Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29527 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 24/12/2020), n.29527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 353-2016 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A GRAMSCI 14,

presso lo studio dell’avvocato GIGLIO ANTONELLA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LEONE MAURIZIO;

– ricorrente-

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2327/2015 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 26/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

Con atto stipulato in data 8.6.2008, C.E. cedeva a M.A. il diritto di proprietà di un fabbricato ad uso abitativo e terreni in “Zona di Salvaguardia Ambientale”, a cui le parti in atti attribuivano natura pertinenziale, siti nel Comune di Padenghe sul Garda (BS), al prezzo convenuto di Euro 4.100.000,00. I contraenti dichiaravano ai fini fiscali, ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, che la base imponibile per l’imposta di registro, ipotecaria e catastale era costituita dal valore degli immobili determinati in ragione dei valori catastali, tenuto conto dei coefficienti di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5. L’Ufficio rideterminava l’imposta suppletiva, notificando l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS) con applicazione dell’aliquota dell’8% per l’imposta di registro, del 2% per imposta ipotecaria e dell’1% per l’imposta catastale sul corrispettivo dichiarato in atto di Euro 4.100.000,000. L’accertamento dell’Ufficio veniva effettuato in base alla previsione recata dall’art. 1, comma 497, della legge finanziaria 2006, per cui il principio del c.d. prezzo valore unitamente agli immobili ad uso abitativo si applicava anche alle pertinenze degli stessi e, tenuto conto che era stato indicato un prezzo/valore globale, se iza alcuna indicazione distinta del prezzo del fabbricato e del prezzo dei terreni, il criterio previsto dal comma 1 dell’art. 23 TU n. 131 del 1986 disponeva l’applicazione all’intero corrispettivo dell’aliquota più elevata. Il contribuente impugnava l’atto impositivo denunciando che la tassazione operava sul valore catastale dell’immobile, e che il principio del prezzo valore desumibile dalla L. 266 del 2005, art. 1, comma 497 non poneva alcuna restrizione in ordine alla tipologia, nè al numero di pertinenze, oltre al fatto che i terreni in questione costituivano giardino pertinenziale dell’immobile principale. Denunciava, inoltre, l’errato riferimento al D.P.R. n. 131 del 1983, art. 23, comma 1, dovendo invece trovare applicazione iò D.P.R. n. 131 del 1983, art. 23, comma 3, secondo cui le pertinenze “sono in ogni caso soggette alla disciplina previsti per i bene al cui servizio od ornamento sono destinate”. La Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, con sentenza n. 29/712, rigettava il ricorso, assumendo l’inesistenza del vincolo pertinenziale. Il contribuente proponeva appello, che venva respinto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 2327/64/15. I giudici di appello escludevano la natura pertinenziale dei terreni contigui al fabbricato, con la conseguenza che gli stessi erano assoggettati distintamente a tassazione secondo la loro natura e destinazione. Ne conseguiva che, non essendo stato individuato nell’atto il prezzo concordato per essi, non era invocabile L. 266 del 2005, art. 1, comma 497, sicchè il valore dell’intero compendio doveva essere individuato nel prezzo unitariamente dichiarato, criterio a cui si era attenuto l’Ufficio nel suo avviso di liquidazione. M.A. propone ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, al solo fine di partecipare all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.Con il primo motivo si cle-.-nunizizi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, error in procedendo, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 112 c.p.c., in quanto la motivazione della sentenza sarebbe meramente apparente, o comunque fondata su elementi non idonei a fondare la statuizione, non essendo possibile individuare l’iter logico giuridico che ha portato il “.jiudice al proprio convincimento. Le argomentazioni espresse dal giudice di appello circa l’insussistenza del vincolo pertinenziale sarebbero astratte e generiche, a fronte di puntuali deduzioni tecniche prospettate nel corso del giudizio circa l’ineclificabilità dei terreni.

