Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29508 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3577/2018 proposto da:

ASSOCIAZINE SPORTING CLUB OSTIENSE, in persona del legale

rappresentante p.t. C.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLA FISICA 7, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIO

ALECCE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, (OMISSIS), in persona della Sindaca pro tempore

Dott.ssa R.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato ANGELA RAIMONDO,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4331/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 29 gennaio 2018 l’associazione Sporting Club Ostiense ricorre per la cassazione della sentenza non definitiva numero 3224-2016 pubblicata il 20 maggio 2016 e della sentenza definitiva numero 4331-2017 pubblicata il 28 giugno 2017, emesse nei confronti del Comune di Roma capitale convenuto in giudizio. Il ricorso è affidato a 5 motivi; la parte resistente ha notificato controricorso.

2. La controversia ha per oggetto la pretesa dell’associazione Sporting Club Ostiense di essere considerata concessionaria di alcune aree comunali dalla medesima a suo tempo occupate in virtù di un atto di concessione in sanatoria) per asserito comportamento concludente di Roma capitale, la quale, nelle varie delibere con cui ha disciplinato nel corso degli anni le regolarizzazioni decise dagli organi collegiali, non avrebbe mai posto quale condizione il pagamento effettivo dei canoni arretrati, cosicchè la concessione ottenuta all’inizio si sarebbe “rinnovata” o perfezionata in modo automatico in virtù della sola adozione degli atti deliberativi in questione. Sul punto il Comune di Roma, convenuto dall’associazione, in via riconvenzionale deduceva che la pretesa dell’associazione di essere riconosciuta come concessionaria fosse estranea a ogni norma di legge che regola i rapporti con la pubblica amministrazione, posto che l’unica concessione amministrativa adottata in favore della prima, pur se già con funzione di regolarizzazione e sanatoria di un’ occupazione pregressa, era relativa alla data dell’11 giugno 1988 e prevedeva una durata dal 1 gennaio 1987 al 31 dicembre 1992 con facoltà di rinnovo per un triennio, previa istanza del concessionario da presentarsi 6 mesi prima della scadenza, e dunque con certa esclusione del rinnovo automatico. Per tale motivo chiedeva in via riconvenzionale il pagamento dell’indennizzo di occupazione equivalente ai canoni indicati nella Delib. Giunta comunale n. 231 del 2005, mai pagati dalla occupante.

3. Il tribunale civile di Roma con la sentenza numero 10.748-2013 respingeva le domande dello Sporting Club Ostiense, dichiarando altresì prescritto il credito di Roma capitale, chiesto in via riconvenzionale quale indennizzo per l’occupazione senza titolo, per le annualità 2004 – 2005, e accogliendo la domanda riconvenzionale del comune conformemente alla misura richiesta in via riconvenzionale, condannava l’associazione al pagamento dell’indennizzo di Euro 176.011,99 per il periodo dal 1 gennaio 2006 al 31 luglio 2011, non rientrante nella prescrizione.

4. Contro la sentenza di primo grado proponeva appello l’associazione Sporting Club Ostiense e la Corte d’appello, con sentenza non definitiva qui impugnata rigettava tutti i motivi d’appello confermando integralmente la pronuncia del tribunale, eccezion fatta per il 3^ motivo d’appello relativo all’insufficiente accoglimento dell’eccezione di prescrizione per le quote annuali arretrate, riferite al periodo prescritto, rimettendo la controversia sul ruolo per il ricalcolo dell’indennizzo dovuto; con la sentenza definitiva, mediante l’ausilio di una CTU, veniva quantificato il residuo indennizzo dovuto, operate le necessarie epurazioni, nella minore importo di Euro 66.506,90, per le annualità di occupazione che vanno dal 2006 al 2011 non ricomprese nel periodo di prescrizione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si deduce violazione delle norme in tema di occupazione senza titolo nonchè nullità della sentenza per motivazione omessa o apparente, laddove la Corte non ha considerato che il Comune di Roma avrebbe deciso unilateralmente di ridurre la domanda relativa all’occupazione, valutata con riferimento al canone ipotetico, e non in base ai valori di mercato, senza ritenere tale elemento sintomatico dell’esistenza validità della concessione tra Comune e associazione sportiva ricorrente.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto difetta del requisito di specificità indicato nell’art. 366 c.p.c., n. 4.

