Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29525 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2018, (ud. 22/05/2018, dep. 16/11/2018), n.29525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28936/2011 R.G. proposto da:

HOSPIRA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Giandomenico Riggio,

elettivamente domiciliata in Roma, via degli Scipioni n. 132, presso

il suo studio;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 55/27/2011 depositata in data 29 aprile 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2018

dal consigliere Pierpaolo Gori;

Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Vitiello Mauro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso, per quanto di ragione.

Udito per la parte l’avvocato Riggio Giandomenico.

Fatto

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, venivano respinti l’appello principale e l’appello incidentale proposti, rispettivamente, dalla HOSPIRA S.P.A. (in seguito, la contribuente), e dall’AGENZIA DELLE ENTRATE, con conferma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (in seguito, CTP) n. 290/22/2009, avente ad oggetto un avviso di accertamento IVA, IRPEG e IRAP relativo all’anno di imposta 2005.

2. La società impugnava l’avviso avanti alla CTP, tra l’altro, per violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, (Statuto del contribuente), illegittimità e infondatezza del rilievo di indeducibilità di determinati costi per presunta mancanza dei requisiti di certezza e determinabilità, illegittimità e infondatezza del rilievo di indeducibilità di determinati costi considerati pluriennali, illegittimità e infondatezza del rilievo di omessa applicazione dell’Iva a determinate cessioni di denaro. La CTP, disattese in parte le difese dell’Agenzia, annullava la ripresa per costi pluriennali, e confermava nel resto l’accertamento impugnato.

3. La contribuente appellava, riproponendo le medesime doglianze spiegate in primo grado e non accolte dalla CTP, mentre l’Agenzia proponeva appello incidentale avverso il capo della sentenza relativo ai costi indeducibili. La CTR rigettava entrambe le impugnazioni confermando la sentenza di primo grado.

4. Contro la sentenza d’appello, la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi, che illustra con memoria, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

5. Con il primo motivo, si censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 1, 7 e 12, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, dell’art. 24 Cost., della L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata considerazione delle osservazioni al processo verbale di constatazione presentate dalla contribuente.

6. Il motivo è infondato. La CTR si è espressamente pronunciata sulla doglianza nella parte motiva alle pagg. 2 e 3 della sentenza gravata, applicando correttamente la giurisprudenza della Corte, la quale ha affermato più volte come “In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo” (Cass. 31 marzo 2017 n. 8378; Cass. 24 febbraio 2016 n. 3583). Nel caso di specie, trova senz’altro applicazione tale insegnamento giurisprudenziale, tenuto anche conto che non è esplicitato in alcun modo il pregiudizio che ne sarebbe derivato alla contribuente.

7. Con il secondo motivo, si deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento alla mancata considerazione della legittimità della deduzione di determinati costi, a debito verso il fornitore Soffiera Bertolini s.p.a., nonostante il riconoscimento della sostanziale correttezza della correlata maggiore base imponibile determinata nel periodo di imposta successivo, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, art. 110, comma 8 e art. 163, dell’art. 53 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e artt. 2041 e 2697 c.c., con riferimento alla mancata considerazione della legittimità della deduzione di un costo, nonostante il riconoscimento della sostanziale correttezza della correlata maggiore base imponibile determinata nel periodo di imposta successivo, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.

8. I motivi, strettamente congiunti in quanto afferenti alla medesima ripresa, sono destituiti di fondamento. In primo luogo, non sussiste la dedotta omessa pronuncia, in quanto la CTR si è pronunciata a pag. 4 sulla questione, afferente al mancato riconoscimento del diritto a dedurre i costi identificati nei motivi, per Euro 127.374,11.

In secondo luogo, quanto alle dedotte violazioni di legge, tale importo consiste nella differenza, sulla base di quanto accertato nel processo verbale di constatazione (p.v.c.) tra il maggior costo di Euro 181.183,00 contabilizzato come accantonamento al 31 dicembre 2005 ed inserito nel conto economico della contribuente per acquisto merci verso il fornitore Soffiera Bertolini s.p.a., e la somma di Euro 53.808,89 che la contribuente ha documentato di aver effettivamente sostenuto.

