Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2951 del 10/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2951 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

to di borsa

SENTENZA
sul ricorso proposto da
DI DONATO MICHELE, elettivamente domiciliato in Roma, alla via di Pietralata
n. 320, presso l’avv. GIGLIOLA MAZZA RICCI, dalla quale, unitamente all’avv.
PASQUALE CORRADO del foro di Milano, è rappresentato e difeso in virtù di
procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTE

contro
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI INZAGO SOC. COOP. A R.L., in
persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, al Lungotevere Michelangelo n. 9, presso lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, unitamente all’avv. SALVATORE TRIFIROI, dal quale è rappresentata e difesa in virtù
di procura speciale a margine del controricorso
C( )NTR( )RICORRENTE

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Data pubblicazione: 10/02/2014

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 257/06, pubblicata 1’1 1
febbraio 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31 ottobre

udito l’avv. Paolo Zucchinali per delega del difensore della controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Federico SORRENTINO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
i.

La Banca di Credito Cooperativo di Inzago Soc. Coop. a r.l. propose

opposizione al decreto emesso il 28 settembre 1998, n. 271/98, con cui il Pretore
di Cassano d’Adda, su ricorso di Michele Di Donato, le aveva ingiunto la restituzione della somma di Lire 46.923.567, indebitamente addebitata in conto corrente
per l’effettuazione di un’operazione di borsa non autorizzata dal correntista.
1.1. — A seguito della soppressione dell’ufficio del Pretore, la causa fu trasmessa al Tribunale di Milano, Sezione distaccata di Cassano d’Adda, che con
sentenza del 22 novembre 2002, n. 159/02, rigettò l’opposizione.
2. — Il gravame proposto dalla Banca è stato accolto dalla Corte d’Appello di
Milano, che con sentenza dell’il febbraio 2006, n. 257/06, ha rigettato l’appello
incidentale condizionato proposto dal Di Donato, revocando il decreto ingiuntivo
e condannando l’appellato alla restituzione della somma riscossa in esecuzione
dello stesso.
Premesso che con i motivi d’impugnazione, specifici e conformi al disposto
dell’art. 342 cod. proc. civ., non erano state proposte domande nuove, essendosi
l’appellante limitata a formulare in modo più dettagliato le domande già avanzate
in primo grado, la Corte ha escluso soltanto l’ammissibilità di una declaratoria e-

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2013 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

spressa di legittimità dell’operazione di borsa, non richiesta nelle conclusioni precisate dinanzi al Tribunale, osservando tuttavia che tale accertamento non contravveniva al divieto posto dall’art. 345 cod. proc. civ., costituendo un presupposto

Precisato inoltre che tale questione, riguardante l’accertamento del credito azionato nel procedimento monitorio, era superata dal fatto che il giudice dell’opposizione è tenuto a procedere alla relativa verifica con cognizione piena, ha escluso la nullità dell’operazione, osservando che l’art. 6, comma primo, lett. c),
della legge 2 gennaio 1991, n. 1, richiede la forma scritta soltanto per la stipulazione dei contratti che disciplinano i servizi d’intermediazione mobiliare e non anche per l’effettuazione delle singole operazioni; ha rilevato in proposito che il contratto quadro di riferimento era costituito dall’incarico conferito alla Banca il 1°
aprile 1992 da Marina Krauss, moglie del Di Donato, il quale attribuiva ad entrambi i coniugi la facoltà di compiere operazioni e disporre dei titoli depositati,
consentendo che gli ordini fossero impartiti per telefono e riconoscendo piena efficacia probatoria alle relative annotazioni nei registri della Banca. Ha ritenuto che
quest’ultima avesse offerto una prova sufficiente di aver ricevuto per telefono
l’incarico riguardante l’operazione contestata, essendo stato prodotto il prospetto
riepilogativo degli ordini pervenuti al responsabile dell’ufficio titoli il 18 aprile
1994, i cui dati erano stati confermati dal responsabile della filiale di Inzago, che
aveva anche riconosciuto la firma apposta al prospetto dal direttore generale dell’epoca, al quale i prospetti venivano trasmessi. Ha escluso che l’annotazione richiedesse particolari formalità o che la registrazione dovesse aver luogo nelle
scritture contabili, dando atto della mancanza di specifiche indicazioni nel contratto quadro e della conformità della procedura seguita alla prassi in uso; al riguardo,

