Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29528 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 16/11/2018), n.29528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26513-2011 proposto da:

ICA SRL IN persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIUSEPPE MAZZINI 6, presso

lo studio dell’avvocato SERGIO LIO, rappresentato difeso dagli

avvocati LUIGI CINQUEMANI, ORESTE NATOLI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRALE in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2010 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 16/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società I.C.A. S.r.l., in data 16.6.2003, presentava, mediante invio telematico, la dichiarazione denominata “Integrazione e definizione per gli anni pregressi”- Definizione dei ritardati ed omessi versamenti”, con cui dichiarava di volere aderire al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, comma 1, per gli anni di imposta dal 1997 al 2001 dopo avere già provveduto, in data 16.5.2003, a versare la prima rata. In data 27.5. 2004, la medesima società presentava una analoga dichiarazione, riproponendo la volontà di volere aderire al condono ex L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, comma 1, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 45, con riferimento ad altri rapporti obbligatori di imposta (anni di imposta dal 1998 al 2003) diversi da quelli ai quali si era riferita la dichiarazione presentata in data 16.6.2003, provvedendo a versare la prima rata delle somme complessivamente dovute per la sanatoria. L’Agenzia delle entrate notificava un diniego di condono con riferimento alla dichiarazione integrativa presentata in data 27.5.2004, che la contribuente sosteneva di avere impugnato innanzi alla CTP di Palermo che, con sentenza n. 180/13/06, aveva accolto il ricorso. In data 27.9.2006 l’Agenzia delle entrate notificava alla società I.C.A. S.r.l. il provvedimento prot. n. (OMISSIS) di diniego di definizione di ritardati od omessi versamenti, origine della presente controversia, con riferimento alla dichiarazione integrativa recante la data 28.5.2004, che veniva impugnato dalla contribuente innanzi alla CTP di Palermo, tra gli altri motivi, anche perchè riferito ad una istanza di definizione inesistente, atteso che le dichiarazioni integrative erano state presentate in date diverse, e, laddove si ritenesse la sussistenza di un errore materiale, l’Ufficio aveva già manifestato il proprio diniego con altro provvedimento impugnato innanzi alla CTP e dalla stessa annullato. L’Ufficio si costituiva spiegando che l’atto di diniego impugnato si riferiva certamente alla seconda istanza di definizione agevolata e che vi era un errore di trascrizione della data da riferirsi al 27.5.2004, mentre la contribuente era incorsa in errore, atteso che oggetto della sentenza della CTP era stato l’atto di diniego riferito alla prima istanza di definizione, relativa agli anni di imposta dal 1997 al 2001.

La CTP, con sentenza n. 264/08/07, accoglieva il ricorso della società, rilevando l’illegittimità dell’atto impugnato. L’Ufficio spiegava appello, che veniva accolto dalla CTR della Sicilia che, con sentenza n. 98/25/10, escludeva la duplicazione dei provvedimenti di diniego e dichiarava la legittimità dell’atto impugnato. Ricorre per cassazione la società contribuente, svolgendo otto motivi di ricorso. Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione del principio del ne bis in idem, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la CTR della Sicilia si sarebbe pronunciata sulla legittimità del provvedimento di diniego che ha dato origine alla presente controversia assumendo che esso si riferisca alla “Dichiarazione per l’integrazione e definizione degli anni pregressi- Definizione dei ritardati od omessi versamenti”, presentata dalla società contribuente in data 27.5.2004 e che solo per errore materiale in detto provvedimento figura l’incongruo riferimento ad un’ipotetica (invero inesistente) dichiarazione da condono presentata dalla medesima società in data 28.5.2004. Si argomenta che, nella fattispecie in esame, l’Agenzia delle entrate ha emesso un provvedimento di diniego sostanzialmente uguale al precedente, stante l’identità del dispositivo e della relativa carente motivazione, riferito alla medesima dichiarazione di condono, e la CTR si è pronunciata su di esso confermandone la legittimità, nonostante si trattasse di materia già esaminata dalla CTP di Palermo con sentenza n. 180/13/06, passata in giudicato in data 17.10.2007, in quanto non appellata.

