Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2952 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. I, 08/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 08/02/2021), n.2952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

su ricorso n. 10329/2019 proposto da:

A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, Via della F. Cesi n.

72 presso lo studio dell’Avv.to Andrea Sciarrillo; rappresentato e

difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.

Pietro Sgarbi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’avvocatura dello

Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Ancona, n.

2708/2018, pubblicata il 28/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18.11.2020 dal consigliere Dott.ssa Milena Balsamo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 2708/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Ancona che, a sua volta aveva confermato il diniego espresso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona in ordine alle istanze di riconoscimento dello status di rifugiato nonchè dell’istanza proposta via subordinata, di protezione sussidiaria ed in via ulteriormente gradata di protezione umanitaria avanzate da A.D., nato in (OMISSIS), il (OMISSIS).

Il richiedente asilo, proveniente dal (OMISSIS), aveva riferito alla Commissione territoriale che il gruppo animista (OMISSIS) aveva indicato suo fratello come nuovo capo del culto; che il fratello, in seguito al rifiuto della proposta, era deceduto a causa dei rituali (OMISSIS) e per questo egli era fuggito dal (OMISSIS), raggiungendo prima la Libia e poi l’Italia.

I giudici di secondo grado, in particolare, hanno escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8 ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria, in primo luogo perchè trattandosi di vicende private, non potevano trovare applicazione le protezioni maggiori; quanto ai presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) affermava che dalle Coi aggiornate al 2017, risultava che dopo le nuove elezioni del 2016 ed un primo iniziale conflitto tra Presidente eletto e quello uscente, si è insediato il neoeletto Presidente A.B. ed è stato revocato lo stato di emergenza. Il nuovo Presidente ha annunciato nuove misure di partecipazione del (OMISSIS) alla comunità internazionale con l’adesione al Tribunale penale internazionale ed al Commonwealt; annunciando anche la scarcerazione dei prigionieri politici.

Il collegio di merito negava, quindi, il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi ed alle memorie difensive.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28/7/1951 (definizione termine rifugiato) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), (definizione di rifugiato), per avere i giudici territoriali escluso il riconoscimento dello status di rifugiato e di una grave persecuzione nei suoi confronti, trattandosi nella specie di “mere vicende private”. Al riguardo, deduce il ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe motivato compiutamente il proprio assunto.

3. Con la seconda censura, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 (esame dei fatti e delle circostanze) nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis (procedure di esame) e dell’art. 116 c.p.c. (valutazione delle prove), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente omesso di valutare la credibilità della narrazione del dichiarante, erroneamente ritenendo che la vicenda riguardasse rapporti privati; mentre avrebbe dovuto attivarsi alla ricerca della documentazione necessaria utilizzando, se del caso, anche canali diplomatici ed amministrativi.

4. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B) e C) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il Collegio omesso di pronunciarsi sulla domanda di protezione di cui all’art. 14 cit., lett. a) e b) in rubrica limitandosi ad affermare che le protezioni maggiori attengono a forme di torture e pene provenienti dalle autorità statuali, mentre è pacifico che il trattamento inumano possa provenire da organi non statuali allorquando le autorità governative e/o di polizia non vogliano o non riescano a tutelare la vittima della persecuzione. Aggiunge altresì il richiedente asilo una ulteriore circostanza relativa al reato ” di rendersi irreperibili alle autorità” del quale verrebbe accusato in caso di reimpatrio forzoso e che dalle COI citate dallo stesso ricorrente la situazione socio politica del (OMISSIS) in continua evoluzione legittima la concessione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) cit., sia per la violazione dei diritti fondamentali di espressione e di riunione e di orientamento sessuale sia per le condizioni carcerarie del (OMISSIS). Deduce altresì una disparità di trattamento, quanto al riconoscimento della protezione sussidiaria, rispetto alle altre Corti d’appello che hanno riconosciuto a cittadini (OMISSIS) la protezione detta.