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sottinteso della domanda di revoca del decreto ingiuntivo.

ha richiamato le deposizioni rese dal responsabile dell’area titoli e dall’addetto all’ufficio titoli, i quali avevano riferito che l’ordine era stato registrato dalla Simcasse, alla quale venivano trasmessi quotidianamente i riepiloghi degli ordini, che

non aveva sporto alcun reclamo. Premesso che le dichiarazioni dei testi erano confermate dalla documentazione contabile prodotta dalla Banca, ha ritenuto inammissibile, in quanto tardiva, la produzione da parte del Di Donato di un documento attestante l’assenza di titoli in portafoglio alla data del 27 dicembre 1996, reputandola comunque insufficiente a contrastare le risultanze degli elementi acquisiti,
in quanto la situazione dei titoli in portafoglio può variare a seconda delle operazioni di volta in volta effettuate.
La Corte ha infine escluso la fondatezza delle eccezioni sollevate dal Di Donato in ordine alla validità delle procure rilasciate dalla Banca ai difensori, richiamando le argomentazioni svolte dal Giudice di primo grado e ritenendole comunque assorbite dall’avvenuto conferimento da parte del presidente del consiglio
di amministrazione della procura generale agli avvocati nominati nel corso del
giudizio in sostituzione dell’originario difensore, che, in quanto riguardante anche
i giudizi pendenti, rivestiva una chiara valenza di ratifica delle precedenti manifestazioni di volontà. Ha ritenuto irrilevante che la procura fosse stata rilasciata su
un atto diverso da quelli indicati dall’art. 83 cod. proc. civ. e prodotta dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, osservando che la norma citata si riferisce soltanto alla nomina del primo difensore e che la ratifica poteva aver luogo in
ogni stato e grado del giudizio, non essendosi verificata alcuna decadenza o preclusione.
3. — Avverso la predetta sentenza il Di Donato propone ricorso per cassa-

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il riepilogo era stato trasmesso al cliente e che il Di Donato, abituale investitore,

zione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. La Banca resiste con
controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Prioritario, rispetto all’esame degli altri motivi d’impugnazione, è quello

del settimo motivo, il cui accoglimento comporterebbe la dichiarazione d’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo. Il ricorrente deduce infatti la
violazione degli artt. 75, 83, 125 e 182 cod. proc. civ. e dell’art. 1392 cod. civ., ribadendo la nullità della procura originariamente conferita dalla Banca all’avv. Attilio Bertelli e di quella rilasciata successivamente agli avv. Salvatore Trifirò e
Vittorio Provera, nominati in sostituzione del primo.
Afferma al riguardo che il primo incarico fu attribuito sulla base di un verbale del consiglio di amministrazione che, oltre a fare riferimento ad un documento
non rivestito della forma dell’atto pubblico e non documentato, prevedeva il conferimento non già dello jus posndandi, ma del potere di rappresentare la Banca ai
sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. Aggiunge che l’avv. Bertelli versava in situazione
d’incompatibilità, svolgendo attività commerciale, in qualità di consigliere delegato alle questioni legali e alle funzioni connesse allo sviluppo ed alla valorizzazione di una convenzione in accordo con il presidente della Prometeo Tecnoambiente
S.r.l.
Il secondo incarico fu invece rilasciato dal direttore generale della Banca,
sebbene il relativo potere spettasse al consiglio di amministrazione, e la costituzione dei nuovi difensori ebbe luogo con comparsa non autorizzata: l’attività processuale svolta dagli stessi deve pertanto considerarsi nulla, con la conseguenza
che l’assenza di esso ricorrente alle udienze successive ha determinato l’estinzione
del giudizio, puntualmente eccepita nella prima difesa e comunque rilevabile an-

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i.

che d’ufficio. La predetta nullità non può ritenersi sanata dalla procura generale
prodotta unitamente alla comparsa conclusionale, in quanto, indipendentemente
dalla tardività della produzione, la ratifica non è ammissibile nell’ambito proces-

