Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2951 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. I, 08/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 08/02/2021), n.2951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

su ricorso n. 8231/2019 proposto da:

I.G. elettivamente domiciliato in ROMA, Via della Giuliana

91/C, presso lo studio dell’Avv.to Anna Pensiero; rappresentato e

difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.

Edoardo Cavicchi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’avvocatura dello

Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Genova, n.

1231/2018, pubblicata il 26/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18.11.2020 dal consigliere Dott.ssa Milena Balsamo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 1231/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Genova che, a sua volta aveva confermato il diniego espresso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze di riconoscimento dello status di rifugiato nonchè dell’istanza proposta via subordinata, di protezione sussidiaria ed in via ulteriormente gradata di protezione umanitaria avanzate da I.G., nato nel (OMISSIS) ((OMISSIS)), il (OMISSIS).

Il richiedente asilo, proveniente dallo Stato della (OMISSIS), aveva riferito alla Commissione territoriale di essere fuggito dal proprio Paese in quanto il gruppo mafioso del (OMISSIS), del quale faceva parte lo zio, aveva invitato suo padre ad affiliarsi e, al suo rifiuto, lo avevano ucciso. In particolare, aveva raccontato che, insieme al genitore, era stato rapito da detta organizzazione e che, una volta condotti fuori città, vi era stata una lite nel corso della quale il padre veniva colpito da uno sparo, mentre lui riusciva a fuggire a rientrare a casa, dove lo attendeva la madre che gli consigliava di fuggire. Madre che, nel differente racconto dinanzi al tribunale, risultava invece essere stata rapita insieme al marito ed al figlio.

I giudici di secondo grado, in particolare, hanno escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8 ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria, sia per l’inverosimiglianza della narrazione sia perchè dalle Coi aggiornate al 2017, risultava che il conflitto tra le forze di (OMISSIS) e l’esercito (OMISSIS) era concentrato in particolare nella zona Nord del Paese e che già dal marzo dell’anno 2016, una imponente offensiva militare dell’esercito (OMISSIS) aveva costretto il gruppo terroristico a ritirarsi dalle principali zone del nord-est del paese. In nessuna fonte di informazione nazionale ed internazionale, il (OMISSIS) veniva considerata a rischio, essendo cessata l’aggressione terroristica contro i (OMISSIS) non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, tortura o a trattamenti inumani o degradanti.

Il collegio di merito negava, quindi, il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4 e dell’art. 14, lett. a), b), c); dell’art. 3 Cedu, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. C.p.c..

3. Con la seconda censura, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’omessa valutazione di fatti decisivi accertati nella istruttoria.

Nell’illustrazione dei motivi, le critiche si incentrano sulla decisione che ha negato la protezione sussidiaria e quella umanitaria, senza che i giudici di merito considerassero, in realtà, la situazione socio-politico del paese di origine, deducendo che il riconoscimento della protezione sussidiaria non è subordinata alla prova che il richiedente sia interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, atteso che l’esistenza di una minaccia rilevante ai fini della protezione sussidiaria è inferibile dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso che sia tale da far ritenere che il rientro nel paese di origine esporrebbe il richiedente ad un rischio di subire detta minaccia.

La sentenza impugnata avrebbe invece errato nell’escludere la sussistenza della violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, affermando che la regione di provenienza del richiedente asilo, la (OMISSIS), non sarebbe interessata dal conflitto tra l’esercito (OMISSIS) e i ribelli di (OMISSIS), attingendo da fonti risalenti al 2014 e al 2015, sostenendo il ricorrente che, al contrario, dalle fonti di informazione indicate in ricorso, il (OMISSIS) è interessato dl degrado ambientale, dal furto incontrollato del petrolio e da una nuova ondata di militanza anti governativa aggravata da frizioni etniche e di rivalità politiche. Tali condizioni confermerebbero peraltro la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, tenuto conto della insicurezza del Paese di origine e dell’intenso inquinamento dovuto all’estrazione del petrolio.

3. Le doglianze sono prive di pregio.

3.1 In primo luogo, benchè non vi sia alcun riferimento nell’esposizione dei motivi di ricorso alle protezioni maggiori, occorre ricordare che secondo un recente indirizzo di legittimità, inaugurato da Cass. 2954/2020 e seguito da Cass. n. 8810/2020 e da Cass. n. 11925 del 19/06/2020, Cass. n. 8569/2020, cui il collegio presta convinta adesione, il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. “maggiori”, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. Il principio che le inattendibili dichiarazioni del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso rileva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Difatti è in relazione alla massima protezione ed ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, che la valutazione di credibilità soggettiva (all’esito di una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda; Cass. n. 21142/2019) costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento; sicchè le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018) dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Tuttavia, il ricorrente non ha affatto censurato il giudizio di inverosimiglianza delle dichiarazioni rese.