5. Con la quarta censura, si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, (criteri applicabili all’esame delle domande e procedure di esame), ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente analizzato parzialmente i report citati in ordine alla situazione del (OMISSIS), violando le norme citate che prevedono che le domande vanno valutate alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale del Paese origine e ove occorra dei Pesi in questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti da UNHCR; dall’Easo, dal Ministero degli affari Esteri, senza considerare che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 ha ampliato la tutela ai richiedenti asilo basata anche su motivi e situazioni generalizzate del paese di provenienza.

6.Con il quinto mezzo, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (protezione umanitaria), dell’art. 10 Cost., nonchè dell’art. 3 Cost. e dell’art. 116 c.p.c. e nullità della sentenza; per avere la Corte d’appello di Ancona valutato solo la documentazione sanitaria prodotta con l’atto di appello e non anche quella aggiornata allegata nel corso del giudizio di secondo grado, dalla quale risulta che il richiedente asilo è seguito da uno psichiatra in quanto relativo alla risonanza emotiva connessa alle ripercussioni post traumatiche e migratorie sulla sua vita. Al riguardo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vale a dire l’omesso esame della documentazione prodotta che sarebbe stato dirimente ai fini del giudizio. Esame che avrebbe indotto la Corte d’appello a ritenere la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità e a procedere al giudizio comparativo tra il grado di integrazione sociale nel nostro paese e la situazione soggettiva cui sarebbe esposto ove reimpatriato nel paese di provenienza.

7. La prima e la terza censura (quest’ultima limitatamente all’art. 14 cit., lett. a) e b)) – che possono essere scrutinate congiuntamente, involgendo questioni intimamente correlate – sono prive di pregio.

Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, come ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 1, lett. e) e g), il timore nutrito dal richiedente, pur non necessariamente concretizzato, deve pur sempre essere “fondato”, ossia basato su presupposti logici e razionali (Cass. n. 13088/19, fattispecie in cui la S.C. ha escluso che malefici e sortilegi magici asseritamente subiti dal ricorrente – cittadino nigeriano – configurassero nel contesto l’esposizione a pericolo rilevante per la richiesta di protezione, avendo il giudice di merito vagliato i riferiti fatti di stregoneria come semplice superstizione). Il riferimento ad un possibile decesso del fratello per motivi spirituali che avrebbero indotto il richiedente a fuggire temendo la medesima sorte, non configura comunque i presupposti per la richiesta protezione.

Va poi considerato che, per ricomprendere la persecuzione per ragioni di magia o appartenenza a sette nel novero delle cause di pericolo di danno grave derivanti da “soggetti non statuali”, occorre accertare un’evenienza che, nella specie, neppure è stata dedotta dal richiedente, e cioè che le autorità statali a ciò preposte non possano o non vogliano fornire adeguata protezione nella fattispecie (Cass. n. 9043/19). Non possono essere capovolte le coordinate logiche e razionali sulla base delle quali deve essere oggettivamente valutata l’esposizione a pericolo del narrante, che non sussiste allorchè – il pericolo deriverebbe solamente da malefici e sortilegi magici confezionati nei suoi riguardi.

7.1 In particolare, con il terzo mezzo, il ricorrente introduce, quale fattore di vulnerabilità meritevole di valutazione, la possibilità che il ricorrente venga accusato del reato di essersi reso irreperibile alle autorità in quanto fuggito dal (OMISSIS). Si tratta di circostanza di fatto dedotta per la prima volta in sede di legittimità (e quindi di questione nuova rispetto al giudizio di merito) e quindi inammissibile, atteso che le questioni che non siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello non sono prospettabili per la prima volta in sede di legittimità, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).