1.1. — Il motivo è infondato.
Le questioni sollevate dal ricorrente in ordine alla validità delle procure rilasciate ai difensori sono state ritenute superate dalla sentenza impugnata per effetto
della produzione in giudizio di una procura generale alle liti rilasciata dal presidente del consiglio di amministrazione della Banca agli avv. Trifirò e Provera. In
proposito, la Corte d’Appello ha correttamente richiamato il principio enunciato
dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisce in giudizio in rappresentanza di un ente può
essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio con efficacia retroattiva, con
riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti per effetto della costituzione in
giudizio del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale
manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del
falsiis procurator. Tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da un soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per
vizi formali o sostanziali, attinenti a violazione degli artt. 83 e 125 cod. proc. civ.
(cfr. Cass., Sez. In, 14 dicembre 2004, n. 23291; 12 ottobre 2001, n. 12494; Cass.,
Sez. lav., 5 maggio 2004, n. 8584).
Tale orientamento, che ha trovato seguito anche in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. III, 27 marzo 2009, n. 7529; 15

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suale.

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settembre 2008, n. 23670; 24 maggio 2007, n. 12090), va ribadito anche in questa
sede, non potendosi condividere l’affermazione del ricorrente, secondo cui la retroattività della sanatoria è impedita dal disposto dell’art. 182 cod. proc. civ., che

decadenze di carattere sostanziale (sancite, cioè, per l’esercizio del diritto e dell’azione: artt. 2964 e ss. cod. civ.), e non anche a quelle che si esauriscono nell’ambito del processo, dovendosi altrimenti pervenire alla conclusione, inammissibile
sotto il profilo sistematico, dell’inapplicabilità dell’art. 182 cit. in tutte le ipotesi in
cui le parti incorrono in decadenze processuali già nell’atto introduttivo (cfr. Cass.,
Sez. I, 16 luglio 2007, n. 15304; 11 ottobre 2006, n. 21811).
Nessun rilievo può assumere, nella specie, la circostanza che la procura generale sia stata prodotta successivamente all’udienza di precisazione delle conclusioni, dal momento che il riscontro del difetto di legittimazione e della conseguente
nullità della procura in sede di decisione avrebbe imposto al Giudice di promuovere la sanatoria del vizio, mediante la fissazione di una nuova udienza dinanzi a
sè. 11 potere di assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in
giudizio, previsto dall’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., anche nel testo
anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 46, comma secondo, della legge 18
giugno 2009, n. 69, dev’essere infatti inteso nel senso che il giudice è tenuto a
promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del vizio, fissando un termine alla parte che non vi abbia già
provveduto di sua iniziativa (cfr. Cass., Sez. Un., 19 aprile 2010, n. 9217; Cass.,
Sez. I, 22 settembre 2010, n. 20052; 28 luglio 2010, n. 17683).
Non può infine condividersi l’assunto del ricorrente, secondo cui il deposito
della comparsa con cui ha avuto luogo la costituzione dei nuovi difensori avrebbe

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fa salve le decadenze già verificatesi: tale previsione si riferisce infatti alle sole

dovuto essere autorizzato dal Giudice: l’autorizzazione del giudice istruttore, già
prevista dall’art. 180 cod. proc. civ. per lo scambio di comparse, si riferisce infatti
alle sole memorie con cui le parti provvedono a precisare, modificare o illustrare

svolge ordinariamente in forma orale, e non può quindi essere estesa all’atto di costituzione del procuratore nominato dalla parte in luogo di quello da cui era originariamente rappresentata; considerato d’altronde che, ai sensi dell’art. 166 cod.
proc. civ., la costituzione dinanzi al tribunale richiede necessariamente un atto
scritto, subordinarne il deposito all’autorizzazione del giudice istruttore significherebbe introdurre un’ingiustificata limitazione alla facoltà, liberamente esercitabile
dalla parte, di nominare e revocare il proprio difensore.
2. — E’ parimenti infondato il primo motivo d’impugnazione, con cui il Di

