Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29538 del 11/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29538 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: ESPOSITO LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 21442-2014 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
80185250588, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente contro
STEFENATO MARISTELLA;
– intimata avverso la sentenza n. 9/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,
depositata il 03/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 04/10/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

Data pubblicazione: 11/12/2017

RILEVATO

che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha
confermato la sentenza del giudice di primo grado che aveva accolto
la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della ricerca da Maristella Stefenato, docente

retributive dovute, da commisurare sulla base del calcolo
dell’anzianità di servizio maturata in costanza dei rapporti di lavoro a
termine allo stesso modo di quella riconosciuta, in relazione ai
medesimi periodi, al corrispondente personale di ruolo;

che la Corte territoriale, richiamato il principio di non discriminazione
sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo
determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999,
nel riaettare le ulteriori censure mosse dal MIUR, ha svolto le
seguenti considerazioni: – le condizioni di impiego, rispetto alle quali
sussiste il divieto di discriminazione, comprendono, in conformità con
quanto chiarito dalla Corte di Giustizia, tutti gli istituti idonei ad
incidere sulla quantificazione del trattamento retributivo, non
essendo idonei a giustificare una diversità di trattamento tanto la
mera circostanza che un impiego nel settore pubblico sia definito
‘non di ruolo’, quanto la specialità del sistema del reclutamento
scolastico; – la posizione del docente a tempo indeterminato e quella
di chi ha lavorato con continuità nella medesima mansione in forza di
una pluralità di rapporti a termine sono pertanto pienamente
equiparabili, non potendo essere preclusiva la circostanza che si
tratti di un impiegato ‘non di ruolo’, non assunto per pubblico
concorso e non soggetto a stabilizzazione dopo un periodo di prova;
– s’impone, di conseguenza, una lettura della disciplina nazionale
conforme alla norma europea come interpretata dalla Corte di
Giustizia;

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dipendente dal Ministero, diretta al riconoscimento delle differenze

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un motivo;

che la Stefenato non ha svolto attività difensiva;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.,

dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente
in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma
semplificata;

CONSIDERATO

che con l’unico articolato motivo il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca denuncia violazione e falsa
applicazione: della direttiva 99/70/CE e dell’Accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato ivi allegato – dell’art. 526 del D.Igs. n.
297 del 1994; degli artt. 6 e 10 del d.lgs. 6 settembre 2001 n. 368,
dell’art. 9 comma 18 D.L. n. 70/11 come convertito dalla legge
106/2011, dell’art. 4 della legge 3 maggio 1999 n.124, dell’art. 36
D.Ivo 30 marzo 2001 n. 165 – degli artt. 79 e 106 del CCNL
comparto scuola del 29 noembre 2007 in relazione all’art. 360 primo
c. n. 3 cod. proc. civ. Assume che: – i rapporti di lavoro a tempo
determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una
normativa speciale di settore, sicché agli stessi non si applica la
disciplina generale dettata dal d.lgs. n. 368/2001; – il principio di
non discriminazione è correlato all’abuso del contratto a termine, che
nella specie deve essere escluso in quanto il ricorso alla supplenza e
alla stipula di contratti a termine del personale scolastico trova
giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato
a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa;

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è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione

che il motivo non è fondato, osservandosi, in conformità con Cass. n.
22558/2016; Cass. n. 27387/2016; Cass. n. 165/2017; Cass. n.
290/2017, (alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto
del tutto condivise), che il Ministero ricorrente sovrappone e
confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4
dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18

– CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il
divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto
della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo, laddove
i due piani debbono, invece, essere tenuti distinti, essendo il primo
principio teso a ‘migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato
garantendo il rispetto del principio di non discriminazione’ e il divieto
a ‘creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi
derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato’;

che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al
lavoratore a tempo determinato ‘condizioni di impiego’ che non siano
meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo
indeterminato ‘comparabile’, sussiste, quindi, a prescindere dalla
legittimità del termine apposto al contratto, giacché detto obbligo è
attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del
principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione
che costituiscono ‘norme di diritto sociale dell’Unione di particolare
importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto
prescrizioni minime di tutela’ (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C177/14, Regojo Dans, punto 32);

che la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di
esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha
affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio
rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di
qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia
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marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale

15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05,
Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed
affermando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non
potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n.
5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo
determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il

tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio
comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro
Alonso, cit., punto 42);

che la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che
derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono
condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza
che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a
tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva
(Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto
44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente
che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed
astratta, di legge o di contratto, né rilevando la natura pubblica del
datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo,
perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da
elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano
le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle
caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55
e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani
Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza;
7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

che l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte
di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice
nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti
e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore
fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino
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beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a

ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato
ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito
dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n.
2468);

che correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha richiamato le

diritto eurounitario delle clausole dei contratti collettivi nazionali per
il comparto scuola, succedutisi nel tempo, in forza delle quali per il
personale docente ed educativo non di ruolo era escluso il
riconoscimento della anzianità di servizio, previsto per gli assunti a
tempo indeterminato in base ad un sistema di progressione
stipendiale secondo fasce di anzianità;

che anche in questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di
condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di
trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle
caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate,
le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti,
sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di
ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni
oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato
e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non
confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate
nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che
contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine
alle quali nulla ha dedotto il ricorrente;

che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il
ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ.;

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statuizioni della Corte di Lussemburgo per escludere la conformità al

che nulla va disposto in ordine alle spese processuali, in mancanza di
compimento di attività difensiva ad opera della parte intimata;

che non può trovare applicazione nei confronti delle amministrazioni
dello Stato l’art. 13 comma 1 quater D.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1 , comma 17 legge 24 dicembre 2012 n. 228,

debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che
gravano sul processo (cfr. Cass. n. 1778/2016);

PQM

rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 4/10/2017

atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a

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