1.2. Il motivo non censura specificamente la motivazione nel punto in cui esprime che, per quanto il Comune abbia richiesto un canone di occupazione equivalente a quello derivante dalla stipula di un ipotetico contratto di concessione, e le parti abbiano intavolato trattative, tale dato non significa che la parte pubblica abbia aderito formalmente, per facta concludentia, a una convenzione che avrebbe dovuto essere stipulata nelle forme previste dalla legge e che non è stata pacificamente stipulata.

2. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia su una domanda di accertamento negativo, contenuta nel motivo d’appello numero 1, e segnatamente laddove parte attrice aveva chiesto incidentalmente che venissero accertate le dimensioni e le caratteristiche del bene oggetto di concessione, posto che il Comune, nel valutare l’indennizzo, non avrebbe considerato che alcune parti delle strutture e impianti sportivi insistevano su beni demaniali o su una porzione di proprietà privata. In proposito, il Comune replica che la domanda di indennizzo ha sempre considerato solo il terreno di sua pacifica competenza, senza riguardare le altre aree su cui non ha titolo per chiedere alcunchè.

2.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di specificità in quanto, anche in questo caso, non si indica “dove e come” dovesse ritenersi, nel giudizio di primo grado, effettivamente controversa la questione inerente al perimetro della pretesa del Comune, il quale invece deduce che la pretesa fosse circoscritta all’area di sua competenza, già individuata catastalmente al momento della concessione scaduta nel 1992 e mai rinnovata.

3. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, per violazione dell’art. 112 c.p.c. o per l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, laddove la Corte d’appello non avrebbe considerato la contestazione in ordine ai criteri di calcolo indicati dal Comune per quantificare l’indennizzo, e ciò sulla base della convenzione stipulata che stabiliva diverse tariffe dell’attività di bar, di ristorazione o sportiva, esercitata sull’area: dunque, in base alla convenzione, le relative occupazioni avrebbero dovuto ricevere corrispettivi diversi. Deduce che tali questioni non erano state esaminate poichè i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto le relative richieste assorbite dalla preliminare questione di qualificazione del rapporto in termini di concessione o di occupazione abusiva.

3.1. La censura è inammissibile in quanto il fatto di cui si deduce l’omessa considerazione non si dimostra rilevante ai fini del decidere, poichè i giudici di merito si sono concentrati sulla questione relativa all’indennizzo in base a un criterio equitativo, e non sulla base dei compensi indicati nella convenzione, pacificamente non stipulata tra le parti, prendendo atto che lo stesso Comune aveva chiesto un minor importo rispetto a quanto eventualmente dovuto a titolo di indennizzo.

3.2. La violazione dei criteri di calcolo avrebbe avuto in realtà rilevanza solo ove le tariffe applicate fossero state riferibili a una specifica convenzione sottoscritta dalle parti o a un indennizzo che, nel suo insieme, si poneva al di fuori dei valori di mercato, fatto non dedotto dalla ricorrente.

3.3. Inoltre, nell’ultimo punto della censura si chiede inammissibilmente di verificare le tariffe applicate in base ai regolamenti per gli impianti sportivi di proprietà comunale approvati con delibere del consiglio comunale, chiedendo a questa Corte una classificazione degli impianti e una valutazione delle relative tariffe che esulano dall’ambito del giudizio di legittimità.

4. Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex artt. 2948 e 2963 c.p.c., laddove la Corte d’appello, pur avendo tenuto conto della prescrizione maturata, non ha considerato il fatto che la prescrizione copriva alcuni mesi (9) relativi all’anno 2006, risalendo l’atto interruttivo al settembre 2011.

