributo, determinante ai fini del “quantum” è l’accertamento della legittimità e congruità del “piano di classifica” con la precisa identificazione degli immobili e dei relativi vantaggi diretti ed immediati agli stessi derivanti dalle opere eseguite dal Consorzio” (Cass. Sez. un., n. 11722 del 2010).

Il contribuente, peraltro, è sempre ammesso a provare in giudizio – anche in assenza di impugnativa diretta in sede amministrativa del piano di classifica – l’insussistenza del beneficio fondiario, sia sotto il profilo della sua obiettiva inesistenza, sia in ordine ai criteri con cui il Consorzio abbia messo in esecuzione le direttive del predetto atto amministrativo per la determinazione del contributo nei confronti dell’onerato con la conseguenza che, soddisfatto l’onere probatorio così posto a carico del contribuente spetterà al giudice tributario di disapplicare, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 5, il piano di classifica medesimo, in quanto illegittimo (Cass., Sez. 5, n. 17066 del 2010, Rv. 614684-01; Sez. 5, n. 6839 del 2020, Rv. 65745301).

Anche qualora il contribuente non abbia impugnato innanzi al giudice amministrativo gli atti generali presupposti (e cioè il perimetro di contribuenza, il piano di contribuzione ed il bilancio annuale di previsione del Consorzio che riguardano l’individuazione dei potenziali contribuenti e la misura dei relativi obblighi, egli può contestare, nel giudizio avente ad oggetto la cartella esattoriale dinanzi al giudice tributario, la legittimità della pretesa impositiva dell’ente assumendo che gli immobili di sua proprietà non traggono alcun beneficio diretto e specifico dall’opera del Consorzio. In tal caso, però, quando vi sia un piano di classifica approvato dalla competente autorità, l’ente impositore è esonerato dalla prova del predetto beneficio, che si presume in ragione della comprensione dei fondi nel perimetro d’intervento consortile e dell’avvenuta approvazione del piano di classifica, salva la prova contraria da parte del contribuente (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8079 del 2020; Sez. 5, n. 6839 del 2020; Sez. 5, n. 9511 del 2018; n. 20681 del 2014 e Sez. 5, n. 21176 del 2014).

Nel caso in esame, l’esistenza di un piano di classifica approvato non è contestata e non risulta controversa la circostanza che gli immobili di proprietà del ricorrente sono compresi nel perimetro di contribuenza, sicchè il Consorzio era esonerato dal dimostrare concretamente i presupposti impositivi, risultando peraltro che esso ha prodotto nel giudizio di merito una relazione tecnica nella quale sono indicate le opere di bonifica riguardanti anche i fondi del contribuente.

A fronte di ciò, il ricorrente non ha fornito la prova che tali immobili non abbiano tratto benefici dalla presenza delle opere realizzate e gestite dal Consorzio, essendosi limitato a contestare genericamente la difficoltà nell’attingere l’acqua dal corso d’acqua con il quale confinano i suoi fondi.

Pertanto, non essendo stata superata la presunzione che gli immobili del ricorrente avessero goduto dei benefici diretti e specifici dalle opere realizzate, correttamente la Commissione regionale ha applicato i principi affermati da questa Corte.

Il ricorso deve dunque essere rigettato, senza nulla disporre sulle spese non avendo il Consorzio svolto alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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