Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29507 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO AnnaMaria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 10097/2016 promosso da:

Italian Trust Company s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, nella qualità di trustee del “(OMISSIS)”,

elettivamente domiciliata in Roma, viale Parioli 55, presso lo

studio dell’avv. Giovanni Carta, che la rappresenta e difende

unitamente all’avv. Marcello Poggioli, in virtù di procura speciale

a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4460/15 della CTR della Lombardia, depositata

il 16/10/205;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIACALONE

GIOVANNI, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. GIOVANNI CARTA per la ricorrente e l’avv. GIOVANNI

CHIAPPINIELLO per la controricorrente;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 4460/15, depositata il 16/10/2015, la CTR della Lombardia, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate in un giudizi celebrato in assenza dell’appellato, ha respinto l’originario ricorso proposto da quest’ultimo contro l’avviso di liquidazione e rettifica n. (OMISSIS), avente ad oggetto maggiori importi richiesti a titolo di imposte di donazione, ipotecaria e catastale, riferite a beni conferiti in un trust.

La CTR ha ritenuto che l’Amministrazione avesse correttamente emesso l’avviso nei confronti del trust, in persona del trustee, in assenza della precisa indicazione di tutti i beneficiari finali, e che le imposte dovessero essere pagate in applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47 e 49, conv. con modif. in. L n. 286 del 2006, perchè il trust era riconducibile alla categoria dei vincoli di destinazione.

L’oggetto del giudizio ha riguardato il “(OMISSIS)”, costituito l'(OMISSIS) da Br.Ro., B.L. e B.G., per la gestione del patrimonio ivi contestualmente conferito, designando trustee la Italian Trust Company s.r.l. e beneficiari finali del solo sottofondo immobiliare i discendenti in linea retta di Br.Ro. (senza indicare altri beneficiari per gli altri sottofondi).

Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione la Italian Trust Company s.r.l., formulando cinque motivi di impugnazione.

L’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere la CTR rilevato – in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 2, art. 17, comma 1, art. 20, comma 1, e art. 53, comma 2, la nullità della notificazione dell’atto di appello, effettuata alla Italian Trust Company s.r.l., senza alcuna specificazione della qualità di mero trustee del “(OMISSIS)”, e in luogo diverso dal domicilio eletto ((OMISSIS), invece che (OMISSIS)).

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16,17,20 e 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sempre per non avere la CTR rilevato la nullità della notificazione dell’atto di appello, effettuata alla Italian Trust Company s.r.l., senza alcuna specificazione della qualità di mero trustee del “(OMISSIS)”, e in luogo diverso dal domicilio eletto ((OMISSIS) invece che (OMISSIS)).

Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47 e 49, e del D.Lgs. n. 347 del 1990, nella prospettiva dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR ritenuto il trust assoggettabile alle imposte sui vincoli di destinazione, ipotecaria e catastale, mentre invece non doveva escluderlo, dato che non partecipava ad alcuno specifico arricchimento, ancor più evidentemente nel caso di specie, ove erano stati indicati i beneficiari finali quantomeno del sottofondo immobiliare (che assommava la parte più consistente del patrimonio segregato).

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 49, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè la CTR, non aveva considerato che, essendo i Beneficiari discendenti in linea retta di uno dei disponenti, l’aliquota da applicare per determinare l’imposta sui vincoli di destinazione dovesse essere quella agevolata del 4% sul valore netto eccedente, per ciascun beneficiario, la somma di Euro 1.000.000.

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 1, e dell’allegata Tariffa, art. 4, per ciò che concerne l’imposta ipotecaria, e del medesimo D.Lgs., art. 10, comma 2, per ciò che concerne l’imposta catastale, perchè la CTR aveva ritenuto applicabili tali imposte in misura proporzionale, e non in misura fissa, nei confronti del trustee, mentre invece doveva considerare che l’effetto di trasferimento non si verificava in favore del trustee, al momento del conferimento dei beni nel trust, ma al momento della definitiva attribuzione ai beneficiari finali.

2. Il primo e il secondo motivo di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi, sia pure sotto diversi punti di vista, la prospettata invalidità della notifica dell’atto di appello per i medesimi vizi.

Entrambi i motivi contengono due distinte censure, da ritenersi entrambe infondate.

2.1. In primo luogo, viene dedotta l’invalidità della notifica dell’atto di appello per essere stata eseguita nei confronti della Italian Trust Comany s.r.l., senza alcuna specificazione del ruolo da quest’ultima rivestito, e cioè della qualità di trustee del “(OMISSIS)”.

