Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29515 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 16/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23847/2010 proposto da:

L.F.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GATTO Vincenzo giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, in persona del Dirigente con incarico di livello

generale, Direttore Reggente della Direzione Centrale Prestazioni,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la

sede legale, rappresentato e difeso dagli avvocati LA PECCERELLA

Luigi, EMILIA FAVATA, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1074/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

17/09/09, depositata il 13/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Atteso che è stata depositata relazione dei seguente contenuto.

“Il giudice del lavoro di Messina, con la sentenza n. 1297/02 del 4 luglio 2002, rigettava la domanda proposta da L.F.N. avente ad oggetto il riconoscimento del diritto alla rendita da malattia professionale per l’attività prestata in stabilimenti laterizi; l’INAIL aveva già rigettato la relativa istanza.

Il L.F. impugnava la suddetta sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Messina. Quest’ultima, nel corso del giudizio, chiamava il CTU che aveva effettuato la perizia in primo grado a chiarimenti, e disponeva il rinnovo della consulenza.

L’appello del L.F. veniva rigettato con sentenza n. 2074 del 2009, depositata il 13 ottobre 2009.

Per la cassazione della pronuncia resa in grado di appello ricorre il L.F. prospettando sei motivi di impugnazione, di cui quattro proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e due proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come di seguito in sintesi riportati:

a) Con il primo motivo di doglianza (art. 360 c.p.c., n. 5) è prospettata l’erroneità della sentenza alla luce delle conoscenze scientifiche e medico-legali, ed è individuato fatto controverso nell’aver ritenuto sussistente una malattia non imputabile a rumore ma ad un danno acustico alle vie uditive retrococleari, in ragione dell’esame ABR. b) Con il secondo motivo di doglianza (art. 360 c.p.c., n. 5) è ravvisato fatto controverso nell’ avere la Corte d’Appello ritenuto che la malattia uditiva del L.F. non avesse le caratteristiche del danno acustico da rumore, alla luce dell’esame audiometrico del dicembre 1987 che evidenziava sordità neurosensoriale totale bilaterale.

c) Con il terzo motivo di impugnazione (art. 360 c.p.c., n. 3) è prospettata la lesione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 134.

Erroneamente il Giudice d’Appello aveva ritenuto di non poter prendere in considerazione, perchè posteriori di più di quattro anni alla cessazione della lavorazione morbigena, gli esami audiometrici e le certificazioni mediche del 1993 e degli anni successivi, prodotti in atti. Esso ricorrente aveva fatto denuncia della malattia professionale nel termine di cui al richiamato art. 134.

d) Con il quarto motivo di ricorso (art. 360 c.p.c., n. 5) è dedotto che la sentenza d’appello è fondata sull’acritico recepimento, in ordine ai suddetti accertamenti medici, di affermazioni del CTU immotivate ed errate (relative al fatto che gli stessi non dimostrerebbero l’origine tecnopatica della patologia uditiva diagnosticata al L.F., da imputare, invece, a causa extralavorativa), come lo stesso giudice d’appello avrebbe potuto constatare visionando i tracciati audiometrici.

e) Il quinto motivo (art. 360 c.p.c., n. 5: contraddittoria motivazione circa un fatto controverso) ed il sesto motivo (art. 360 c.p.c., n. 3: violazione/falsa applicazione degli artt. 1, 3 (tabella 4), art. 66, art. 74 e segg., art. 131 segg., del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 134, degli artt. 421, 437, 134 c.p.c., e dell’art. 111 Cost., comma 1) sono trattati congiuntamente nel ricorso.

Fatto controverso è la effettiva esposizione del ricorrente al rumore nel corso della propria attività lavorativa dal 1973 al 1986 presso una fabbrica di laterizi, così contraendo la ipoacusia di cui chiedeva il riconoscimento come tecnopatia.

Il Giudice d’Appello, in ragione della non rispondenza degli esami audiometrici alle caratteristiche tipiche della sordità, da un lato non avrebbe dato rilievo all’oggetto dell’attività lavorativa svolta dal ricorrente, dall’altro avrebbe dovuto disporre l’acquisizione agli atti di documento proveniente dal datore di lavoro relativo alla rumorosità dei luoghi di lavoro e ammettere la prova per testi domandata in atto di appello, così violando le suddette diposizioni.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass., Sez. 6, Lavoro, ordinanza n. 22707 del 2010), qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie affinchè sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza, è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte, le quali si risolvono in una inammissibile critica del convincimento del giudizio.

Tanto si verifica nella specie, dovendosi sottolineare quanto segue.