Le affermazioni della Commissione Tributaria Regionale sarebbero tanto apodittiche da non poter in alcun modo rappresentare una valida motivazione, non essendo stata fornita alcuna indicazione sulle reali ragioni del proprio convincimento e non essendo stato esaminato, e dunque tanto meno contestato, alcuno dei calcoli riferiti da parte appellante alle motivazioni dell’atto di appello, sicchè la motivazione della sentenza non conterrebbe alcun riferimento alle dettagliate argomentazioni proposte dal contribuente.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. 266 del 2005′, art. 1, commi 495, 497 e 498 in combinato disposto con l’art. 817 c.c. e con il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 23, comma 3, atteso che, sulla base della normativa richiamata si potrebbe agevolamente concludere che le cessioni di immobili ad uso abitativo con relative pertinenze effettuate da persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali sono oggetto di imposizione in..agione dei soli valori catastali con i coefficienti cli rivalutazione stabiliti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, con la conseguenza che soddisfatti tali requisiti, l’accertamento dell’Ufficio sarebbe inibito, ai sensi del L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 498. Il ricorrente contesta, altresì, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, ed in particolare: “nel caso di specie la documentazione versata nel processo (estratti cf,’ mappa e riproduzioni fotografiche) non permettono di evidenziare l’esistenza di segni esteriori utili a far ritenere l’esistenza li un asservimento (…) dell’area circostante il fabbricato: la cui ampiezza e le cui caratteristiche esteriori, del resto, già d: per sè ben difficilmente potrebbero ricondurre alla nozione di giardino”. Tale statuizione si porrebbe in contrasto con il concetto di pertinenza desumibile dall’art. 817 c.c. secondo cui rileva il vincolo della cosa asservita ad un’altra “in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”, sicchè l’estensione di un’area non ha alcun rilievo al fine di stabilire la n3tura pertinenziale della stessa o meno. Nella fattispecie, la prova del vincolo pertinenziale sarebbe stata offerta anche mediante altri elementi altrettanto certi e durevoli, come i vincili imposti dallo strumento urbanistico del Comune, che di fatto non consentirebbero l’edificabilità delle aree e comporterebbero un vincolo necessariamente pertinenziale delle stesse rispetto all’immobile principale.

3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 23, comma 1, atteso che quest’ultima norma sarebbe stata falsamer i:e applicata nell’atto confermato dai giudici di seconde cure, essendo a tutti gli effetti inconferente rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio ove, per contro, troverebbe applicazione l’art. 23, comma 3, riguardante la disciplina fiscale delle pertinenze. La motivazione, inoltre, conterrebbe il riferimento ad un obbligo d’indicazione del prezzo/valore distinto tra fabbricati ed aree di pertinenza in realtà insussistente, posto che la L. 266 del 2005, art. 1, comma 497, non lo prevedrebbe. Ne consegue che anche sotto questo profilo la sentenza sarebbe da cassare in quanto confermerebbe un atto poste in violazione, a pena di nullità, del D.P.R. n. 131 del 1983, art. 52, comma 2-bis, con falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 23, comma 1.

4. I motivi di ricorso, in quanto inerenti alla medesima questione, vanno esaminati congiuntamente per connessione logica. Le censure sono infondate, per i principi di seguito enunciati.

4.1.11 contribuente impugnava l’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle entrate in relazione ad un atto di compravendita con cui veniva trasferita la proprietà di un fabbricato ad uso abitativo ed un terreno circostante. Le parti attribuivano a tale terreno natura pertinenziale, pertanto indicavano nell’atto traslativo un corrispettivo unitario.

L’Ufficio, rideterminava le imposte di registro, ipotecarie e catastali, ritenendo non applicabile il trattamento fiscale di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, posto che era necessario indicare distintamente il prezzo pattuito del fabbricato e dei terreni, negando la sussistenza di un vincolo pertinenziale e rilevando la autonomia utilizzabilità dei terreni a fini edificatori.

4.2. Appare preliminare ed assorbente l’esame della questione della natura pertinenziale del terreno oggetto di tassazione, ai sensi dell’art. 817 c.c..

A tale riguardo, il giudice di appello, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, in quanto correttamente congruamente motivato, ha ribadito quanto già accertato dal giudice di primo grado, testualmente affermando: “la commissione provinciale, invero, ha chiaramente ed esaurientemente espresso le ragioni che l’hanno indotta a ritenere privo di fondamento l’assunto del contribuente secondo cui a creare il vincolo pertinenziale sarebbe bastata la mera volontà del proprietario di destinare un’area a giardino, occorrendo invece la sussistenza di un sicuro e durevole asservimento dell’area, non riscontrabile nel caso di specie”, precisando, altresì, al fine di escludere la natura pertinenziale del terreno, che “nel caso di specie la documentazione versata nel processo (estratti di mappa e riproduzioni fotografiche) non permettono di evidenziare l’esistenza di segni esteriori utili a far ritenere l’esistenza di un asservimento – che già avrebbe dovuto esistere al momento dell’acquisto – dell’area circostante il fabbricato: la cui ampiezza e le cui caratteristiche esteriori, del resto, già di per sè ben difficilmente potrebbero ricondurre alla nozione di “giardino””.