4.1. La censura è inammissibile sotto il profilo dell’art. 366 c.p.c., n. 4, in quanto la deduzione non tiene debito conto della decisione, e in particolare del fatto che la Corte ha considerato l’indennizzo dovuto in via equitativa su base annua, e non tanto in riferimento ai canoni di concessione che non sono mai stati concordati, richiamando a tal fine gli indirizzi della giurisprudenza di legittimità, emergenti dalle sentenze n. 5381-2011 e n. 9977-2011 che, tuttavia, non riguardano la presente fattispecie, ove l’indennizzo è stato considerato su base equitativa rispetto all’intero periodo di occupazione. Non ha dunque rilievo la considerazione che, laddove in ipotesi fosse stata stipulata una concessione, il canone avrebbe potuto essere frazionato mensilmente, poichè nella fattispecie posta in comparazione i frutti erano dovuti annualmente con valutazione forfetaria, e non mensilmente, e i giudici di merito hanno valutato l’equità complessiva della richiesta di corrispondere, per il periodo non ricompreso nella prescrizione, un indennizzo mai versato rispetto a quanto in ipotesi avrebbe potuto il Comune richiedere a titolo risarcitorio, sulla base dei valori di mercato. L’atto interruttivo del settembre 2011 ha avuto dunque effetto sull’intera somma complessivamente maturata dal 2006 in avanti, non rientrata nella prescrizione.

5. Il quinto e ultimo motivo di doglianza concerne l’attribuzione delle spese di giudizio che sono state compensate al 50% in base all’esito della lite, e sono state liquidate sia per quanto riguarda il giudizio di primo grado che il giudizio di secondo grado, sulla base del tariffario allora vigente. La ricorrente sul punto deduce sia la violazione delle norme di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., che il vizio di incoerente e illogica motivazione sul punto

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto la Corte d’appello, facendo corretta applicazione del principio della soccombenza sostanziale, ha tenuto conto della riduzione del quantum della pretesa del Comune a seguito dell’eccezione di parziale prescrizione, e disponendo di conseguenza la compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio nella misura del 50%, anche per quanto riguarda le spese della consulenza tecnica d’ufficio, sulla base di una valutazione discrezionale in questa sede insindacabile.

5.2. Del tutto inammissibile, per carenza del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, è poi il riferimento all’omessa distinzione per “fasi” del processo delle spese di lite liquidate laddove la pronuncia si riferisce ai compensi determinati in base alle tariffe allora vigenti e alle note prodotte dai legali di parte. Difatti le valutazioni relative alla distribuzione dell’onere delle spese di lite sono censurabili in cassazione solo quando manchi totalmente una liquidazione o quando la motivazione sia del tutto contraddittoria rispetto all’esito della lite, alle tariffe applicate o alle diverse indicazioni delle parti nelle note spese (cfr. per tutte Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 7654 del 27/03/2013 – Rv. 625598-01: “Sebbene il giudice sia tenuto a liquidare le spese di lite alla parte vittoriosa anche in mancanza di nota specifica, qualora la nota non sia prodotta la liquidazione giudiziale è da presumere avvenuta con riferimento a quel che risulta dagli atti, quanto alla corrispondenza fra l’attività svolta dal difensore e la somma spettante a titolo di spese, diritti ed onorari. In questo caso, è onere della parte che lamenti l’erronea liquidazione dimostrare attraverso la produzione in giudizio della nota specifica delle prestazioni svolte – che l’attività esposta sia stata effettivamente resa, nonchè quali singole voci non siano state incluse nella somma liquidata a compensazione, o siano state liquidate in violazione dei limiti tariffari, potendo il giudice, solo in forza di tale attività, verificare con puntualità e precisione la corrispondenza o meno delle richieste alle risultanze di causa, traendo anche argomento dalla mancata contestazione della controparte”).

6. Conclusivamente il ricorso viene rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 6000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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