Tuttavia, come più volte evidenziato da questa Corte, il trust è un ente privo di personalità giuridica, costituendo un mero insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, formalmente intestati al trustee, il quale è l’unico soggetto che, nei rapporti con i terzi, è titolare dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, e non in rappresentanza del trust, ma in proprio, quale soggetto che può disporne, anche se in funzione della realizzazione dello scopo fissato con l’atto di costituzione del trust e nell’interesse del beneficiario finale (cfr. Sez. 6-3, n. 9648 del 26/05/2020, in tenia di revocatoria dell’atto di dotazione di un trust; Sez. 3, n. 2043 del 27/01/2017, con riferimento ad un caso di erroneo esperimento dell’azione esecutiva nei confronti del trust e non del trustee; v. anche Sez. L, n. 12718 del 19/05/2017).

Deve pertanto ritenersi necessaria e sufficiente l’indicazione del trustee come destinatario della notifica.

2.2. In secondo luogo, viene eccepito che la notifica dell’appello non è stata eseguita nel domicilio eletto dalla Italian Trust Comany s.r.l., quando ha conferito la procura all’avv. Guido Luigi Bonaguidi, e cioè lo Studio Legale e Tributario Battagliese Buonaguidi, sito in (OMISSIS).

E’ evidente che l’elezione di domicilio è effettuata presso lo studio professionale del procuratore nominato, il cui nome unito al corrispondente “logo” è riportato anche nell’intestazione del ricorso (v. atto introduttivo del giudizio di primo grado, in questa sede consultabile, stante la prospettazione di un error in procedendo).

L’Agenzia delle entrate si è difesa allegando di avere eseguito la notifica dell’atto presso lo studio dell’avv. Battagliese Guido Luigi che, in base a quanto riportato dal sito del Consiglio Nazionale Forense, risultava esercitare la sua attività in Milano, via Archimede, 56.

Dall’avviso di ricevimento, relativo al menzionato atto, notificato a mezzo posta (il cui esame è in questa sede consentito dal vizio prospettato nel primo motivo di ricorso), si evince che, effettivamente, la notifica è stata effettuata alla Italian Trust Company s.r.l. c/o avv. Battagliese Guido Luigi, via Archimede 56, Milano (doc. 9 fasc. ric.).

Si deve subito rilevare che, nel ricorso per cassazione, non è dedotto che a quest’ultimo indirizzo non vi fosse uno studio dell’avv. Guido Luigi Battagliese, ma soltanto che la notifica è stata effettuata in un luogo diverso da quello designato come domicilio eletto nella procura alle liti.

2.3. Com’è noto, il citato D.Lgs., art. 53, comma 2, prevede che il ricorso in appello sia notificato nelle forme di cui allo stesso D.Lgs., art. 20, commi 1 e 2, il quale rinvia al precedente art. 16, commi 2 e 3, ove viene fatto salvo quanto disposto dal successivo art. 17.

Tale articolo disciplina proprio il luogo delle comunicazioni e notificazioni, stabilendo ai commi 1, 2 e 3 quanto segue: “1. Le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione. 2. L’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo. 3. Se mancano l’elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione….”.

Quindi, in base al citato D.Lgs., art. 17, comma 1, in caso di elezione di domicilio, le notifiche devono compiersi al domicilio eletto. L’elezione vale per i successivi gradi di giudizio e ogni variazione ha effetto solo dopo dieci giorni dalla notifica della denuncia di variazione, da effettuarsi alla segreteria della Commissione e alle parti costituite.

Si deve, però, tenere presente che l’art. 330 c.p.c., comma 1, proprio con riferimento al luogo di notificazione delle impugnazioni (eseguite entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza), statuisce che “Se nell’atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica ai sensi dell’art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per i/ giudizio.” Tale norma, dunque, dalle condizioni indicate, consente anche la notifica al procuratore costituito.

La materia del contendere s’incentra proprio sulla validità, nel processo tributario, della notifica dell’atto di appello al procuratore costituito, quando tale notifica, pur andata a buon fine, risulti effettuata in luogo diverso da quello indicato al momento della nomina del menzionato difensore.

2.4. Prima di tutto, deve escludersi, nel processo tributario, la possibilità di applicare direttamente il disposto dell’art. 330 c.p.c..

