Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29533 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1273/2014 promosso da;

Equitalia Centro s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via delle Quattro

Fontane 161, presso lo studio dell’avv. Ricci Gioacchino Sante, che

la rappresenta e difende unitamente all’avv. Cimetti Maurizio in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliata in Roma, via Luigi Luciani 1,

presso lo studio dell’avv. Manca Bitti Daniele, rappresentato e

difeso dall’avv. Doglio Italo, in virtù di procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e nei confronti di

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 53/5/2012 della CTR della Sardegna, depositata

il 14/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere REGGIANI ELEONORA;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 53/5/2012, depositata il 14/11/2012, la CTR della Sardegna ha riformato la decisione di primo grado e, accogliendo il ricorso del contribuente, ha dichiarato la nullità delle intimazioni, portanti la richiesta di pagamento di varie imposte (IVA 1997, IVA e IRAP 1998, IVA IRPEF e IRAP 1999), oltre sanzioni e interessi, derivanti da tre cartelle di pagamento emesse nei confronti della “Costruzioni Industriali di P.G. s.a.s.”, quando la società era già stata cancellata dal registro delle imprese. Il contribuente era stato socio accomandatario di detta società nel periodo 1997-1999, ma era uscito dalla compagine sociale prima ancora della cancellazione e prima anche della notifica delle cartelle di pagamento, avvenuta successivamente. La CTR ha così dichiarato nulle le intimazioni di pagamento, in ragione della mancata notifica al contribuente degli atti presupposti.

Avverso tale sentenza, Equitalia Centro s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, formulando un solo motivo di impugnazione.

Il contribuente si è difeso con controricorso.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso incidentale, formulando un motivo di impugnazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2290 e 2313 c.c., art. 145 c.p.c. e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR affermato che le intimazioni di pagamento rivolte al socio accomandatario, obbligato in solido con la società in accomandita semplice, dovessero essere precedute dalla notificazione delle cartelle di pagamento a tale socio (e non solo alla società), tenuto conto che nessjna norma impone tale adempimento, essendo sufficiente la notifica alla società, come accade per ogni obbligazione solidale, senza che rilevi il fatto che il socio, al momento della notifica delle cartelle, fosse uscito dalla compagine sociale.

Con il ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate ha, invece, dedotto la violazione dell’art. 100 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ribadendo il proprio difetto di legittimazione passiva, affermata invece dalla CTR, evidenziando che la materia del contendere attiene esclusivamente alla legittimità e regolarità di atti e attività del procedimento di riscossione, successivi alla consegna del ruolo.

2. Il motivo di ricorso principale è infondato.

2.1. E’ principio consolidato quello per cui, in tema di riscossione delle imposte nei confronti delle società di persone, la responsabilità solidale ed illimitata dei soci per i debiti della società di persone, è operante anche nei rapporti tributari (v. Cass., Sez. 5, n. 20704 del 01/10/2014 e Cass., Sez. 5, n. 25143 del 08/11/2013).

Tale responsabilità non viene meno a seguito del recesso del socio dalla società, in quanto, ai sensi dell’art. 2290 c.c., nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento (cfr. Cass., Sez. 5, n. 6020 del 04/03/2020; Cass., Sez. 5, n. 27189 del 22/12/2014;-Cass., Sez. 5, n. 11228 del 16/05/2007).

Ovviamente, tale disposizione si applica anche ai soci accomandatari delle società in accomandita per azioni, in virtù del rinvio operato dall’art. 2315 c.c. alle disposizioni riguardanti le società in nome collettivo, che a loro volta richiamano quelle previste per le società semplici.

Peraltro, come precisato da Sez. 1, n. 6650 del 16/03/2018, i debiti assunti da una società di persone non possono essere considerati debiti personali dei soci illimitatamente responsabili, essendo riconducibili esclusivamente alla società, nei confronti dei quali i soci illimitatamente responsabili assumono piuttosto la posizione e il trattamento di garanti ex lege, come è dimostrato dalla possibilità che i soci prestino fideiussione per le obbligazioni della società ai sensi dell’art. 1936 c.c..