L’attribuzione della qualità di pertinenza di fonda sul criterio fattuale correlato alla destinazione effettiva e concreta della cosa a servizio o ornamento di un’altra, in conformità all’art. 817 c.c., con la conseguenza che, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum.

Per la qualificazione della natura pertinenziale di un bene devono sussistere due requisiti: a) uno oggettivo per cui il bene pertinenziale deve porsi in collegamento funzionale o strumentale con il bene principale; b) uno soggettivo consistente nella effettiva volontà dell’avente diritto di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento del bene principale (Cass. n. 13742 del 2019).

Secondo l’indirizzo ampiamente condiviso sostenuto da questa Corte ai fini dell’esclusione dell’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali occorre un accertamento rigoroso dei presupposti di cui all’art. 817 c.c. (v, Cass. n. 27573 del 2018 in tema di ICI).

Quanto all’asserita natura inedificabile del terreno, si legge nella parte in fatto della sentenza impugnata, ma non risulta essere stato espressamente contestato dal ricorrente, che il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso introduttivo sulla base del rilievo che: “I terreni compravenduti erano destinati, secondo il piano regolatore generale vigente, a verde privato nella parte con plantumazioni esistenti, mentre nella parte restante era consentito realizzare piscine ed attrezzature sportive nel limite del 20%: che nella zona 84 erano ammesse destinazioni a residenza, attività terziarie, servizi ed attrezzature”.

4.3. Ne consegue che nessun vizio motivazionale può essere predicato nei confronti di tale asserzione, essendo chiaro l’iter logico seguito dal giudice di appello per giungere al proprio convincimento, ma soprattutto, evidente l’accertamento scaturito dall’esame delle risultanze processuali. Oltre al fatto che, i fatti storici rappresentati dalle parti sono stati presi in considerazione dall’adita Commissione, ancorchè questa non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie rilevanti (Cass. S.U. n. 8054 del 2014). Sotto tale profilo non solo va rilevata l’infondatezza del primo e secondo motivo di ricorso, ma anche l’evidente inammissibilità, perchè con i suddetti mezzi sono state espresse censure che si risolvono in una denuncia di una errata ed omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti e finiscono con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia non consentita nel giudizio di legittimità.

Invero, è stato in più occasioni affermato che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto r servati al giudice di merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. ex plurimis Cass. n. 17097 del 2010; Cass. n. 12362 del 2006; Cass. n. 11933 del 2003).

Va tenuto, altresì, conto di quanto chiarito da questa Corte con ordinanza n. 11970 del 2018, secondo cui: ” Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra il bene principale e quello accessorio è necessaria fa presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza di entrambi al medesimo soggetto, nonchè del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità a quello principale, e non al proprietario di esso; l’accertamento in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzano il rapporto pertinenziale fra due immobili e consistenti nella volontaria e permanente destinazione di uno di essi al servizio dell’altro comporta un giudizio di fatto che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici”(Cass. n. 11970 del 20:18).

4.4. Da siffatti rilievi, consegue l’infondatezza anche del terzo mezzo, posto che non è contestato che le parti nell’atto di compravendita non hanno espresso una indicazione distinta del prezzo del fabbricato e di quello dei terreni. Pertanto, sul rilievo delle argomentazioni espresse dal giudice di appello con riferimento alla natura dei terreni, non trova applicazione il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 23, comma 3, ciò in quanto non sussistendo la prova della natura pertinenziale le aree in esame devono essere soggette distintamente a tassazione secondo la loro destinazione, come correttamente precisato nella sentenza gravata. Su tale presupposto, tenuto conto che le parti non hanno specificato il prezzo con riferimento ai singoli terreni, l’Ufficio ha correttamente riferito il valore degli stessi a quello precisato nel negozio dalle parti in relazione all’intero compendio, ai sensi del citato D.P.R., art. 23, comma 1, secondo cui: “Se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti”.

5. In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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