In argomento, si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016), le quali hanno affermato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 49, istituiscono un’autentica specialità del rito tributario di merito, sancendo la prevalenza della norma processuale tributaria, ove esistente, sulla norma processuale ordinaria, la quale ultima si applica in via del tutto sussidiaria, oltre che nei limiti della compatibilità, mentre il medesimo D.Lgs., art. 62, per il giudizio di cassazione, fa espressamente riferimento all’applicabilità delle norme del codice di procedura civile, così attribuendo, per questa sola ipotesi, la prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo la possibilità di configurare un “giudizio tributario di legittimità”, cioè un giudizio di cassazione speciale in materia tributaria.

Le medesime Sezioni Unite hanno quindi rilevato che, quanto all’individuazione del luogo in cui deve essere effettuata la notificazione delle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni tributarie, occorre tenere distinta la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, per il processo tributario di merito da quella prevista dal codice di rito in tema di ricorso per cassazione.

In particolare, secondo le Sezioni Unite, non esistono ragioni normative che impongano di affermare che l’art. 17 cit. si riferisca esclusivamente alle notificazioni endoprocessuali (come invece, in precedenza, ritenuto da Cass., Sez. U, n. 29290 del 15/12/2008), tenuto conto che proprio la previsione contenuta dal citato D.Lgs., art. 17, comma 2 (secondo cui l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo) ed anche esigenze di coerenza sistematica inducono a ritenere che la norma sia applicabile, con carattere di specialità e, quindi, di prevalenza, anche alla notificazione del ricorso in appello.

Per quanto riguarda invece la notificazione del ricorso per cassazione, in applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, come sopra intese), le Sezioni Unite hanno ritenuto operante la disciplina di cui all’art. 330 c.p.c. (che non può certo essere esclusa per il fatto che nel processo tributario può accadere che il difensore non sia anche procuratore ad litem), sia pure con la precisazione che la previsione dell’ultrattività dell’elezione di domicilio o dell’indicazione della residenza (o della sede), prevista dal citato D.Lgs., art. 17, comma 2, non può non riflettersi sull’individuazione del luogo di notificazione del ricorso per cassazione, tant’è che, in deroga alla disciplina ordinaria, il ricorso deve ritenersi validamente notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., anche nel caso in cui il soggetto destinatario della notificazione non si sia costituito nel giudizio di appello (oppure, pur costituitosi, non abbia effettuato alcuna indicazione).

Questa Corte ha successivamente ribadito l’opzione interpretativa appena illustrata, affermando più volte che, nel processo tributario, ai fini dell’individuazione del luogo di notifica dell’atto di appello, si deve guardare esclusivamente al disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, avente carattere di specialità, e quindi di prevalenza, rispetto alla disciplina prevista dall’art. 330 c.p.c., che si applica al solo ricorso per cassazione.

Per tali motivi, in alcuni casi, ha ritenuto che, in assenza di elezione di domicilio, la notifica dell’atto di appello dovesse essere effettuata nella residenza dichiarata dal contribuente, affermando la nullità della notifica eseguita presso il procuratore costituito in primo grado che, però, non era anche domiciliatario (così Cass., Sez. 5, n. 4233 del 17/02/2017; Cass., Sez. 5, n. 27877 del 31/10/2018; cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9083 del 06/05/2015). E viceversa, in altri casi, ha dichiarato la nullità della notifica non eseguita presso il procuratore costituito, che era anche domiciliatario della parte (v. Cass., Sez. 5, n. 15630 del 11/06/2019).

Per completezza si devono menzionare decisioni, anche successive alla sentenza delle Sezioni Unite sopra menzionata, che, applicando il disposto dell’art. 330 c.p.c., hanno, invece, affermato la nullità della notifica dell’appello, effettuata alla parte personalmente, invece che al procuratore (così Cass., Sez. 5, n. 8426 del 31/03/2017 e Cass., Sez. 6-5, n. 460 del 13/01/2014; v. anche Cass., Sez. 5, n. 11252 del 29/05/2015 e, da ultimo, Cass., Sez. 6-5, n. 18104 del 10/07/2018, che applica sic et simpliciter l’art. 330 c.p.c.). Si deve tuttavia evidenziare, in primo luogo, che, in quasi tutti i casi esaminati, il difensore era anche domiciliatario della parte e, in secondo luogo, che gli argomenti di tali statuizioni sono gli stessi della precedente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U, n. 29290 del 15/12/2008), condivisibilmente superati nella successiva pronuncia, sempre delle Sezioni Unite, sopra illustrata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016).