A questo detto si aggiunga che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), e che tale apprezzamento di fatto diviene censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 33096 del 20/12/2018).

3.2. Quanto alla censura relativa alla richiesta protezione sussidiaria, essa è fondata, assorbita la censura relativa alla protezione umanitaria.

Occorre descrivere in primo luogo il quadro normativo.

Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Il presupposto legislativo della sopra ricordata fattispecie ex art. 14, lett. c) è quello della minaccia grave e individuale alla persona derivante da violenza indiscriminata scaturente da una situazione di conflitto armato interno o internazionale.

In queste situazioni diventa cruciale stabilire se la situazione di pericolo debba concernere specificamente ed univocamente la situazione del richiedente o possa essere sufficiente la rappresentazione di una situazione sociopolitica dalla quale si è sfuggiti e nella quale il rischio diventa effettivo per qualsiasi persona che appartenga alla categoria a rischio. Sotto il profilo comparativo dei requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato politico e di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria, Sez. 6-1, n. 6503/2014, Rv. 630179-01, evidenzia il diverso grado di personalizzazione del rischio oggetto di accertamento nei due istituti tutori, atteso che nella protezione sussidiaria si coglie, rispetto al rifugio politico, un’attenuazione del nesso causale tra la vicenda individuale ed il rischio rappresentato, sicchè, in relazione alle ipotesi descritte al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur dovendo rivestire un certo grado di individualizzazione, non deve avere i caratteri più rigorosi del fumus persecutionis, mentre, con riferimento all’ipotesi indicata nella lett. e) cit. articolo, la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato nel Paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo. In proposito, Sez. 6-1, n. 18130/2017, Rv. 645059-01 (conf. Sez. 6-1, n. 25083/2017, Rv. 647042-01), dopo aver ripreso un precedente di legittimità (Sez. 6-1, n. 15466/2014, non massimata, che, a sua volta, richiama CGUE, Grande Sezione, 17 febbraio 2009, causa C-465/2007 e Id., 1 gennaio 2014, causa C-285/12) non reputa necessaria, a fini dell’applicazione dell’art. 14, lett. c), cit., la rappresentazione coerente, da parte del richiedente, di un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo per la propria incolumità, essendo sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa e indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto dalle autorità statuali, ferma la necessità di un’indagine officiosa sull’effettivo contrasto alla violenza svolto dalle autorità statuali del Paese di provenienza e sul pericolo per l’incolumità cui sia esposto il cittadino straniero in caso di rientro nel Paese d’origine, pur se non ricollegabile in via diretta e causale alla condizione soggettiva narrata, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e art. 14, lett. c), (Cass. nn. 16202 del 2015 Rv. 636614 – 01, N. 13940 del 2020 Rv. 658384 – 02, N. 14350 del 2020; 19224/2020 Rv. 658819 – 01). A detto orientamento si contrappone altro indirizzo di legittimità secondo il quale, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Escludendo la ricorrenza del presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria, a causa della mancata indicazione di elementi idonei a compiere una valutazione individualizzante del rischio nel caso di rimpatrio; presupponendo la protezione sussidiaria che il richiedente rappresenti una condizione, che, pur derivante dalla situazione generale del paese, sia, comunque a lui riferibile e sia caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. (Cass. n. 909/2019; n. 18306/2019; n. 14006 del 31/05/2018; n. 13850/2018; n. 17069/2018; n. 25083/2017; n. 16202/ 2015).

In merito a detto profilo, la Corte di Giustizia – con le sentenze n. 172 del 2009, Elgafaji e n. 285 del 2012, Diakitè, – pur non negando in assoluto la necessità del requisito del carattere individuale della minaccia con riferimento alla fattispecie di protezione sussidiaria di cui all’art. 15, lett. c della direttiva 2004/83/CE (corrispondente appunto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), ha tuttavia affermato che “l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale; l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia”; espressamente precisando che il nesso causale tra situazione generale di danno grave e la diretta esposizione individuale è più sfumato rispetto alle protezioni maggiori ed ha ritenuto che ai fini della protezione sussidiaria” (v. sul punto anche Cass. nn. 25083 e 18130 del 2017). Pure dal riferimento alla, violenza indiscriminata ed al conflitto armato interno od internazionale si evince che la norma allude ad una situazione potenzialmente destinata a coinvolgere la generalità degli individui. Il riferimento alla situazione di violenza indiscriminata implica, infatti, che essa possa estendersi ad una persona a prescindere dalla sua condizione personale.