Donato denuncia la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., censurando la sentenza
impugnata nella parte in cui ha escluso la novità delle domande di accertamento
dell’inesistenza del credito azionato e della legittimità dell’operazione di borsa,
formulate con l’atto di appello.
Sostiene il ricorrente che tali questioni avrebbero dovuto essere sollevate in
primo grado mediante un’apposita domanda riconvenzionale, mai proposta dalla
Banca, la quale, d’altronde, avrebbe dovuto a tal fine chiamare in causa la Simcasse, con cui si sarebbe svolto il rapporto relativo all’acquisto dei titoli. L’omissione
di tale adempimento conferma la legittimazione passiva della Banca e la nullità
dell’acquisto, posto in essere attraverso un soggetto sprovvisto della qualità d’intermediario mobiliare, nonché l’illegittimità dell’addebito, peraltro definitivamente
accertata da questa Corte con sentenza del 15 settembre 2006, n. 19935.
2.1. — Si osserva al riguardo che la domanda proposta dal Di Donato me-

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le rispettive domande ed eccezioni nell’ambito della trattazione della causa, che si

diante il ricorso per decreto ingiuntivo, avendo ad oggetto la restituzione dell’importo addebitato sul conto corrente in dipendenza dell’acquisto di titoli non autorizzato, era qualificabile come azione di ripetizione dell’indebito, rispetto alla qua-

sta, si configurava come una mera eccezione, volta a paralizzare la domanda dell’opposto. L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo infatti ad un ordinario giudizio di cognizione, il cui oggetto non è limitato alla verifica delle condizioni prescritte per l’emissione del provvedimento impugnato, ma si estende all’accertamento del diritto fatto valere dal ricorrente, il quale, pur risultando formalmente
convenuto, assume la posizione di attore in senso sostanziale, ed è pertanto tenuto
ad allegare e provare i fatti costitutivi della pretesa azionata nel procedimento
monitorio; la deduzione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi da parte dell’opponente, il quale riveste la posizione di convenuto in senso sostanziale, pur
comportando un ampliamento della materia del contendere, non integra una domanda riconvenzionale, a meno che l’opponente non richieda, in forza della medesima situazione giuridica, un’autonoma pronuncia avente efficacia di giudicato
(cfr. Cass., Sez. III, 13 giugno 2013, n. 14852; 16 marzo 2012, n. 4233; 24 luglio
2007, n. 16314). Nel giudizio di primo grado, la Banca si è astenuta dall’avanzare
una siffatta richiesta, limitandosi a far valere l’ordine ricevuto dal correntista al solo scopo di ottenere il rigetto della domanda di restituzione da quest’ultimo proposta: correttamente, pertanto, la Corte di merito ha negato ingresso alla domanda di
accertamento della legittimità dell’operazione avanzata con l’atto di appello, la
quale, comportando un ampliamento del peli/uni rispetto all’eccezione originariamente sollevata, si configurava a tutti gli effetti come domanda nuova, inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 24 settembre 2010, n.

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le la deduzione dell’avvenuta effettuazione dell’operazione per ordine del correnti-

20178; Cass., Sez. III, 17 ottobre 2003, n. 15547). Ciò non escludeva peraltro il
dovere di prendere in esame i fatti allegati a sostegno dell’eccezione, la quale, essendo stata ritualmente sollevata in primo grado, non poteva ritenersi travolta dal-

mulazione doveva anzi ravvisarsi l’implicita riproposizione dell’eccezione, ai sensi
dell’art. 346 cod. proc. civ., con la conseguenza che la Corte d’Appello non avrebbe potuto astenersi dal pronunciare al riguardo (cfr. Cass., Sez. II, 27 aprile 1993,
n. 4932).
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, detta pronuncia non richiedeva la partecipazione al giudizio della Simcasse, che, in qualità d’intermediario
cui la Banca aveva trasmesso l’ordine del correntista per l’effettuazione dell’operazione di borsa, non assumeva la posizione di litisconsorte necessario rispetto alla
domanda di restituzione dell’importo addebitato. L’affermazione da parte della
Banca della propria estraneità alla pretesa avanzata dal Di Donato, accompagnata
dall’indicazione del predetto soggetto quale effettivo destinatario dell’ordine, traducendosi nella contestazione della titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio, non impediva infatti l’emissione una pronuncia di accertamento positivo o
negativo della predetta titolarità con effetti limitati alle parti in causa; essa avrebbe potuto giustificare al più la chiamata in causa del terzo ai sensi dell’art. 107
cod. proc. civ., che avrebbe tuttavia potuto essere disposta soltanto dal Giudice di
primo grado, nell’esercizio di un potere discrezionale la cui mancata utilizzazione
non è sindacabile in questa sede (cfr. Cass., Sez. III, 30 gennaio 2012, n. 1291;
Cass., Sez. VI, 4 maggio 2011, n. 9809).
3. — Per analoghe ragioni, non merita accoglimento il terzo motivo, con cui
il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 107, 269 e 270