2.5. Ciò nonostante, la stessa Corte di legittimità, in numerose pronunce, ha rilevato che la disciplina dell’elezione di domicilio, effettuata, come nel caso di specie, presso lo studio del difensore munito di rappresentanza deve essere distinta da quella relativa a qualsiasi altra forma di elezione di domicilio effettuata dalla parte, indipendentemente dalla costituzione in giudizio a mezzo difensore.

Secondo tale orientamento, che questo Collegio ritiene di condividere, l’elezione del domicilio presso il professionista che rappresenta e difende la parte ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del procuratore medesimo (così Cass., Sez. 5, n. 28712 del 30/11/2017; Cass., Sez. 6-5, n. 13238 del 27/06/2016; Cass., Sez. 6-5, n. 13366 del 29/05/2013; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19134 del 07/09/2010; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2776 del 05/02/2009 contra Cass., Sez. 5, n. 5749 del 23/03/2016 e Cass., Sez. 6-5, n. 20086 del 11/08/2017, che ha ritenuto valida la comunicazione dell’avviso di trattazione effettuata presso la segreteria della commissione tributaria, non avendo la parte dato notizia dell’avvenuto trasferimento dello studio del difensore, presso cui aveva eletto domicilio).

In questi casi, è onere del notificante accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo domicilio del difensore, a prescindere dalla comunicazione, da parte di quest’ultimo, nell’ambito del giudizio, del successivo mutamento (così Cass., Sez. 5, n. 8618 del 28/03/2019; v. anche in motivazione Cass., Sez. 5, n. 4084 del 18/02/2020).

Nel caso di specie, come già evidenziato, non è stato Motto uno spostamento dello studio del difensore, potendo quest’ultimo svolgere la sua attività in più luoghi contemporaneamente, ma ciò rileva è che parte ricorrente, nel proporre ricorso, non ha dedotto che il luogo in cui la notifica è stata effettuata non fosse uno studio del difensore nominato, limitandosi ad affermare che non era il luogo di domicilio eletto. D’altro canto, la controricorrente ha dedotto di avere adempiuto all’onere di verifica sopra descritto, spiegando che l’appello è stato notificato nel luogo in cui, dalla visura al sito del Consiglio Nazionale Forense, il difensore risultava avere il proprio studio professionale.

E la notifica risulta essere andata a buon fine.

Anche in questo caso, dunque, deve ritenersi perfettamente valida la notifica effettuata in un luogo che è comunque lo studio del difensore domiciliatario.

3. Il terzo motivo è fondato.

Dalle allegazioni contenute nel ricorso per cassazione, confermate dalla sentenza impugnata, si evince che oggetto di imposizione è stato l’atto di costituzione di un trust, che veniva contestualmente dotato di beni immobili, diritti reali e partecipazioni societarie, il cui scopo era quello di gestire i beni in esso conferiti per poi devolverli ai beneficiari, solo successivamente individuati.

3.1. Il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, al comma 47, ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni “sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

Nel reintrodurre nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dalla L. n. 383 del 2001, art. 13) la norma appena riportata ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone) la base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione.

E’ evidente che l’estensione dell’imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità previste in origine dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1) conduce a correlare il presupposto del tributo all’accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anzichè all’animus donandi, che infatti difetta negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità.

Anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, questa Corte, superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che il citato art. 2, comma 47, abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1, e cioè il “reale trasferimento” di beni o diritti, e quindi il “reale arricchimento” dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato D.Lgs. n. 346 del 1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel D.Lgs. n. 346 del 1990, semplicemente perchè, all’epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

Tale soluzione risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta disciplinata dal D.Lgs. n. 346 del 1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”.

Pertanto, nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust (v. infra), ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perchè deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva.

Come più volte evidenziato da questa Corte (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020), ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti del tributo, quest’ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Cost., sentenza del 15/05/2015, n. 83), perchè la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Cost., ordinanza 28/11/2008, n. 394).

3.2. Secondo la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, art. 2, ratificata con la L. n. 364 del 1989, con l’espressione trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – ponendo dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

Tale figura assume connotazioni diverse a seconda delle modalità con cui viene istituito, delle finalità che persegue e dei soggetti che rivestono le diverse figure (settlor, trustee, guardian, ecc…).