La Corte di Giustizia rileva che il termine “individuale” deve essere interpretato nel senso che la minaccia può riguardare “danni contro civili, a prescindere dalla loro identità, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto in corso (…) raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la minaccia grave di cui all’art. 15, lett. c) Direttiva”. La Corte afferma, poi, che tale interpretazione, che assicura una autonoma sfera di applicazione all’art. 15, lett. c) direttiva, non viene esclusa dal tenore letterale del considerando 26 della Direttiva Qualifiche (riprodotto nel considerando 35 della nuova Direttiva Qualifiche), in base al quale “I rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave”, affermando che l’utilizzo dell’espressione “di norma”, fa salvo il caso in cui vi sia “una situazione eccezionale, che sia caratterizzata da un grado di rischio a tal punto elevato che sussisterebbero fondati motivi di ritenere che tale persona subirebbe individualmente il rischio in questione”. Nell’esame di una domanda di protezione internazionale, ai fini del riconoscimento di una protezione sussidiaria l’applicabilità della fattispecie in esame dipende dal complesso dei due fattori di rischio di danno grave (individuale o generalizzato) cosicchè “tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinchè egli possa beneficiare della protezione sussidiaria”. Si tratta di un accertamento autonomo che riguarda la verifica dell’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata dettata da conflitto armato interno od esterno in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009 in C-465-07 cd. sentenza Elgafaji).

In sintonia con l’interpretazione della Corte di giustizia, questa Corte ha recentemente chiarito che l’esclusione della necessità di un coinvolgimento diretto del richiedente nel contrasto tra le forze in campo, in ragione del suo ruolo istituzionale, della sua posizione politica, della sua appartenenza etnica o delle sue idee religiose, non implica infatti in alcun modo la dispensa dall’onere di allegare e provare che, per intensità e caratteristiche, lo scontro armato in atto comporta una situazione tale da rendere gravemente rischiosa per la sua vita o la sua incolumità la mera presenza nel territorio del Paese di origine; ma, diversamente da quel che si verifica per le altre ipotesi di protezione internazionale e per la protezione umanitaria (regolata da una specifica disciplina), nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tale onere di allegazione non riguarda l’interessamento del richiedente alla situazione di conflitto armato interno in modo specifico a motivo di elementi relativi alla propria situazione personale, tanto che in questa particolare ipotesi il giudizio di attendibilità e credibilità non entra in gioco, salvo che non sia controversa la stessa provenienza del richiedente da area geografica interessata a una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (vedi per tutte: Cass. 24 maggio 2019, n. 14283, che ha superato il diverso orientamento espresso da Cass. 20 dicembre 2018, n. 33096; Cass. 19 febbraio 2019, n. 4892; v. Cass. n. N. 14283 del 2019; nn. 13940 e 13944 del 2020; n. 14350 del 08/07/2020; nn. 14674 e 14668 del 2020; n. 19224/2010; n. 10286 del 2020; n. 8819 del 2020).

E a detta interpretazione questo Collegio ritiene di aderire.

Inoltre, questa corte ha avuto modo di sottolineare come la violenza indiscriminata possa essere determinata anche da scontri tra soggetti e/o gruppi privati (conflitti interetnici, religiosi, tra comunità, bande criminali, ecc.) che non vengano di fatto controllati dall’autorità statuale. “Al fine di rientrare nell’ambito di applicazione del citato art. 14, lett. c),… (è) sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa ed indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto dalle autorità statuali”; il giudice dovrà, pertanto, verificare, in ossequio al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, “la capacità di fronteggiare la violenza diffusa individuale e collettiva da parte delle autorità… statuali” (Cass. ord. n. 8281/2013, sent. N. 6503/2014; Cass. ord. n. 15466/2014 in motivazione).

Nel caso di specie, il ricorrente ha dedotto la sussistenza, quale motivo di grave pericolo per la sua persona, di una violenza indiscriminata nell’area di provenienza da parte di gruppi antigovernativi, i ripetuti furti di petrolio, la presenza dell’organizzazione mafiosa (OMISSIS), sostenendo che il Collegio avrebbe attinto le informazioni sulla (OMISSIS) da fonti risalenti al 2014-2015.

In realtà, risulta che la Corte d’appello ha attinto le informazioni dal rapporto di Amnesty international del 2015-2017 e dal sito di Amnesty International 2017, che confermano invece la presenza del gruppo armato (OMISSIS) nel nord-est della (OMISSIS), dove le forze del gruppo terroristico si sono ritirate in seguito all’attacco dell’esercito (OMISSIS). Mentre per quanto riguarda l’area sud della (OMISSIS), i giudici di merito si sono limitati ad affermare “che nessuna fonte riferisce di rischi nel sud della (OMISSIS)”, facendo peraltro riferimento ad una decisione della Corte di cassazione del settembre 2016.

L’impugnata sentenza va cassata e la causa rinviata alla medesima corte d’appello di Genova che, in diversa composizione, rinnoverà l’esame uniformandosi ai principi esposti; essa provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Genova, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della sezione prima civile della Corte di Cassazione, tenuta da remoto, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

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