7.2 Sempre con riferimento alla terza censura, laddove si prospetta la violazione dell’art. 14, lett. c) cit., la sentenza fonda la sua tesi sfavorevole al ricorrente, sul presupposto che, nell’esposizione- dei fatti che lo riguardano, lo stesso ha rappresentato una situazione del tutto disgiunta dall’esistenza del conflitto interno e da una situazione di violenza generalizzata, causa di minaccia grave ed indiscriminata alla persona, avendo fatto riferimento innanzi alla Commissione e, poi, in giudizio, a circostanze di natura personale e prospettato -un danno grave, riconnesso al soggettivo timore di malefici e stregonerie ad opera degli appartenenti ad una setta. Ciò attiene non alla prova che il richiedente protezione deve fornire, con conseguente ininfluenza delle argomentazioni svolte dal richiedente ma, piuttosto, al fatto che il riconoscimento della protezione sussidiaria presuppone che venga rappresentata una condizione, che, pur derivante dalla situazione generale del paese, sia, comunque, riferibile al richiedente e che, in caso di rientro forzato nel suo paese d’origine, lo esponga al rischio di un danno grave, individuato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 quale vittima potenziale della violenza indiscriminata per la situazione di conflitto armato interno. Ciò che non è stato dedotto.

In ogni caso, la sentenza impugnata indica, sia pur schematicamente, la fonte consultata dal giudice di merito (“Ansa 2017″) e la specifica informazione da essa tratta (” con le nuove elezioni è stato revocato lo stato di emergenza, il nuovo presidente ha preannunciato la scarcerazione dei prigionieri politici, la situazione nel Paese si è pacificata e si è avviata ad una transizione democratica…). Trattasi di motivazione che non risulta sufficientemente e adeguatamente attinta dalle censure in esame, con i quali il ricorrente lamenta la mancata considerazione della condizione interna del (OMISSIS), che invece risulta correttamente valutata dal Collegio giudicante, senza peraltro che il ricorrente abbia contestato l’idoneità o l’attendibilità della fonte consultata dalla Corte.

Come ha affermato questa Corte la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., 17/04/2018, n. 9427; sez. I n. 2954/2020; n. 18306 e 9090 del 2019).

7.3 Nella specie, il collegio giudicante, dopo aver attivato il potere officioso di informarsi sulla situazione del paese di origine del ricorrente(pag. 6 della sentenza), ha scongiurato l’eventualità di un rischio per il predetto, per aver accertato non solo l’assenza di una violenza generalizzata nel Paese ma altresì l’assenza di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica del ricorrente. Vale osservare che lo stabilire quale sia il livello di violenza esistente nel paese di provenienza del richiedente (se basso, alto o “eccezionale”) è questione di fatto che deve essere “valutata dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda”, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, profilo nel caso di specie non prospettato. Il risultato di tale indagine può essere censurato, quindi, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018; Cass. n. 11936/2020) e non sotto il profilo della violazione di legge.

8. La quarta censura è destituita di fondamento.

La censura relativa alla dedotta violazione del c.d. dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 risulta smentita dall’assolto onere di cooperazione dal decidente; peraltro, il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre e più aggiornati qualificate. Solo laddove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, può ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni non veritiere estratte da fonti non più attuali.

Nel caso all’esame, le informazioni attinte dai report indicate dal ricorrente confermano il percorso democratico intrapreso dal (OMISSIS), caratterizzato dal rilascio dei prigionieri politici, dal ritiro della decisione di ritirarsi dallo Statuto di Roma, dal rilascio di detenuti per evitare il sovraffollamento delle carceri, dalla modifica di leggi repressive della libertà di riunione, sono stati sostituiti i vertici delle autorità che si non macchiati di gravi reati sotto il precedente regime, sono state avviate indagini e processi contro agenti corrotti e accusati di omicidi e violenze; è stata istituita la Commissione di verità incaricata di accertare gli eventi occorsi durante il governo precedente; è stato avviato un programma di educazione sessuale, mentre sono ancora previste come reato le relazioni omosessuali.