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la dichiarazione d’inammissibilità della domanda riconvenzionale, nella cui for-

cod. proc. civ., rilevando che, nonostante l’identità delle questioni giuridiche, dei
fatti e del rapporto dedotti in giudizio, non è stata disposta la chiamata in causa
della Krauss o, in alternativa, la riunione del giudizio dalla stessa promosso, della

fensori delle parti.
3.1. — E’ infatti pacifico che il conto corrente sul quale fu addebitato l’importo chiesto in restituzione era cointestato allo stesso ricorrente ed alla moglie Marina Krauss, con facoltà di operare anche disgiuntamente: trova pertanto applicazione l’art. 1854 cod. civ., il quale, prevedendo che la cointestazione del conto corrente a più persone, con facoltà di compiere operazioni anche separatamente, determina, nei confronti della banca, un rapporto di solidarietà attiva o passiva tra i
cointestatari, consente a ciascuno degli stessi di chiedere l’adempimento dell’intera
obbligazione, in tal modo escludendo la configurabilità di un litisconsorzio necessario (cfr. in motivazione, Cass., Sez. I, 18 agosto 1993, n. 8758). L’identità dei
fatti e la contitolarità del rapporto giuridico, posti anche in relazione con l’identità
del pennini, avrebbero potuto al più giustificare la chiamata in causa della Krauss
ai sensi dell’art. 107 cod. proc. civ., mentre l’indubbia connessione esistente tra il
presente giudizio e quello da essa promosso nei confronti della Banca avrebbe potuto renderne opportuna la riunione; tale provvedimento, peraltro, così come la
chiamata in causa, costituisce espressione di un potere discrezionale del giudice, il
cui mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità e non comporta, per
gli effetti che ne derivano sullo svolgimento dei due giudizi, alcuna nullità (cfr.
Cass., Sez. III, 15 maggio 2007, n. 11187; 19 gennaio 2007, n. 1194; Cass., Sez.
lav., 4 ottobre 2004, n. 19840).
4. — Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 111

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cui pendenza il Giudice aveva piena conoscenza, avuto riguardo all’identità dei di-

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Cost., dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., esponendo che con la
citata sentenza n. 19935 del 2006 questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dalla Banca avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano 3

26 giugno 2000, n. 76/00, aveva rigettato l’opposizione al decreto n. 122/98, emesso il 18 aprile 1998, con cui il Pretore di Cassano d’Adda aveva ingiunto alla
Banca la restituzione del medesimo importo in favore di Marina Krauss. Tale pronuncia, secondo il Di Donato, comporta la formazione del giudicato in ordine all’illegittimità dell’addebito effettuato dalla Banca sul conto corrente, la cui efficacia dev’essere estesa anche ad esso ricorrente, in considerazione dell’identità della
sua posizione rispetto a quella della moglie nell’ambito del rapporto bancario ed
alla comunanza delle ragioni poste a fondamento delle rispettive domande.
4.1. — Si osserva al riguardo che la parziale diversità dei soggetti del presente giudizio rispetto a quelli dell’analogo giudizio promosso dalla Krauss per la restituzione dell’importo addebitato esclude la possibilità di riconoscere efficacia di
giudicato alla predetta sentenza della Corte d’Appello di Milano, che, nel rigettare
l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla cointestataria del conto, ha ritenuto non provato l’ordine di acquisto dei titoli. In contrario, non varrebbe evidenziare il rapporto di solidarietà correlato alla cointestazione del conto corrente ed
invocare l’art. 1306 cod. civ., in quanto il primo comma di tale disposizione prevede espressamente che la sentenza pronunziata tra il debitore ed uno dei creditori
in solido non ha effetto nei confronti degli altri, in tal modo confermando il principio generale, sancito dall’art. 2909 cod. civ., secondo cui gli effetti del giudicato
si producono soltanto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (cfr. Cass., Sez. I; 19
febbraio 2003, n. 2469; Cass., Sez. II, 26 ottobre 1982, n. 5591; Cass., Sez. III, 6

