Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29536 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 16/11/2018), n.29536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 21522 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

C.E., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dagli avvocati Gianni Marongiu, Paolo Munafò e

Francesco d’Ayala Valva, elettivamente domiciliatosi presso lo

studio di quest’ultimo, alla via Parioli, n. 43;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria, depositata in data 7 giugno 2010, n. 58;

udita la relazione relativa alla causa svolta alla pubblica udienza

del’11 settembre 2018 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

sentito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Immacolata Zeno, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi per la società l’avv. Francesco d’Ayala Valva e per l’Agenzia

l’avvocato dello Stato Anna Collabolletta.

Fatto

FATTI DI CAUSA.

L’Agenzia delle dogane notificò a C.E., insieme con altri coobbligati, un invito al pagamento di diritti di confine conseguente all’illecita immissione in consumo di tabacchi lavorati esteri che, in base alla narrativa della sentenza impugnata, provenivano tutti dal punto franco doganale di Basilea ed erano tutti indirizzati alla s.r.l. Inter Eximp di La Spezia; laddove, secondo le specificazioni contenute nel controricorso dell’Agenzia, essi in realtà provenivano rispettivamente dalla dogana di Stilfield, da quella di Buchs e dal punto franco di Basilea ed erano indirizzati rispettivamente a Tangeri, alla s.r.l. Intereximp di La Spezia e alla Zifitis Vasilios Thessaloniki; mentre, secondo quanto riportato in ricorso, i tabacchi venivano da Buchs, sono transitati per l’Austria, all’epoca non appartenente alla Comunità europea, e sono stati introdotti in Germania, a Lindau, con destinazione finale Tangeri.

Il contribuente impugnò l’invito, senza successo in primo, nè in secondo grado. In particolare, il giudice d’appello ha riferito del contenuto della sentenza n. 10032/05 con la quale il Tribunale di La Spezia ha dichiarato, anche nei confronti di C.E., la prescrizione dei delitti di contrabbando aggravato di sigarette mediante falsi documenti, realizzati mediante acquisto sul mercato internazionale di sigarette da destinare all’introduzione illecita in Italia e al mercato clandestino, corredato di documenti doganali contraffatti, dai quali risultava il raggiungimento delle destinazioni finali.

La Commissione tributaria regionale ha al riguardo rimarcato che questi fatti non sono stati contestati dal contribuente, che si è limitato a far leva sulla prova, emersa nel giudizio penale celebrato in Germania nei confronti di tale R.G., che la merce sarebbe arrivata a Tangeri e ha sottolineato che non è dato sapere di quale merce si tratti. Sicchè, ha concluso, la circostanza che l’operazione di contrabbando sia avvenuta in Italia elide ogni rilevanza al cuore della contestazione mossa da C., incentrata sull’affermata violazione delle norme che radicano la competenza giurisdizionale del giudice italiano e ciò in base all’art. 215 del codice doganale comunitario.

Contro questa sentenza propone ricorso il contribuente, che affida a quattro motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col primo e col secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè concernenti sotto diversi aspetti la medesima censura, il contribuente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine all’individuazione del luogo generatore dell’obbligazione tributaria in base al Reg. n. 2913 del 1992, art. 215 e ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del suddetto art. 215, in base alla considerazione che, trattandosi di transito esterno, e non essendo individuato il luogo d’immissione in consumo, il luogo dove sorge l’obbligazione va individuato nel paese di entrata della merce, ossia la Germania.

La complessiva censura è infondata.

Va premesso che nel caso in esame è configurabile una fattispecie di sottrazione al controllo doganale, disciplinata dall’art. 203 del codice doganale comunitario e non già un caso d’inadempimento degli obblighi e d’inosservanza delle modalità proprie dei vari regimi doganali, che non dispieghino effetti, tuttavia, sul controllo in dogana, regolata dal successivo art. 204.

Il contribuente, difatti, a fronte dell’indicazione contenuta nella parte narrativa della sentenza, in cui si legge che “la contestazione riguarda il mancato pagamento di diritti di confine su 14.250 kg. di TLE immessi fraudolentemente in consumo e riferiti alla spedizione (…) dal punto franco doganale di Basilea, speditore “(OMISSIS)”, destinatario apparente “INTER EXIMP S.r.l.” di La Spezia”, non offre elemento alcuno idoneo a ritenere che la merce in questione sia, invece, quella proveniente dalla dogana di Buchs, transitata per l’Austria, e arrivata a Lindau in Germania.

1.1. – Non solo: non emerge che il regime doganale, che secondo il contribuente, è stato quello di transito comunitario esterno, sia stato regolarmente appurato (il contribuente non indica alcun elemento concernente tale appuramento, nella sua impostazione avvenuto in Germania).

Sicchè si deve ritenere che l’obbligazione doganale sia sorta in seguito e per effetto della sottrazione della merce, soggetta a dazi all’importazione, al controllo doganale (nell’ampia nozione esplicata, tra varie, da Corte giust. 12 giugno 2014, causa C75/13, SEK Zollagentur GmbH c. Hauptzollamt GieBen, punto 32).

E la sottrazione al controllo doganale pone comunque fine al regime di transito esterno (Corte giust. 1 giugno 2017, causa C571/15, Wallenborn Transports, punto 52).

1.2. – Il che rende irrilevante l’arrivo della merce, anche se effettivamente avvenuto, a Tangeri, sul quale punta il primo motivo di ricorso: rilevante è, invece, il luogo dove può dirsi verificata la sottrazione al controllo doganale.

A norma del codice doganale comunitario, art. 215, difatti, “1. L’obbligazione doganale sorge nel luogo in cui avvengono i fatti che la generano.

