Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29522 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 24/12/2020), n.29522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRANCANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1169/2014 R.G. proposto da:

B.F., con l’avv. Ottavio Antonio Balducci, e con

domicilio eletto in Roma via Massimi n. 158, presso lo studio

dell’avv. Francesco D’Antino;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Campania – Napoli n. 150/3/13, pronunciata il 17 aprile 2013 e

depositata il 18 aprile 2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2020 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. Il ricorrente, titolare di un’impresa agricola, era attinto da un avviso di accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5, e 7. L’Ufficio aveva infatti eseguito dei controlli rispetto al periodo d’imposta 2005 – 2009, all’esito dei quali aveva rideterminato sinteticamente il reddito in Euro 402.176,00. Suddiviso pertanto il reddito rideterminato in quattro quote, per l’anno 2006 l’Ufficio imputava al contribuente un reddito di Euro 123.428,00 a fronte di quello minore dichiarato, con conseguente ripresa a tassazione a titolo di IRPEF per Euro 44.241,00 nonchè addizionali regionali e comunali per Euro 1.512,00.

Il contribuente adiva così il Giudice di prossimità lamentando l’inapplicabilità del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, riservato all’accertamento dei redditi delle persone fisiche e non anche ai redditi da lavoro autonomo. Evidenziava altresì che la spesa per incrementi patrimoniali, relativa ai terreni, avrebbe dovuto essere esclusa in quanto beni strumentali all’attività agricola. Infine il contribuente forniva la prova documentale delle proprie disponibilità finanziarie, composte da un risarcimento assicurativo di Euro 231.135,97 e di altri risparmi legittimamente detenuti.

Si costituiva l’Ufficio insistendo per la legittimità dell’accertamento, basato su uno scostamento tra il reddito dichiarato e quello determinato in base agli indicatori della capacità contributiva di almeno un quarto e per due o più periodi d’imposta consecutivi. Eccepiva poi l’inutilizzabilità, in fase contenziosa, della documentazione non fornita nella fase antecedente, stante la mancata risposta al questionario.

Il contribuente depositava altresì, agli atti del giudizio, la sentenza di condanna della compagnia assicuratrice oltre a copia dell’assegno avuto in pagamento che, aggiunto alle altre disponibilità, lo portava ad avere risorse per Euro 978.000,00. Allegava, infine, anche copia della sentenza resa dalla CTP di Caserta, che aveva annullato l’avviso di accertamento per l’anno 2005 e fondato sul medesimo redditometro.

La CTP riteneva tuttavia legittimo l’accertamento eseguito ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, anche sui redditi di un coltivatore diretto, dopo aver dichiarato l’inutilizzabilità della documentazione finanziaria prodotta e, per l’effetto, rigettava il ricorso. Il contribuente interponeva così appello, rinnovando le censure svolte in primo grado. Dopo aver confermato l’inutilizzabilità dei documenti in fase precontenziosa, la CTR respingeva l’appello in ragione del principio di autonomia di ciascun periodo d’imposta e in ragione del fatto che la sentenza della CTP di Caserta era fondata su una interpretazione esegetica della norma e non anche su elementi di fatto comuni a quelli posti a base dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2006.

Ricorre per cassazione il contribuente con tre motivi di doglianza, cui l’Avvocatura non replica, essendosi costituita solo ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

2. Con il primo motivo si profila censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, – Error in iudicando.

Secondo parte ricorrente, la CTR avrebbe errato nell’applicare l’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, relativo all’anno 2006 (e quindi nel testo antecedente alla novella di cui al D.L. n. 78 del 2010), tenuto conto che l’avviso di accertamento relativo all’anno 2005 era stato annullato, mentre per le annualità 2007 e 2008 l’Amministrazione finanziaria aveva addirittura archiviato il procedimento. Afferma infatti il contribuente che, in ragione dell’annullamento disposto dalla CTR di Caserta, sarebbe venuto meno la condizione dell’accertamento, intesa come lo scontamento per almeno il 25% e per almeno due anni.

Deduce infine che la CTR avrebbe errato nel ritenere autonomi due periodi d’imposta inscindibilmente legate tra loro.

Il motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in commento, nel testo ratione temporis applicabile, legittima l’accertamento sintetico, ovverossia l’esercizio del potere impositivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, se condotto per almeno due periodi d’imposta. La disposizione in commento, tuttavia, non sanziona con l’inefficacia, ovvero con la caducazione automatica, l’avviso di accertamento relativo ad uno dei due periodi d’imposta del biennio, ove sia intervenuto l’annullamento giudiziale dell’altro. Altrimenti detto, la norma individua solo i presupposti legittimanti l’esercizio del potere da parte dell’Ufficio, mentre nulla dice sugli effetti della pronuncia giudiziale resa sull’atto di accertamento.