Vi sono però alcuni elementi caratterizzanti comuni, i quali possono essere individuati: 1) nel nucleo causale unitario costituito dalla combinazione dello scopo di destinazione con quello, ad esso strumentale, di segregazione patrimoniale; 2) nell’attuazione del vincolo di destinazione mediante intestazione meramente formale dei beni al trustee ed attribuzione al medesimo di poteri gestori e di disposizione circoscritti e mirati allo scopo; 3) nell’attribuzione al beneficiario (ove esistente) di una posizione giuridica che non è di diritto soggettivo, ma di aspettativa o die interesse qualificato ad una gestione conforme alla realizzazione dello scopo (così, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

Come sopra evidenziato, il trust non è dotato di una propria personalità giuridica e il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non in qualità di legale rappresentante del trust, ma come colui che dispone dei beni e dei diritti in esso conferiti in conformità alle istruzioni e in coerenza con lo scopo a cui il patrimonio è destinato.

E’ pertanto evidente il carattere fiduciario del rapporto fra disponente e trustee, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio – perchè non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati – ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsti, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito, non nell’interesse proprio, ma di terzi.

Come emerge da quanto appena evidenziato, l’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, nei termini sopra evidenziati, e pertanto non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo. I beni e i diritti non sono a lui attribuiti in modo definitivo, essendo egli solo tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere.

Nè può ritenersi che la costituzione del trust produca un effetto incrementativo della capacità contributiva del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento.

E, non si può neanche affermare, almeno in via generale, che, grazie alla sola costituzione del trust, i terzi beneficiari, ove esistenti, acquisiscano già un qualche incremento patrimoniale, che comporta una maggiore capacità contributiva, verificandosi tale effetto migliorativo nella sfera giuridica di questi ultimi solo quando il trustee abbia portato a termine l’attività ad esso demandata, per la quale ha ottenuto l’attribuzione strumentale e temporanea della titolarità dei beni.

La strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica pertanto, nei termini indicati, la neutralità fiscale, tenuto conto che l’indice di ricchezza, al quale deve sempre collegarsi l’applicazione del tributo, non prende consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

L’apposizione del vincolo sui beni conferiti nel trust, in quanto tale, determina l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.), la quale non concreta, di per sè, alcun effettive e definitivo incremento patrimoniale in capo al trustee, ma soltanto al beneficiario finale, ove esistente, ma in un momento successivo, quando il trust ha raggiunto lo scopo per cui è stato costituito. Prima di questo momento, l’utilità, insita nell’apposizione del vincolo, si risolve, dal lato del conferente, in un’autorestrizione del potere di disposizione, mediante la segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, separata dai beni personali del trustee.

3.3. Come sopra evidenziato, tenendo come parametro l’art. 53 Cost., occorre circoscrivere l’applicazione del citato art. 2, comma 47, correlandola, in senso restrittivo, al rilievo della capacità contributiva comportata dal trasferimento del bene, sicchè, quando il conferimento costituisce un atto sostanzialmente neutro, che non arreca un reale e stabile incremento patrimoniale al beneficiario meramente formale della attribuzione, resta esclusa la ricorrenza di un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta (così da ultimo Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 11401 del 30/04/2019, in tema di trasferimento dal mandante al mandatario di un bene immobile oggetto di mandato a vendere).

Pertanto, in questa materia, nè l’istituzione del trust e nè il conferimento in esso dei beni che ne costituiscono la dotazione integrano, da soli, un trasferimento imponibile, costituendo invece atti neutri, che non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza.

In questi casi, l’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dal citato art. 2, comma 47, è dovuta non al momento dell’istituzione del trust o in quello di dotazione patrimoniale dello stesso, fiscalmente neutri, ma semmai in seguito, al momento dell’eventuale trasferimento dei beni o dei diritti a terzi, perchè, come sopra evidenziato, solo tale atto costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. (così Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

In sintesi, il trustee acquista sì la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sè, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito.

A prescindere dalle diverse finalità per cui il trust può essere impiegato (successorio, familiare, liquidatorio, ecc..), ciò che rileva, ai fini della individuazione della misura delle imposte dovute, è il meccanismo astratto sopra descritto presente ogni volta in cui è effettuata tale operazione negoziale.