In conclusione, anche le informazioni acquisite dal ricorrente confermano il decisum della pronuncia impugnata in relazione all’art. 14, lett. c) cit.

Infine, la censura relativa alla valutazione delle vicende patite nel paese di transito (Libia) sono state correttamente esaminate dalla Corte. Secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti l’allegazione da parte del richiedente che in un paese di transito (quale la Libia nel caso di specie) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass. 31676/2018; 18989/2020).

9. Il secondo ed il quinto motivo non superano il vaglio di ammissibilità.

Le considerazioni critiche sviluppate dal ricorrente con il secondo mezzo riguardano l’omessa valutazione della credibilità della narrazione del dichiarante, sotto il profilo della violazione di legge, per poi censurare la motivazione inesistente sul punto. Mentre con il quinto mezzo dopo aver dedotto la violazione delle norme disciplinanti la protezione umanitaria, lamenta l’omesso esame della documentazione sanitaria.

Il ricorrente mescola – in entrambi i mezzi – in modo promiscuo e non distinguibile censure riconducibili a differenti mezzi di ricorso (violazione di legge, error in procedendo, vizio motivazionale). Un ampio indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in tema di motivi promiscui, non ritiene consentito proporre cumulativamente mezzi di impugnazione eterogenei in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez. 3, 23/6/2017 n. 15651; Sez. 6, 4/12/2014 n. 25722; Sez. 2, 31/1/2013 n. 2299; Sez. 3, 29/5/2012 n. 8551; Sez. 1, 23/9/2011 n. 19443; Sez. 5, 29/2/2008 n. 5471). Appare infatti inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, n. 19443 del 23/09/2011, Rv. 619790 – 01). E’ pur vero che l’inammissibilità in linea di principio della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez. 6, 09/08/2017 n. 19893; Sez. un. 6/5/2015, n. 9100). In particolare, le Sezioni Unite con la sentenza n. 17931 del 24/7/2013 hanno ritenuto che, ove tale scindibilità sia possibile, debba ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte, alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, segnatamente a quello, tradizionale e millenario, iura novit curia, ed a quello, di derivazione sovranazionale, della c.d. “effettività” della tutela giurisdizionale, da ritenersi insito nel diritto al “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost., elaborato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale, senza eccessivi formalismi. Nella fattispecie, tale operazione di scissione non può essere compiuta agevolmente, isolando le censure volte a denunciare una violazione di legge da quelle relative al vizio motivazionale.

9.1 In ogni caso, con riferimento alla seconda censura, non può ipotizzarsi l’omessa valutazione della credibilità della narrazione, atteso che la statuizione della Corte d’appello in ordine alla irrilevanza della questione del timore di subire riti magici è stata assimilata dalla Corte a ” mere vicende private”, dando, quindi, per presupposto la credibilità della narrazione.

Inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 17/01/2019; Cass. n. 27000 del 27/12/2016). Là dove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con conseguente inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 13960 del 19/06/2014).

10. Quanto all’ultimo motivo, preliminarmente deve rilevarsi che la pronuncia delle S.U. 29459 del 2019 ha definitivamente affermato che alle domande (e, conseguentemente, ai giudizi) in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 si applica il sistema legislativo preesistente relativo alla tutela di carattere umanitario e non opera la sopravvenuta abrogazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In disparte i profili di inammissibilità sopra descritti, si osserva quanto segue.

Il ricorrente lamenta da una parte l’omessa pronuncia sulla domanda avanzata sin dal primo grado del giudizio relativa alla protezione umanitaria e alle condizioni di vulnerabilità del richiedente asilo (vulnerabilità determinata dalle sofferenze subite in (OMISSIS) e durante il viaggio dal paese di origine); dall’altra denuncia l’omesso esame della documentazione sanitaria prodotta nel corso del giudizio relativa ad una terapia psichiatrica di sostegno per sindrome ansiosa depressiva, avendo la Corte considerato esclusivamente la prima documentazione relativa alla diagnosi di gastrite.

