Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29531 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8868-2016 proposto da:

C.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo

studio dell’Avvocato presso lo studio dell’Avvocato PAFUNDI

GABRIELE, che la rappresenta e difende assieme agli Avvocati

LOMBARDI GIANCARLO e GAFFURI GIANFRANCO giusta procura speciale

estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis,

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4443/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDI depositata il 15/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

DELL’ORFANO ANTONELLA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

C.M.C. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva accolto l’appello proposto avverso la sentenza n. 6159/22/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso proposto avverso cartella di pagamento relativa a imposta di successione relativa all’anno 1992;

la CTR, in particolare, aveva riformato la sentenza di primo grado sul rilievo che, per effetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 12283/2007, con cui era stata respinta l’impugnazione della contribuente (erede, unitamente ai due figli, di alcune partecipazioni societarie del coniuge) dell’atto presupposto della cartella impugnata (avviso di liquidazione, avente ad oggetto dichiarazione di successione), era stata definitivamente accertata la relativa imposta, con conseguente applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 41, comma 2, in forza del quale il credito erariale per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni;

il Concessionario resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. con il primo mezzo si lamenta violazione di norme di diritto (L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 41, comma 2,), avendo la Commissione erroneamente applicato le norme circa la motivazione degli atti impositivi e sostituito il titolo giuridico indicato nell’avviso di liquidazione, atto prodromico alla cartella impugnata, con altro (la sentenza della Corte di Cassazione con la quale era stata sancita la definitività di tale atto per rigetto dell’impugnazione dei contribuenti);

1.2. con il secondo mezzo si lamenta nullità della sentenza per violazione di norme dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 c.p.c., commi 1 e 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, contenendo la sentenza impugnata una motivazione “non pertinente e contraddittoria”, in quanto nella stessa si fa riferimento all’avviso di liquidazione che si assume “non impugnato” ed al contempo si menziona la sentenza di legittimità a conclusione del giudizio di impugnazione del medesimo;

1.3. con il terzo motivo si lamenta violazione di norme di diritto (art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.), avendo la Commissione erroneamente interpretato la sentenza dianzi indicata, ritenendo che con la stessa fosse stata integralmente riformata la sentenza di appello e conseguentemente respinta l’impugnazione della contribuente, senza rilevare che la sentenza atteneva in realtà solo alla questione circa la stima economica dei titoli di partecipazione societaria ereditati, quanto all’avviamento conseguito dalle società partecipate, e non anche alla valutazione dei titoli sulla scorta delle risultanze contabili;

1.4. la censure, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse, sono infondate;

1.5. la CTR ha invero correttamente respinto la tesi della contribuente circa l’intervenuta prescrizione del credito erariale stante la notifica della cartella impugnata, emessa dopo più di dieci anni dal relativo avviso di liquidazione, osservando come il termine di prescrizione decennale previsto dal combinato disposto del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 31, comma 1, e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78 o, per i casi di acquisto a titolo gratuito e di applicazione dell’imposta per decorso del decennio, dal combinato disposto del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 31, comma 1, e del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 41, comma 2, in quanto riferito all’imposta “definitivamente accertata”, inizia a decorrere dal giorno in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo;

1.6. con riguardo alla poi alla pretesa errata interpretazione del contenuto della sentenza della Corte di Cassazione, essendo stata esclusa dalla riforma della sentenza di appello la parte relativa alla liquidazione della maggiore imposta in base alla consistenza reale del patrimonio societario rispetto al criterio del patrimonio netto contabile, a cui si erano attenuti i contribuenti, va evidenziato che la portata del giudicato esterno va definita sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza ed, eventualmente, nella motivazione che la sorregge, potendosi far riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione (cfr. Cass. nn. 12752/2018, 24749/2014, 769/2014);

1.7. nel caso che occupa, come precisato da questa Corte in fattispecie identica alla presente, resa con riguardo ai coeredi dell’odierna contribuente (cfr. Cass. n. 12752/2018 cit.), non solo il dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione n. 12283/2007 era di rigetto integrale del ricorso originario della contribuente ma anche la motivazione non lasciava adito a dubbi interpretativi, sicchè non era dato fare ricorso ad elementi esterni alla sentenza stessa;

1.8. si legge, invero, nella parte motivazionale della sentenza della Corte di Cassazione numero 12283/2007, quanto segue: “Ritenuto che l’impugnata sentenza si pone in contrasto con il principio affermato da questa Corte regolatrice (Cass. n. 2955/2006), secondo cui in tema di imposta di successione, il valore delle azioni, non quotate in borsa, comprese nell’attivo ereditario va determinato, ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 16, facendo riferimento al valore del patrimonio netto dell’ente o società, risultante dall’ultimo bilancio, al netto delle passività, ed aggiungendo l’avviamento (nè la soppressione del riferimento all’avviamento, disposta dalla L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 10, ha efficacia retroattiva); ritenuto, quindi, che il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria deve essere accolto, in quanto manifestamente fondato, con la consequenziale decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto in ordine alla riconosciuta violazione di legge”;

1.9. non può pertanto sostenersi che la sentenza della Corte di Cassazione debba essere interpretata nel senso che essa doveva intendersi riferita alla sola statuizione afferente l’avviamento, di cui era necessario tener conto, fermo restando che sul valore delle partecipazioni doveva intendersi essersi formato il giudicato per mancanza di specifica impugnazione sul punto, in quanto si perverrebbe così ad interpretare la sentenza della Corte di cassazione non già sulla base del suo contenuto, da cui si sarebbe potuto evincere che entrambe le doglianze della contribuente erano infondate (sia quella relativa alla determinazione del valore delle partecipazioni sia quella relativa all’avviamento), bensì sulla base di quello del ricorso svolgendo, così, un’attività interpretativa in violazione dei canoni ermeneutici che impongono di tener conto del contenuto della sentenza e non di atti ad essa estranei, quali, come nella specie, il ricorso introduttivo;

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va rigettato;

3. le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processualì che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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