Questi ultimi devono pertanto essere risolti alla luce dei principi generali del giudizio tributario.

A tale riguardo, è orientamento di questa Corte quello secondo cui il principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può essere invocato solo in relazione a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo. Per l’effetto, va escluso che il giudicato relativo ad un singolo periodo d’imposta sia idoneo a “fare stato” per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica, potendo valere solo nei casi in cui lo scrutinio indaghi il merito della pretesa tributaria. In altri, il criterio dell’autonomia dei periodi di imposta non impedisce che il giudicato relativo ad uno di essi faccia stato anche per altri, purchè esso abbia avuto ad oggetto fatti o elementi rilevanti per più periodi di imposta, cioè in relazione ad elementi costitutivi della fattispecie a carattere duraturo ovvero a fatti o a qualificazioni giuridiche di fatti rimasti immutati nei diversi periodi di imposta. (v. Cass., Sez. Un. 13916/2006, Cass. 23 luglio 2007, n. 16260). Parimenti è stato affermato che il giudicato sull’annullamento non esaurisce i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e se ne deve ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, fatto salvo il caso che non si tratti di un annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione (cd. giudicato di tipo formale).

Nel caso di specie parte ricorrente non ha invocato i principi del giudicato esterno, tanto da non aver nemmeno illustrato le ragioni assunte dalla CTP a fondamento della sentenza favorevole, che infatti non è nemmeno stata trascritta nel motivo di ricorso rendendone così impossibile l’esame a questa Corte. La CTR ha correttamente escluso l’autorità di giudicato, anche perchè di tale passaggio in cosa giudicata non era stata fornita la prova.

Il motivo di ricorso è invece inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, nella parte in cui censura la decisione di secondo grado per aver qualificato come autonomi due periodi d’imposta inscindibilmente legate tra loro. Il ricorrente ha invero radicalmente omesso di illustrare i fatti, comuni e trasversali ad entrambi i periodi d’imposta, e a carattere duraturo o comunque rimasti immutati nei diversi periodi di imposta.

Il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso impone che esso debba contenere tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. Non avendo assolto tale dovere, il motivo di ricorso è inammissibile.

3. Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4, – Nullità della sentenza – Error in procedendo. Segnatamente, il ricorrente censura la decisione del giudice d’appello per aver quest’ultimo omesso l’esame sulla censura afferente la rilevanza della sentenza resa dalla CTP, sotto lo specifico profilo della omessa pronuncia in ordine alla verifica dello scostamento reddituale per due o più annualità.

Il motivo di ricorso è inammissibile.

E’ noto il principio di questa Suprema Corte secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, di talchè il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata. Per l’effetto va dichiarato inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass., Sez. 2, 20/08/2015, n. 17049).

Il ricorrente non ha riportato, in seno al ricorso, il motivo di appello cui sarebbe conseguita l’omessa pronuncia, nè la trascrizione integrale (quantomeno) della parte motiva della sentenza di primo grado Tale mancanza preclude a questa Corte l’esame del motivo che va pertanto dichiarato inammissibile.

4. Con il terzo motivo, si prospetta censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, – Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti – Error in iudicando.

Secondo la tesi di parte ricorrente, la sentenza di riforma sarebbe viziata in ragione dell’omesso esame su un fatto decisivo della controversia, asseritamente costituito dalla disponibilità finanziaria del ricorrente: la scarna motivazione, pur resa sul punto, sarebbe invero insufficiente e contraddittoria.

Il motivo di ricorso è inammissibile. Secondo l’insegnamento di questa Corte, da cui non v’è motivo di discostarsi, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto”, quanto un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152). Orbene, è pacifico che il motivo proposto, ancorchè carente sotto il profilo dell’autosufficienza, non si fonda sull’omesso esame di un fatto storico, quanto sulla contestata lettura e motivazione data dal giudice d’appello alle disponibilità finanziarie del ricorrente. Non viene dunque in contestazione l’omesso esame di un fatto storico, quanto la carente motivazione con cui sono state disattese le difese del contribuente. Donde la sua inammissibilità.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Non vi è luogo a pronunciare sulle spese in assenza di attività difensiva dell’Avvocatura generale dello Stato.

PQM

La corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

 

 

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