E’ utile, invero, premettere che, come ribadito anche di recente da questa Corte, la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi stabiliti dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 19, comma 2, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32 – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo l’presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651). A tal fine, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio e non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079). Con specifico riferimento, poi, al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455). Ed infatti, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459). Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Nel caso concreto, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, oltre che della protezione internazionale e sussidiaria, anche della invocata protezione umanitaria, considerando che il ricorrente non aveva indicato oggettive e gravi situazioni personali che non permettevano l’allontanamento dal territorio nazionale, nè di salute o di altra natura, e che difettavano gli elementi probatori di una concreta integrazione in Italia; nè un lavoro stabile e sufficientemente remunerativo.

Il ricorrente insiste, nel motivo di ricorso in esame, sulla specifica situazione del Paese di provenienza, sicchè un suo rimpatrio ivi gli pregiudicherebbe la possibilità di esercitare i diritti fondamentali. Egli, tuttavia, si è limitato ad affermazioni affatto generiche e ad un richiamo, altrettanto laconico, al rischio di subire nuove “magie”. Al riguardo si è già detto che il timore nutrito dal richiedente, pur non necessariamente concretizzato, deve pur sempre essere “fondato”, ossia basato su presupposti logici e razionali. Il riferimento ad un possibile decesso del fratello per motivi spirituali che avrebbero indotto il richiedente a fuggire temendo la medesima sorte, non configura comunque i presupposti per la richiesta protezione.

Il ricorrente, inoltre, assume che, nella valutazione delle condizioni di vulnerabilità, non potrebbe mancare anche un’attenta considerazione delle sofferenze e dei traumi da lui patiti nel paese di origine.

Orbene, come affermato da questa Corte il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente; tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, il quale è, perciò, onerato quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cass., 8 gennaio 2019, n. 231; Cass., 5 aprile 2019, n. 9651). Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio, con la conseguenza che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo, dato che, in ragione dell’indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo ove indirizzare.

Quanto allo stato di salute del richiedente asilo, la Corte ha scrutinato la patologia (gastrite) dedotta dal ricorrente per poi escluderne la gravità e tanto per evidenze fattuali ricomposte a definire un quadro in cui convergono, anche, argomenti di ordine logico. L’affermazione rivela, così, l’ignoranza della seconda prova documentale.

Tuttavia, con riferimento all’omessa valutazione del documento attestante una sindrome depressiva, il ricorrente si è limitato a trascrivere il contenuto del certificato medico.

Ma il ricorrente non deduce di avere regolarmente indicato le predette prove documentali nè spiega se e quali argomenti abbia sviluppato dinanzi al giudice di merito per segnalare la loro importanza probatoria.

Il motivo manca così del requisito della autosufficienza che, come questa Corte ha chiarito, implica la necessità di corredare la censura del ricorso per Cassazione di omessa valutazione di prove documentali non solo della trascrizione del testo integrale o della parte significativa del documento al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche della specificazione degli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate in sede di merito sulla base del documento; infatti del tutto irrilevante giuridicamente dovrebbe considerarsi la sola produzione, in detta sede, non accompagnata da specifica istanza d’esame e da deduzioni circa la rilevanza dei documenti prodotti in relazione alle pretese fatte valere, dato che essa non garantisce alla controparte la possibilità di interloquire sul punto, così come è necessario per assicurare il contraddittorio, e non comporta, comunque, per il giudice alcun onere d’esame e, tanto meno, di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. n. 19138/2004; n. 18506/2006; 4405/2006; n. 21621/2007; n. 13625/2019).

Il ricorso va dunque rigettato, con aggravio delle spese.

Si dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ove dovuto(S.U. n. 4315/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla refusione delle spese sostenute dal Ministero che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito, dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte di Cassazione, tenuta da remoto, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

 

 

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