La differenza sarebbe spiegabile, secondo la contribuente, con un errore di digitazione commesso al momento della contabilizzazione. L’allegazione risulta sprovvista di documentazione, come ddt, bolle o fatture, che attesti come il costo dichiarato è stato effettivamente sostenuto, onere della prova che ricadeva sulla contribuente, a fronte non solo dell’accertamento del p.v.c., ma anche del dato formale pacifico. Peraltro, in conformità a consolidata giurisprudenza di questa Corte, dalla quale il collegio non ha ragione di discostarsi, le regole sull’imputazione temporale delle componenti di reddito hanno carattere inderogabile, tanto per il contribuente quanto per l’ufficio, sicchè il recupero a tassazione dei ricavi relativi ad un determinato esercizio finanziario non è impedito dalla circostanza che i costi siano stati dichiarati e detratti in un esercizio diverso; il contribuente, infatti, non può arbitrariamente scegliere il periodo più conveniente per la deduzione (Cass. nn. 14775/2000, 7912/2000, 6870/1999). Dunque, è logica la motivazione della CTR che ha confermato la ripresa, e non sussiste la violazione di legge denunciata.

9. Con il quarto motivo si deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con riferimento a quanto dedotto dalla società in merito alla non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di denaro scaturenti da un contratto di marketing e distribuzione stipulato con la società Abbott s.p.a., ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.

Con il quinto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1273,1882,2041 e 2697 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, in merito alla non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di denaro predette in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.

10. Anche questi due motivi sono da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, poichè afferenti alla medesima ripresa.

I motivi sono infondati; in primo luogo, la Corte osserva che non ha riscontro la dedotta omessa pronuncia, in quanto la CTR si è pronunciata esplicitamente a pag.5 sulla questione, afferente l’errata esclusione dall’IVA di cessioni di denaro per un imponibile di Euro 1.467.981,00.

11. In secondo luogo, nemmeno le dedotte violazioni di legge sussistono. La CTR, con un accertamento di fatto non revocabile in dubbio in questa sede, ha innanzitutto logicamente sussunto la fattispecie, facendosi carico dell’interpretazione delle clausole contrattuali stipulate tra la contribuente e la Abbott s.p.a., in un contratto di marketing e distribuzione, e, in particolare, ha interpretato quale giudice del merito la clausola “3.2 lett. b) del contratto”. Quindi, a fronte delle risultanze del p.v.c. confermate dai giudici di prime cure, che hanno qualificato le cessioni di denaro per l’importo complessivo sopra indicato non quali mere movimentazioni di denaro ai fini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2,comma 3, lett. a), ma quale obbligazione pecuniaria sinallagmatica corrispettiva dell’erogazione di servizi in favore della contribuente, i giudici di appello hanno rilevato la mancata prova contraria data dalla contribuente. In particolare, non sarebbe stato prodotto dalla società un allegato al contratto (il n. 4) richiamato dalla clausola contrattuale sopra riportata necessario per dimostrare la tesi della contribuente.

12. L’iter logico seguito dalla CTR non si pone in conflitto con le previsioni di legge indicate dalla ricorrente, incluso il profilo del riparto dell’onere della prova. Infatti, non basta allegare la contestazione dell’accertamento descritto nel p.v.c., il quale è idoneo a fondare presunzioni gravi precise e concordanti, poichè documento munito di fede privilegiata (Cass. 3 luglio 2014 n. 15191). Nè questo può essere disatteso in assenza di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che i documenti su cui si basa sono stati esaminati dall’agente verificatore (Cass. 24 novembre 2017 n. 28060) e, nel caso di specie, era la contribuente a dover apportare elementi di prova, anche non documentale, in senso contrario. Orbene, è pacifico che il documento evidenziato dalla CTR fosse mancante, che l’onere della prova gravava su di lei ex art. 2697 c.c.. Non è inoltre controverso che il documento fosse nella sua disponibilità e, infine, non essendo stato da lei prodotto, la contestazione delle risultanze del p.v.c. è rimasta mera allegazione, come correttamente affermato dai giudici di appello.

13. Da ultimo, nella memoria la contribuente invoca l’applicazione quanto alle sanzioni, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1,commi 2 e 4, art. 5, comma 4 e art. 6, comma 1, come modificati dal D.Lgs. n. 158 del 2015 quale ius superveniens più favorevole. Questa Corte ha già affermato che tale disciplina trova applicazione retroattiva, a condizione della presenza di un processo pendente e, pertanto, di atto impugnato non ancora definitivo (Cass. 24 gennaio 2018 n. 1706); questo è anche il caso di specie e, dunque, in riferimento alla sopravvenuta disciplina sanzionatoria introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, la sentenza impugnata dev’essere cassata in relazione alla determinazione delle sanzioni e va operato il rinvio, anche per le spese, alla CTR in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte:

– rigetta il ricorso e, pronunciando in riferimento alla sopravvenuta disciplina sanzionatoria introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, cassa la sentenza impugnata in relazione alla determinazione delle sanzioni e rinvia, anche per le spese, alla CTR Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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