2. Quando è impossibile determinare il luogo di cui al paragrafo 1, si ritiene che l’obbligazione doganale sorga nel luogo in cui l’autorità doganale constata che la merce si trova in una situazione che ha fatto sorgere tale obbligazione”.

2. – Difatti, ha precisato questa Corte in esito alla proposizione di questione pregiudiziale alla Corte di giustizia sulla portata di questa norma, la competenza a riscuotere l’importo dell’obbligazione doganale spetta, ai sensi del Reg. Cee n. 2913 del 1992, art. 203, n. 1 e art. 215, n. 1, allo Stato membro nel cui territorio è stata commessa la prima infrazione o irregolarità qualificabile come sottrazione al controllo doganale; soltanto in caso d’impossibilità di accertare in tal modo il luogo dell’infrazione o dell’irregolarità opera, come ritenuto dalla corte di giustizia Ce con sentenza 3 aprile 2008, in causa C-230/06, una presunzione di competenza dello Stato membro da cui dipende l’ufficio di partenza, ai sensi del medesimo Reg., artt. 378 e 379, con la conseguente irrilevanza del luogo in cui è stata accertata l’irregolarità (Cass. 11 settembre 2009, n. 19652).

3. – Ai fini dell’identificazione dell’irregolarità qualificabile come sottrazione al controllo doganale, giova rilevare che costituisce una sottrazione di una merce alla vigilanza doganale “qualsiasi ritiro, non autorizzato dall’autorità doganale competente, di una merce sottoposta alla vigilanza doganale dal luogo di custodia autorizzato, non intenzionale o intenzionale, come un furto” (tra varie, Corte giust. 18 maggio 2017, causa C154/16, “Latvij as Dzelzceip.” VAS, punto 42 e 11 luglio 2013, causa C-273/12, Harry Winston, punti 30 e 33).

3.1. – Dirimente risulta, allora, la ricostruzione dei fatti contenuta in sentenza, in base ai quali i tabacchi sono stati acquistati sul mercato internazionale e, corredati di documenti contraffatti, sono stati illecitamente introdotti nel mercato clandestino italiano.

La deduzione del vizio di motivazione si rivela quindi inidonea a incrinare l’accertamento, contenuto in sentenza, in base al quale “risulta infatti dai documenti prodotti che notevoli quantità di TLE, immesse in Italia apparentemente in transito verso destinazioni estere, in realtà siano poi state qui illecitamente vendute, evitando con la frode il pagamento delle imposte doganali; la circostanza in realtà non è contestata neppure dal contribuente, che si limita ad affermare che nel giudizio penale insorto in Germania contro tale sig. G. – recte G. – R. si sarebbe provato che la merce era arrivata a Tangeri”.

Anzitutto, non è ravvisabile la contraddizione segnalata in ricorso, perchè, quanto alla merce asseritamente giunta a Tangeri, il giudice d’appello ha specificato che “di quale merce si tratti peraltro non è dato sapere”.

Inoltre, la deduzione concernente la mancata indicazione dei “documenti prodotti” non riesce di per sè a evidenziare l’omissione o insufficienza della motivazione, in base all’orientamento di questa Corte (Cass., sez. un, 25 ottobre 2013, n. 24148) secondo cui la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

Ne segue il rigetto della censura complessivamente proposta.

4. – Infondato è il terzo motivo di ricorso, col quale il contribuente si duole della nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla questione concernente la garanzia dell’obbligato principale.

Ciò in quanto la questione, come riprodotta in ricorso, identifica un mero argomento, con evidenza ritenuto irrilevante e quindi implicitamente respinto dal giudice d’appello, che ha riferito il punto della sentenza penale in cui si dava conto della contraffazione del documento doganale di corredo della merce, in base al quale la dogana emittente “liberava la cauzione impegnata all’ingresso in Italia”.

5. – Inammissibile è, infine, il quarto motivo di ricorso col quale il contribuente si duole ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione del principio di obbligatorietà del contraddittorio amministrativo in materia doganale, assumendo che la rettifica non sia stata preceduta da alcuna interlocuzione con lui.

Emerge dalla ricostruzione degli atti offerta in sentenza e dalle stesse parti che la questione non è stata posta nel giudizio di merito.

5.1. – La circostanza di per sè non la rende inammissibile, in quanto nel giudizio di cassazione la verifica della compatibilità del diritto interno con quello unionale non è condizionata alla deduzione di uno specifico motivo e, come nei casi dello ius superveniens e della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, le relative questioni possono essere conosciute anche d’ufficio (tra varie, Cass. 13 maggio 2010, n. 11642; 21 ottobre 2010, n. 12367; 2 luglio 2014, n. 15032).

5.2. – Ciò che la rende inammissibile è il fatto che, come dinanzi precisato, non è dato ricostruire, neanche in base agli elementi offerti in ricorso, che la merce in questione sia quella oggetto di transito comunitario esterno non appurato in Germania.

Soltanto se si fossero offerti elementi di fatto idonei allo scopo, si sarebbe potuta esaminare la questione dell’applicabilità del Reg. CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, art. 378, n. 1 e art. 379 che, appunto nel caso in cui la spedizione non sia stata presentata all’ufficio di destinazione e non sia possibile stabilire il luogo dell’infrazione o dell’irregolarità, è necessario che l’ufficio di partenza ne dia notificazione all’obbligato principale quanto prima e al più tardi entro la fine dell’undicesimo mese successivo alla data di registrazione della dichiarazione di transito comunitario.

6. – Il ricorso va quindi respinto e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il contribuente a pagare le spese, che liquida in Euro 50.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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