2.Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la CTR, con riguardo all’eccepita illegittimità del provvedimento di diniego perchè emesso nell’esercizio di un potere già speso in precedenza e quindi consumato, nonchè per violazione del principio del ne bis in idem, si è limitata ad affermare che sarebbe apprezzabile “ictu oculi l’infondatezza di tutti” i “motivi di ricorso originariamente dedotti dalla I.C.A. s.r.l.” e, fra questi, anche quello sopra citato, atteso che ” non esiste la duplicazione di provvedimenti come già spiegato”, motivazione non idonea con riguardo ai fatti controversi e decisivi per il giudizio che si riferiscono alla coincidenza fra la definizione agevolata alla quale si è riferito il provvedimento di diniego notificato in data 27.9.2006 (che è quello che ha dato origine alla presente controversia) e la definizione agevolata alla quale si è riferito il provvedimento di diniego notificato in data 14.12.2005, che è quello annullato dalla CTP con sentenza n. 180/13/06. La CTR si è pronunciata sul punto ignorando prove documentali rilevanti ai fini dell’accertamento di fatti decisivi per il giudizio, atteso che la società ricorrente ha depositato in giudizio, copia del primo provvedimento di diniego emesso dall’Agenzia delle entrate e copia della sentenza n. 180/13/06 con il quale tale provvedimento era stato annullato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che ove si assuma che la CTR, nel pronunciarsi nel senso dell’infondatezza del motivo relativo alla duplicazione di provvedimenti di diniego ed alla violazione del principio del ne bis in idem, abbia implicitamente fatto proprie le argomentazioni difensive espresse dall’ufficio impositore e riportate nella parte motiva della sentenza, comunque si paleserebbe il vizio di motivazione della medesima sentenza, sotto un profilo diverso, tenuto conto che la presenza di due dichiarazioni di condono e di due provvedimenti emessi al quale si riferivano dette dichiarazioni non può affatto consentire, in via deduttiva, di considerare la necessaria distinta riferibilità di ciascun provvedimento ad una dichiarazione diversa da quella alla quale si riferisce l’altro provvedimento. Si argomenta che può ben accadere e ciò sarebbe avvenuto nella fattispecie in esame, come risulta dai documenti colpevolmente ignorati dal giudice di appello, che l’Agenzia delle entrate, errando, abbia emesso per ben due volte lo stesso provvedimento con riferimento alla medesima dichiarazione di condono. Non si comprende sulla base di quale criterio la CTR abbia potuto accertare che il precedente provvedimento di diniego, notificato il 14.12.2005, si riferisse alla prima dichiarazione di condono presentata da ICA s.r.l. in data 16.6.2003.

4. I primi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, per connessione logica. I motivi sono inammissibili, per le considerazioni che seguono.

5. Parte ricorrente denuncia, lamentando difetto di motivazione e violazione di legge, che la CTR si sia erroneamente pronunciata sul medesimo provvedimento di diniego di condono, espresso dall’Agenzia delle entrate in data 27.5.2004 ed oggetto di pronuncia della CTP di Palermo n. 180/13/06 che si assume essere passata in giudicato in data 17.10.2017, in quanto non ritualmente impugnata.

La CTR, a fronte della tesi difensiva della società contribuente, secondo cui il provvedimento in esame, ed oggetto di impugnazione, sarebbe un secondo provvedimento di rigetto della medesima istanza (seppure erroneamente indicata dall’Ufficio come presentata il 28.5.2004, anzichè il 27) di talchè si tratterebbe, in sostanza, di una mera duplicazione di un provvedimento già assunto e, per di più, annullato in via giurisdizionale, afferma testualmente: “All’originario ricorso non risultano, tuttavia, allegati nè il primo provvedimento di diniego, nè tampoco la sentenza che lo avrebbe annullato”. La società contribuente lamenta che i giudici di appello avrebbero omesso di valutare i predetti documenti allegati, invece, agli atti di causa.

5.1. Le suddette doglianze, censurate come vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, integrano un errore di fatto revocatorio, che avrebbe dovuto essere dedotto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4. Questa Corte ha avuto modo di affermare che l’errore di fatto deducibile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti risulti positivamente accertato.

6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

6.1. Parte ricorrente lamenta che non sarebbe consentito comprendere sulla base di quale criterio la CTR abbia potuto accertare che il precedente provvedimento di diniego, notificato il 14.12.2005, si riferisse alla prima dichiarazione di condono presentata da ICA s.r.l. in data 16.6.2003. Sul presupposto della motivazione già espressa con riferimento alle precedenti censure, va precisato che la società contribuente non ha dato prova del passaggio in giudicato della sentenza della CTP n. 180/13/06, omettendo di produrre la necessaria certificazione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2 e art. 124 disp. att. c.p.c. (Cass. n. 21366 del 2015). Pertanto, anche nell’ipotesi in cui i due giudizi avessero fatto riferimento allo stesso rapporto giuridico, solo nel caso in cui uno di essi si fosse concluso con sentenza definitiva, sarebbe valso il principio secondo il quale l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione delle questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, avrebbe precluso il riesame dello stesso punto (Cass. n. 3187 del 2015).

7. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, ed in generale delle norme che disciplinano la motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), atteso che il provvedimento impugnato è illegittimo perchè carente e contraddittorio nella motivazione, facendo generico riferimento ad imprecisati “versamenti non capienti”, sicchè “l’istanza di definizione dei ritardati od omessi versamenti (…)” non si è perfezionata, mentre erroneamente i giudici della CTR si sarebbero limitati ad indicare in sentenza che nella fattispecie esaminata “non sussiste difetto di motivazione, chiaro essendo la “ratio” del provvedimento”.