2.2. Con particolare riguardo alla materia tributaria, dunque, il socio di una società in nome collettivo, come pure il socio accomandatario di una società in accomandita semplice, può essere destinatario della pretesa tributaria anche quando questa si riferisca alla società, individuata dalle norme tributarie quale unico soggetto passivo d’imposta, rispondendo solidalmente dei debiti di quest’ultima e restando sottoposto, a seguito dell’iscrizione a ruolo a carico della società, all’esazione del debito, alla sola condizione, posta dall’art. 2304 c.c., che il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio della società medesima.

2.3. Questa Corte ha più volte affermato che l’accertamento effettuato nei confronti della società di persone ha effetto anche nei confronti del socio responsabile in solido – così come il giudicato ottenuto nei confronti della società di persone costituisce titolo esecutivo nei confronti del singolo socio – e l’Amministrazione finanziaria può limitarsi a notificare a quest’ultimo l’avviso di mora (ora non più previsto) o la cartella di pagamento, rimanendo salva la possibilità, per lo stesso socio,.di contestare, mediante l’impugnazione di tali atti, anche l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta, senza che si abbia violazione alcuna del suo diritto di difesa (così Cass., Sez. 5, n. 11615 dell’11/05/2017; con riferimento all’avviso di mora, v. Cass., Sez. 6-5, n. 21763 del 26/10/2015; Cass., Sez. 5, n. 27189 del 22/12/2014; Cass., Sez. 5, n. 25765 del 05/12/2014; Cass., Sez. 5, n. 20704 del 01/10/2014).

Assume, a questo punto, fondamentale rilievo considerare che, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 46 del 1999, prevedeva il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la notifica “al contribuente” della cartella di pagamento, stabilendo al successivo art. 46 che, prima di iniziare l’espropriazione forzata, l’esattore dovqse notificare al debitore moroso un avviso contenente l’indicazione del debito, distintamente per imposte, sopratasse, pene pecuniarie, interessi, indennità di mora e spese e l’invito a pagare entro cinque giorni, aggiungendo che tale notificazione “deve essere fatta anche al coobbligato solidale prima dell’esecuzione nei suoi confronti”.

Tali disposizioni normative giustificavano, dunque, l’orientamento sopra illustrato, che riteneva sufficiente la notifica dell’avviso di mora al menzionato socio.

Il D.Lgs. n. 46 del 1999 ha poi modificato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, prevedendo espressamente che il concessionario debba notificare la cartella di pagamento “al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede” ed ha eliminato l’avviso di mora, introducendo al citato D.P.R., art. 50, comma 2, l’avviso di intimazione, che però ha caratteristiche del tutto diverse, tenuto conto che, a prescindere dai diversi presupposti, si risolve, appunto, in una mera “intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni”, senza contenere necessariamente alcuna descrizione del creditorio tributario.

In conclusione, in applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, al socio, che sia condebitore in solido con la società per il pagamento dei debiti tributari, deve necessariamente essere notificata la cartella di pagamento, se si vuole procedere alla riscossione nei suoi confronti.

Una cosa è, infatti, la formazione del titolo (come della sentenza), che, almeno per la giurisprudenza maggioritaria, può intervenire anche senza il contraddittorio con il socio (v. Cass., Sez. 5, n. 13113 del 25/05/2018; cfr. Cass. Sez. 5, n. 19982 del 24/07/2019), e una cosa è l’esecuzione esattoriale, che non può iniziare neppure contro il socio senza la notifica della cartella di pagamento.

2.4. Nel caso di specie, è incontroverso che il contribuehite non abbia ricevuto la notifica della cartelle di pagamento, ma soltanto intimazioni ad esse successive.

