Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29530 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 16/11/2018), n.29530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO A.M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20422/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Città Giardino Foggia Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti

A.B. e Alessandra Stasi, con domicilio eletto presso l’Avv.

Luigi Marsico, in Roma Viale Regina Margherita n. 262, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia sez. staccata di Foggia n. 0460/25/10, depositata il 7

dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11 settembre

2018 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Gentili Paolo per l’Agenzia delle entrate,

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. Marsico Luigi per la contribuente che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Città Giardino Foggia Srl, esercente attività di costruzione e vendita di immobili, impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate chiedeva la restituzione del rimborso Iva per il 2001, ottenuto dalla contribuente ex D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. a, in relazione all’acquisto di un terreno edificabile per carenza dei presupposti di legge per accedere alla procedura semplificata di rimborso poichè, nell’anno, era stata posta in essere un’unica operazione attiva, limitata alla percezione di un acconto su un preliminare di vendita di una casa, neppure seguito dalla stipula del contratto definitivo, con applicazione indebita dell’aliquota agevolata del 4%.

La Commissione tributaria provinciale di Foggia accoglieva l’impugnazione. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso, la quale deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. a, che postula lo svolgimento di una attività, ossia una serie continua e sistematica di operazioni, mentre non è applicabile in caso di compimento di un’unica operazione attiva.

2. Il secondo motivo denuncia nuovamente la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. a, sotto il diverso profilo dell’aver la CTR ritenuto legittimo il rimborso Iva a fronte della sola fatturazione dell’acconto versato per un contratto preliminare di vendita di immobile ad uso abitativo, in sè privo di valenza giuridica, non registrato e neppure seguito dal definitivo, deducendo il carattere marginale ed occasionale dell’operazione. Denuncia, inoltre, vizio motivazionale.

3. I motivi da esaminare unitariamente per connessione logica, sono infondati, mentre è inammissibile la censura per vizio di motivazione.

3.1. Occorre premettere che la CTR ha accertato che la società contribuente era attiva, effettiva ed operativa e che il bene acquistato era inerente rispetto all’attività svolta (“la società svolge attività di costruzione di immobili ed ha dimostrato che su tale terreno ha iniziato e proseguito una intensa attività amministrativa che ha portato al rilascio di ben tre permessi a costruire da parte del Comune di Foggia nel 2004 (..) appare evidente che il terreno è inerente e che la società è certamente una impresa attiva”).

L’Ufficio non ha in alcun modo censurato tale accertamento, derivandone il diritto a portare in detrazione l’Iva versata e a chiedere il rimborso dell’eccedenza maturata.

L’unico aspetto controverso, dunque, concerne le sole modalità di richiesta ed erogazione del rimborso stesso.

3.2. Va escluso, in primo luogo, che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. a, imponga una necessaria pluralità di operazioni attive e/o passive.

La norma, nel testo applicabile ratione temporis, prevede:

“Il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione:

a) quando esercita esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni”.

E’ centrale, dunque, l’esercizio (esclusivo o prevalente) di una “attività” comportante, in quanto tale, l’effettuazione di operazioni passive ad aliquota inferiore rispetto agli acquisti.

La norma, tuttavia, non impone affatto che le operazioni effettivamente poste in essere debbano essere plurime.

E’ certamente necessario che almeno una operazione (passiva ed attiva) sia stata effettuata poichè, altrimenti, non sorge neppure la possibilità di una comparazione tra le diverse aliquote e, dunque, non può attivarsi il meccanismo consentito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 1, lett. a, (v. in tal senso Cass. n. 15224 del 06/08/2004; Cass. n. 27046 del 07/12/2005), ma tale situazione non è in alcun modo assimilabile a quella qui in giudizio, per la quale l’aliquota mediamente applicata coincide a quella delle singole fatture rispettivamente poste in essere per l’acquisto e per il compromesso di vendita.

Altra e diversa questione è se l’esistenza di una sola operazione possa ritenersi sufficiente ai fini dell’effettività dell’attività commerciale dell’impresa, sì da far escludere lo stesso diritto alla detrazione dell’imposta.

Tale profilo, peraltro, è estraneo al thema decidendum poichè, come rilevato, l’effettività dell’impresa è stata positivamente accertata dalla CTR e in alcun modo censurata dall’Ufficio.

3.3. Va poi affermata l’idoneità e la rilevanza del preliminare di vendita immobiliare.

Nel regime ordinario dell’Iva, l’emissione della fattura (come per il pagamento di un acconto) rende “esigibile” l’imposta in quanto di quest’ultima sussista il presupposto della cessione imponibile, che può essere costituito ex D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, – come da tempo affermato da questa Corte – anche da un negozio soltanto obbligatorio e, in ispecie, da un preliminare di vendita immobiliare (v. Cass. n. 371 del 17/01/1998; Cass. n. 13989 del 12/11/2001; Cass. n. 7348 del 13/05/2003; Cass. n. 12192 del 15/05/2008; Cass. n. 21110 del 13/10/2011).

E’ poi priva di rilievo l’asserita successiva mancata stipula del definitivo (peraltro in carenza di autosufficienza, nulla risultando dalla sentenza o da altri atti), restando comunque ignota la sorte del preliminare (se ne sia stato contestato l’inadempimento, con incameramento dell’acconto, o sia stato risolto; se sia stato oggetto di cessione;…).

3.4. Sono inammissibili, infine, le censure relative al contenuto del contratto preliminare e alla mancata registrazione dello stesso, sia perchè dedotte in totale carenza di autosufficienza, sia perchè dirette, in tutta evidenza, ad ottenere (anche in termini suggestivi ipotizzando quasi il carattere elusivo della fattura per l’acconto del preliminare, invece, radicalmente escluso dal giudice d’appello) un riesame nel merito della valutazione operata dalla CTR.

E’ parimenti inammissibile la doglianza in ordine all’asserita indebita applicazione dell’aliquota agevolata del 4%, carente per autosufficienza, neppure cogliendo la ratio della decisione, che ne ha ritenuto l’irrilevanza (“non sarebbe mutato ove si fosse applicata l’aliquota ordinaria del 10%”).

4. Il ricorso va pertanto rigettato con aggravio di spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese a favore della contribuente, che liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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