Il trustee acquista la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma si tratta di un trasferimento strumentale, perchè finalizzato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto costitutivo del trust, che non incrementa il patrimonio personale del trustee, perchè i beni trasferiti restano separati, e segregati, essendo destinati a restare temporaneamente sotto il controllo del trustee prima della destinazione ai beneficiari finali.

Con la dotazione del trust, il disponente non vuole arricchire il trustee, il cui patrimonio personale non trae infatti alcun vantaggio, tenuto conto che i beni restano segregati, ma vuole che quest’ultimo abbia tutti i poteri per gestire e disporre di tali beni, in modo tale da poter attuare le finalità per cui il trust è stato istituito, a vantaggio dei beneficiari finali.

Il trasferimento dei beni al trustee avviene pertanto in via strumentale e temporanea e, in conformità all’orientamento già espresso da questa Corte, sopra riportato, non determina effetti traslativi in favore del trustee, nei significato rilevante ai fini dell’imposizione, quale effettivo e stabile passaggio di ricchezza, poichè non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio di quest’ultimo, che è tenuto solo ad amministrarli e a custodirli e, a volte, a venderli, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del perseguimento dello scopo del trust.

4. L’accoglimento del terzo motivo di impugnazione, comportando l’esclusione dell’applicazione dell’imposta all’atto di costituzione del trust e di conferimento in esso di beni, rende superfluo l’esame del quarto motivo, che deve pertanto ritenersi assorbito.

5. Il quinto motivo deve invece ritenersi fondato.

Com’è noto, il D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 1, comma 1, ha stabilito che “le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione eseguite nei pubblici registri immobiliari sono soggette all’imposta ipotecaria secondo le disposizioni del presente decreto e della allegata tariffa”.

All’art. 4 di tale tariffa è, poi, precisato che la trascrizione di atti o di sentenze, che non importano trasferimento di proprietà di beni immobili nè costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari, è soggetta all’imposta fissa ivi indicata.

Analogamente, il medesimo D.Lgs., art. 10, ha stabilito che “Le volture catastali sono soggette all’imposta del 10 per mille sul valore dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari determinato a norma dell’art. 2, anche se relative a immobili strumentali… omissis… L’imposta è dovuta nella misura fissa di Euro 168,00 per le volture eseguite in dipendenza di atti che non importano trasferimento di beni immobili nè costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari…omissis”.

L’atto soggetto a trascrizione, ma non produttivo di effetto traslativo postula dunque l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.

Come sopra evidenziato, il trustee acquista sì la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sè, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito.

Il trustee acquista la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma si tratta di un trasferimento strumentale, perchè finalizzato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto costitutivo del trust, che non incrementa il patrimonio personale del trustee, restando i beni trasferiti separati, e segregati, in quanto destinati a restare temporaneamente sotto il controllo del trustee prima della destinazione ai beneficiari finali.

Come già evidenziato, deve dunque ritenersi che il conferimento dei beni in trust non determina effetti traslativi in favore del trustee, nel significato rilevante ai fini dell’imposizione, quale effettivo e stabile passaggio di ricchezza, poichè non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio di quest’ultimo, che è tenuto solo ad amministrarli e a custodirli e, a volte, a venderli, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del perseguimento dello scopo del trust.

E’ per questo che detto atto deve ritenersi soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta ipotecaria che a quella catastale (così Cass., Sez. 5, n. 975 del 17/01/2018; da ultimo, v. anche Cass., Sez. 6-5, n. 30821 del 26/11/2019; Cass., Sez. 6-5, n. 2902 del 07/02/2020; Cass., Sez. 6-5, n. 7003 dell’11/03/2020; Cass. Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020; Cass., Sez. 6-5, n. 9601 del 25/05/2020).

6. Deve pertanto essere accolto il terzo motivo e il quinto motivo di impugnazione e – rigettato il primo e il secondo, dichiarato assorbito il quarto – l’impugnata sentenza deve essere cassata nei limiti del motivo accolto.

7. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e, il ricorso originario del contribuente deve essere accolto.

8. Le spese di lite devono essere interamente compensate, tenuto conto dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in pendenza del presente giudizio di legittimità.

9. Tenuto conto dell’esito del giudizio, non sussistono i presupposti per le statuizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, art. 1, comma 1 quater.

PQM

La Corte:

accoglie il terzo motivo e il quinto motivo di ricorso e – rigettato il primo e il secondo, assorbito il quarto – cassa la sentenza impugnata nei lime del motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente;

– compensa interamente tra le parti le spese di lite;

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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