Correttamente dunque il giudice di merito ne ha accertato l’invalidità in mancanza della preventiva notifica degli atti presupposti e cioè delle cartelle ivi richiamate.

2.5. Per completezza, deve rilevarsi che a tali ipotesi non si applica la particolare disciplina prevista dal D.L. n. 151 del 1991, art. 11, conv. con modif. in L. n. 202 del 1991, ove è stabilito che “Se più soggetti sono solidalmente tenuti al pagamento delle tasse, delle imposte dirette, dei tributi locali e delle altre entrate iscritte nei ruoli emessi ai sensi del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, artt. 67 e 68 e art. 69, comma 1, , la cartella di pagamento è notificata soltanto al primo intestatario della partita iscritta a ruolo; a ciascuno degli altri soggetti tenuti in solido, il concessionario della riscossione che ha ricevuto in carico il ruolo invia una comunicazione, informandolo del contenuto e della notifica della cartella con l’avvertenza che, in caso di mancato pagamento alla scadenza di rata, sarà iniziata nei suoi confronti la procedura di cui al titolo secondo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 … omissis”.

Tale particolare disposizione attiene alle ipotesi di solidarietà tributaria, che hanno titolo in obbligazioni tributarie di tutti i coobbligati, tutti intestatari della partita del ruolo, e non che dipendono da ipotesi di solidarietà derivanti dalla disciplina civilistica o da accordi che in base a quest’ultima disciplina sono consentiti.

3. Anche il motivo di ricorso incidentale è infondato.

Si deve precisare che l’Agenzia delle entrate ha contestato il proprio difetto di legittimazione passiva, ma, dalla censura formulata, si evince con chiarezza che la questione attiene alla titolarità effettiva del rapporto dedotto in giudizio e, in tal senso, deve essere intesa (v. da ultimo Cass., Sez. 1, n. 7776 del 27/03/2017).

Questa Corte ha chiarito che, nelle controversie riguardanti la riscossione mediante ruolo di crediti tributari, la verifica della titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio (in capo all’ente impositore o al concessionario) è orientata dalla natura delle contestazioni effettuate dal contribuente, spettando all’Amministrazione, in quanto titolare del diritto di credito, e non al concessionario, in quanto mero destinatario del pagamento, quando venga contestata la stessa pretesa tributaria, e non la validità gli atti della procedura di riscossione (v. da ultimo Cass., Sez. 6-5, n. 3955 del 18/02/2020).

Nella specie, dalle conclusioni rassegnate dal contribuente, riportate nella sentenza impugnata, si evince con chiarezza che, in via principale, è richiesto l’annullamento delle intimazioni di pagamento per una serie di vizi dedotti, ma, in via gradata, è formulata anche domanda volta ad accertare l’esclusione della responsabilità solidale del socio con riferimento ai debiti sociali per tributi riferiti all’anno 1999 (p. 2 della sentenza impugnata).

Viene pertanto prospettata l’inesistenza del corrispondente diritto di credito nei confronti del contribuente per quell’anno, questione in ordine alla quale l’effettivo titolare del rapporto dedotto in giudizio è l’Amministrazione.

4. In conclusione, deve essere respinto il ricorso principale ed anche quello incidentale.

La statuizione sulle spese segue la soccombenza e pertanto la Equitalia Centro s.p.a. e l’Agenzia delle entrate devono essere condannate, in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali sostenute dal contribuente, liquidate in dispositivo.

5. In applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Non può adottarsi la stessa statuizione con riferimento alla ricorrente incidentale, ancorchè soccombente, trattandosi di amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, a cui non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (v. da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 22646 del 11/09/2019).

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso principale e quello incidentale;

condanna la Equitalia centro s.p.a. e l’Agenzia delle entrate, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite sostenute da M.P., che liquida in Euro 13.000,00 per compenso, oltre rimborso forfettario e accessori di legge.

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

 

 

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