Le censure sub a), b), d) si sostanziano in una critica alle risultanze della consulenza tecnica (in particolare, quella redatta in grado d’appello) come fatte proprie dal giudice di secondo grado, attraverso le argomentazioni del consulente di parte già sottoposte alla Corte d’Appello (e sulle quali il CTU replicava, si veda pag. 3 sentenza in ordine alla validità dell’esame ABR e dell’esame audiometrico del 1987) e attraverso il richiamo a brani decontestualizzati di opere in materia medica, laddove la sentenza impugnata motiva la decisione che il deficit auditivo dell’appellante non è da attribuire alla azione lesiva del rumore ma a cause extralavorative, in ragione delle CTU espletate in entrambi i gradi di giudizio che pervenivano ad analoghe conclusioni sulla base di un esame obiettivo specialistico e di specifici esami strumentali, ai quali, peraltro, il giudice di appello ha dato rilevanza in ragione del più articolato contesto diagnostico in cui gli stessi si inseriscono.

La censura sub c) non coglie la ratio decidendi della sentenza in esame sul punto, tenuto conto che la documentazione medica in questione ha costituito oggetto di esame da parte del giudice d’appello (come può rilevarsi dal motivo di impugnazione sub d) che condivideva le conclusioni in merito dei CTU, a prescindere dal generico inciso relativo al poter essere considerati solo esami eseguiti entro quattro anni dalla cessazione dell’attività lavorativa, su cui si appunta la doglianza del ricorrente.

Occorre ricordare che la ipoacusia conseguente a lavorazione rumorosa è indennizzabile fino a quattro anni dopo la cessazione del lavoro (D.P.R. 9 giugno 1975, n. 482, All. 4, n. 44, che così stabilisce il periodo massimo di indennizzabilità dalla cessazione dal lavoro);

che il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 8, delimita in 15 anni il termine entro il quale l’assicurato, al quale sono stati accertati postumi che non raggiungono la soglia minima prevista per il diritto alla rendita, può far valere l’insorgenza di postumi indennizzabili;

che la Corte costituzionale, con sentenza n. 206 del 1988 ha dichiarato la incostituzionalità del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 135, comma 2, escludendo che una denuncia tardiva possa privare automaticamente dell’indennizzo il lavoratore la cui malattia si sia verificata nei termini tabellari; che il Giudice delle Leggi, con altra decisione n. 179 del 1988 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 134, comma 1, nella parte in cui, per l’ipotesi di abbandono da parte dell’assicurato della lavorazione morbigena, stabilisce che le prestazioni previdenziali previste per le malattie professionali nell’industria sono dovute semprechè le manifestazioni morbose si verifichino entro un termine.

La Corte d’Appello, in ragione sia di quanto affermato dal CTU nominato in secondo grado, sia di quanto affermato dal CTU che svolgeva la consulenza in primo grado ed era chiamato a chiarimenti dalla Corte d’Appello, lungi dall’applicare erroneamente la disciplina di settore e l’art. 134 invocato dal ricorrente, riteneva che gli accertamenti medici espletati dopo il 1993 non dimostravano il carattere di tecnopatia della patologia diagnosticata che, viceversa, era da imputare a cause extralavorative.

Le censure sub e), che si sostanziano in vizio di motivazione per non aver dato corso il giudice d’appello a richieste istruttorie così violando le disposizioni richiamate, per un verso, non colgono la ratio decidendi della decisione, per altro verso (non essendo riportati i capitoli della prova per testi, con l’indicazione degli stessi), non soddisfano le esigenze di autosufficienza del ricorso e non consentono alla Corte di valutare la rilevanza delle stesse.

Ciò, considerato che la motivazione della Corte d’Appello non verte sulla presenza o meno di rumore sul luogo di lavoro, ma sul non aver ravvisato, in ragione delle risultanze delle CTU, danno acustico da rumore (tabella 4, n. 44, D.P.R. n. 482 del 1975), in quanto non si era in presenza di lesioni anatomopatologiche localizzate nel neuropitelio dell’organo di Corti che è posizionato nella porzione interna dell’orecchio, denominata coclea, ma un danno delle vie uditive retrococleari con interessamento o del nervo acustico o dei centri che portano l’impulso nervoso dalla coclea alle aree della corteccia cerebrale deputata alla decodifica”.

Atteso che il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni che precedono e che, pertanto, il ricorso va rigettato. Nulla spese ex art. 152 disp. att. c.c., nel testo anteriore alla novella del D.L. n. 269 del 2003, conv. nella L. n. 326 del 2003, applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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