8. Con il quinto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che con riferimento all’eccepito difetto di motivazione del diniego di condono, qualora si intenda che la CTR abbia inteso riferirsi alla compiuta motivazione dell’atto, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, primo periodo, tale pronuncia, diversamente da quanto indicato al motivo che precede, si rivelerebbe viziata per carenza di motivazione, non figurando alcun riferimento ai profili esplicitamente richiamati dalla società a sostegno del corrispondente motivo di impugnazione del provvedimento di diniego.

9. Con il sesto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, ultimo periodo, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la sentenza impugnata sarebbe illegittima per violazione del principio della contestualità della motivazione, tenuto conto che la norma sopra richiamata impone l’allegazione di ogni atto al quale si sia fatto “riferimento” in seno alla motivazione, senza distinguere tra quelli che recano argomentazioni logico-giuridiche ritenute essenziali per la motivazione dell’atto stesso e quelli che, sia pure indicati, non siano da considerarsi essenziali.

10. Con il settimo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che la CTR non fornisce alcuna adeguata motivazione con riguardo alla pronuncia di rigetto della domanda di annullamento fondata sul difetto di motivazione del provvedimento di diniego, limitandosi ad affermare in termini generici che gli atti citati non sarebbero “parte integrante” della motivazione di tale provvedimento ed omettendo tuttavia di chiarire le ragioni per le quali la suddetta dichiarazione di condono, alla quale si fa riferimento e che non sarebbe stata allegata al provvedimento, non sarebbe parte integrante.

La motivazione della sentenza si rileverebbe insufficiente anche per la ragione che detta dichiarazione di condono, come riconosciuto dall’Agenzia delle entrate nelle controdeduzioni, è stata individuata con una data erronea, con la conseguenza che l’allegazione della stessa avrebbe consentito al destinatario di individuarla esattamente nonostante l’ambiguità evidente del fatto che figura nel testo del provvedimento di diniego.

11. Il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, vanno esaminati congiuntamente per connessione logica.

In disparte l’inammissibilità dei motivi per carenza di autosufficienza, tenuto conto che in base al principio sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio di congruità della motivazione dell’atto impositivo, è necessario che il ricorso riporti integralmente e testualmente l’atto censurato, ai fine di consentire alla Corte la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. n. 16147 del 2017; Cass. n. 9536 del 2013), i motivi sono, altresì, infondati.

In materia tributaria, l’esistenza e la congruità della motivazione deve essere valutata alla stregua delle regole dettate specificamente per il singolo tributo cui l’atto si riferisce, sicchè, in ipotesi di diniego di condono ex L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, è sufficiente l’indicazione del difetto dei requisiti previsti per l’applicazione del beneficio fiscale, che la CTR ha espressamente riferito a “versamenti non capienti” (v. Cass. n. 12251 del 2017), essendo chiaramente comprensibili le ragioni della mancata concessione del beneficio fiscale, tanto da consentire al contribuente di approntare adeguatamente le proprie difese nella successiva fase contenziosa (Cass. n. 16724 del 2010). Inoltre, con riferimento al sesto e settimo motivo di ricorso, va aggiunto che non ricorre il dedotto vizio motivazionale, atteso che i documenti richiamati nella motivazione dell’atto impugnato erano le stesse dichiarazioni presentate dalle parti.

12. Con l’ottavo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che erroneamente i giudici di appello hanno ritenuto la legittimità del diniego di condono per mancato integrale pagamento di tutte le somme dovute sulla base della citata “dichiarazione integrativa”. Si argomenta che l’interpretazione secondo la quale l’omesso, tardivo o insufficiente versamento delle rate successive alla prima, dovute in base della definizione agevolata di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, precluderebbe l’efficacia di tale condono conduce alla violazione dello stesso articolo citato.

12.1. Il motivo è infondato. Questa Corte con indirizzo condiviso ha affermato il principio secondo cui: “Il condono previsto dalla L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9 bis, relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi od, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7,8,9,15 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9 bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del comma 3, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato all’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo ove tale condizione venga rispettata, essendo insufficiente il solo pagamento della prima rata cui non segua l’adempimento delle successive” (Cass. n. 10650 del 2013; Cass. n. 20745 del 2010). Ne consegue che l’omesso versamento delle rate successive alla prima impedisce il perfezionamento dell’istituto agevolativo, sicchè è legittimo il provvedimento di diniego dell’Amministrazione finanziaria emesso sulla base di tale presupposto.

13. Da siffatti rilievi consegue il rigetto del ricorso. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 3000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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