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dicembre 2002, n. 2933/02, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano

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agosto 1965, n. 1890). E’ pur vero che il secondo comma consente agli altri creditori di far valere la sentenza favorevole pronunciata nei confronti del concreditore,
salve le eccezioni personali opponibili a ciascuno di essi: nella specie, tuttavia,

esame, la relativa istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile, in quanto
formulata soltanto in questa sede e riferita ad una pronuncia la cui efficacia non
può essere rilevata d’ufficio, spettando esclusivamente all’interessato la valutazione della portata favorevole della sentenza resa nei confronti del concreditore, e, in
caso positivo, la manifestazione della volontà di avvalersene, la quale costituisce
esercizio di un diritto potestativo sostanziale (cfr. Cass., Sez. III, 21 dicembre
2011, n. 27906; Cass., Sez. V, 3 febbraio 2006, n. 2383; 2 aprile 2003, n. 5020).
4.2. — Nelle more della presente decisione, è giunto peraltro a conclusione
un altro giudizio, promosso dal Di Donato nei confronti della Krauss e della Banca per l’accertamento negativo del diritto di quest’ultima al pagamento del saldo
debitore di un conto corrente, e nell’ambito del quale l’attore ha nuovamente sollevato la questione riguardante la legittimità dell’addebito effettuato in dipendenza
del’operazione di borsa non autorizzata. Tale domanda, rigettata in primo grado
dal Tribunale di Bergamo, Sezione distaccata di Treviglio, con sentenza del 1°
febbraio 2007, n. 34/07, è stata invece parzialmente accolta dalla Corte d’Appello
di Brescia con sentenza del 22 febbraio 2012, n. 237/12, la quale, riconoscendo
efficacia alla sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2933/02 non solo nei
confronti della Krauss, ma anche nei confronti del Di Donato, ha ritenuto accertato che nessuno dei due correntisti aveva impartito l’ordine di effettuare l’operazione, ed ha conseguentemente dichiarato l’inesistenza del credito della Banca. Tale
sentenza, non impugnata, è stata ritualmente prodotta dalla difesa del ricorrente in

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anche a voler ravvisare l’esercizio di tale facoltà nella proposizione del motivo in

vista della pubblica udienza, unitamente ad un certificato della cancelleria della
Corte d’Appello, dal quale risulta l’avvenuto passaggio in giudicato: in quanto
pronunciata tra le stesse parti del presente giudizio, ad essa va attribuita efficacia

dell’addebito, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che sia stata
pronunciata successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione.
In proposito, è sufficiente richiamare l’orientamento ormai consolidato di
questa Corte, secondo cui l’esistenza del giudicato esterno è rilevabile d’ufficio in
sede di legittimità, al pari di quella del giudicato interno, non solo quando emerga
da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui, come nella specie, esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza
impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in
quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando
quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in
un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso
interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto
dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che

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vincolante per quanto riguarda l’accertamento compiuto in ordine all’illegittimità

avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula juris alla quale il giudice ha il

che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può quindi aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione (cfr. ex plurimis, Cass.,
sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916; Cass., Sez. I, 23 dicembre 2010, n. 26041;
Cass., Sez. III, 5 marzo 2009, n. 5360).
5. — Il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti gli ultimi tre motivi
d’impugnazione, con cui il ricorrente ha fatto valere l’invalidità del contratto di
negoziazione dei valori mobiliari, per difetto di autorizzazione della Banca, censurando la sentenza impugnata anche nella parte riguardante l’accertamento dell’esistenza dell’ordine di acquisto dei titoli.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto dell’appello proposto
dalla Banca.
6. — L’esito della lite, contrassegnato dalla sopravvenienza del giudicato formatosi in altra sede, giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle
spese relative ai tre gradi di giudizio.

NR6 I 1277-07 Di Donato-Banca Cred Coop Inzago Searl – Pag. 15

dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza

P.Q. M.
La Corte rigetta il primo ed il settimo motivo di ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accol-

le parti le spese dei tre gradi di giudizio.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2013, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile

to, e, decidendo nel merito, rigetta l’appello; dichiara interamente compensate tra

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