Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29512 del 07/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29512 Anno 2017
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GHINOY PAOLA

ORDINANZA
sul ricorso 25822-2016 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, in persona del legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende;

– ricorrente contro
GENISEM MONTANARI ELISA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA LEONE IV, 54, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO D’ANGELO, rappresentata e difesa dall’avvocato
FRANCESCO PISCIOTTI;

– controricorrente –

C Li

Data pubblicazione: 07/12/2017

avverso la sentenza n. 356/2016 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, depositata 1’11/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
rilevato che:

Tribunale di Ravenna, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato
con lettera del 16.6.2010 da Poste italiane s.p.a. a Genisetti Montanari
Elisa , per giusta causa configurata dall’aver svolto attività lavorativa
presso la gelateria “Il desiderio” in loc. I3agnacavallo di Ravenna di cui
è titolare, nel corso delle assenze dal lavoro decorrenti dal 16/3/2010
al 24/3/2010, determinate dai postumi di un infortunio sul lavoro
occorso in data 16/3/2010, e dal 2/4/2010 al 3/4/2010 per
impedimento dovuto all’impossibilità di indossare il casco protettivo
per utilizzare il ciclomotore della società datrice di lavoro al fine
dell’espletamento del servizio di recapito, conseguente a duplice
estrazione dentaria subita in data i aprile 2010. Nella lettera di
contestazione in particolare si faceva riferimento alla prestazione di
attività lavorativa dalle 15:00 alle 15:40 del giorno martedì 23 marzo
2010 e dalle 20:17 alle 21:00 del giorno sabato 3 aprile 2010.
La Corte d’appello riteneva che non fosse stata dimostrata la
prestazione di attività lavorativa all’interno della gelateria del giorno 23
marzo, riferendosi le deposizioni testimoniali al giorno successivo.
Quanto alla condotta relativa al 3 aprile 2010, rilevava che non
sussisteva simulazione fraudolenta della malattia, considerato che la
visita domiciliare effettuata nella giornata del 2 aprile aveva confermato
la diagnosi che giustificava l’assenza dal lavoro. Né si ravvisavano ad
avviso della Corte bolognese elementi per poter affermare che l’attività
prestata dall’appellante nella serata di sabato per una sola ora potesse
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1. la Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del

avere anche solo messo in pericolo la regolare ripresa del lavoro,
avvenuta normalmente il successivo lunedì 5 aprile 2010, trattandosi di
episodio del tutto circoscritto e limitato, che non aveva attinenza con
la ragione dell’assenza dal lavoro;
2. per la cassazione della sentenza Poste italiane s.p.a. ha proposto

2.1. con il primo motivo, censura la decisione del giudice di
seconda istanza per aver condotto l’operazione di valutazione della
giusta causa di licenziamento nell’erronea convinzione che il
comportamento tenuto dalla signora Genisetti Montanari non fosse
sufficiente a ledere il vincolo fiduciario con la società odierna
ricorrente, per violazione degli articoli 1175, 1375, 2104, 2119 c.c. e
dell’articolo 54 del C.C.N.L., che prevede tra i doveri dei dipendenti al
punto d) quello di astenersi in periodo di malattia o infortunio dallo
svolgere attività lavorativa ancorché non remunerata;
2.2. come secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione
dell’articolo 56 del C.C.N.L. del 2007, che al punto c) del comma sesto
prevede la sanzione del licenziamento senza preavviso “per violazione
dolosa di leggi o regolamenti o dei doveri d’ufficio che possono
arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi” e al
punto k) ‘per fatti o atti dolosi anche nei confronti di terzi compiuti in
connessione con il rapporto di lavoro di gravità tale da non consentire
la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro”;
3. Genisetti Montanari Elisa ha resistito con controricorso, nel
quale ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per
decadenza dai termini di impugnazione, considerato che la sentenza
oggetto di censura è stata depositata 1’11 maggio 2016 e ricorso per
cassazione è stato notificato a mezzo pec in data 30 novembre 2016;

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ricorso:

4. Poste ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2
c.p.c.;
5. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in
forma semplificata. .
Considerato che:

considerato che il ricorso per cassazione risulta consegnato una prima
volta per la notifica a mezzo posta in data 11 novembre 2016, sebbene
non sia stata prodotta la ricevuta di ritorno, sicché la notifica a mezzo
pec perfezionatasi il successivo 30 novembre è stata determinata dalla
mancata ricezione della prima tempestiva notifica. Risulta quindi
rispettato l’onere del ricorrente, una volta non andata a buon fine la
notifica per ragioni a lui non imputabili, di riattivare il processo
notificatoti° con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti
necessari al suo completamento, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite
di questa Corte con la sentenza n. 14594 del 15/07/2016;
2. il ricorso è comunque manifestamente infondato:
2.1. quanto al primo motivo, la Corte territoriale si è attenuta ai
principi consolidati secondo i quali lo svolgimento di altra attività
lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a
giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri
generali di correttezza e buona fede . e degli .specifici obblighi
contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, ‘prestata o
meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere
l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua- fraudolenta
simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della
patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o
ritardare la guarigione e il rientro in -.servizio del lavoratore (v. ex
plurimis Cass. n. 17625 del 05/08/2014, Cass. n. 24812 del 5/12/2016).
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l. l’eccezione preliminare di tardività del ricorso è infondata,

Inoltre, l’espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di
assenza per malattia costituisce illecito disciplinare se da tale
comportamento derivi un’effettiva impossibilità temporanea della
ripresa del lavoro, od anche quando la ripresa sia solo messa in
pericolo dalla condotta imprudente (v. n. 16465 del 05/08/2015), con

cinte, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato;
2.2. la soluzione concreta delle singole vertenze è in effetti e di
necessità condizionata dall’accertamento compiuto dai giudici di
merito, a loro attenendo sia la ricostruzione delle risultanze fattuali, sia
la valutazione dell’incidenza dell’attività sulla malattia nei termini
indicati, valutazione che, se congruamente motivata, è incensurabile in
questa sede;
2.3. nel caso in esame, la Corte, con adeguata valutazione delle
risultanze fattuali, in considerazione della quale il vaglio di legittimità si
arresta, ha ritenuto che la prestazione dell’attività lavorativa così come
risultata in causa non fosse idonea, neppure con una valutazione ex
cinte, a compromettere la guarigione e la regolare ripresa dell’attività
lavorativa, considerata l’eterogeneità della sfera coinvolta dall’attività
lavorativa rispetto alla malattia che aveva determinato l’assenza,
nonché alla limitatezza temporale dell’attività stessa;
3. parimenti infondato è il secondo motivo, considerato che la
Corte d’appello ha valutato le previsioni del contratto collettivo, ma ha
ritenuto che la condotta così come effettivamente realizzatasi non
rientrasse nelle ipotesi ivi .sanzionate, difettandone, quanto alla lettera
c) dell’art. 54 c. 6, il “forte pregiudizio alla società o a terzi” e, quanto
alla lettera k), la richiesta gravità;
3.1 anche sotto tale profilo, la Corte territoriale si è quindi attenuta
ai principi affermati da questa Corte, secondo i quali (v. CaSS.
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una valutazione di idoneità che dev’essere svolta necessariamente ex

05/04/2017 n. 8826, Cass. 04/03/2013, n. 5280) la valutazione in
ordine alla legittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore
per una condotta contemplata, a titolo esemplificativo, da una norma
del contratto collettivo fra le ipotesi di licenziamento per giusta causa
deve essere, in ogni caso, effettuata attraverso un accertamento in

comportamento i.eldebitato al dipendente, nonché del rapporto di
proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche quando Si riscontri
l’astratta corrispondenza di

(luci comportamento alla fattispecie

tipizzata contrattualmente, occorrendo sempre che la condotta
sanzionata sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo
conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore,
anche sotto il profilo soggettivo
della colpa o del dolo, con valutazione
in senso accentuativo rispetto alla reg(ila della “non scarsa importanza”
dettata dall’art. 1455 c.c.;
4. per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore,
il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in
camera di consiglio, ‘ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc.
civ.;
5.

la regolamentazione delle spese processuali segue la

soccombenza;
6. sussistono i presupposti -per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n.
115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
“-)98
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 4.000,00 per compensi,
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concreto, da parte del giudice di merito, della reale entità e gravità del

oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a

13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.11.2017

quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.

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