Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29505 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 6237/2016 promosso da:

B.A., elettivamente domiciliata in Roma, via di Villa

Sacchetti 9, presso lo studio dell’avv. prof. Giuseppe Marini, che

la rappresenta e difende unitamente all’avv. prof. Giovanardi Andrea

e all’avv. Nicola Bardino, in virtù di prucura speciale a margine

del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– intimata –

e nei confronti di:

Sofipo Uf Trustee Limited, in persona del legale rappresentante pro

tempore, nella qualità di trustee del trust denominato “Templari

Trust”;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1310/7/15 della CTR del Veneto, depositata il

01/09/2015;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI

GIACALONE, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. PIERLUIGI MUCCARI, in sostituzione dell’avv. prof.

GIUSEPPE MARINI per parte ricorrente e l’avv. GIOVANNI CHIAPPINIELLO

per l’Agenzia delle entrate;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1310/7/15, depositata il 01/09/2015, la CTR del Veneto ha parzialmente accolto gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate in due diversi procedimenti, dalla CTR riuniti, relativi all’impugnazione di due distinti avvisi di liquidazione dell’imposta di successione e donazione, riguardanti due conferimenti di denaro in un trust. In particolare, la CTR ha ritenuto dovute le imposte indicate negli avvisi, ma non le sanzioni, che ha escluso.

L’oggetto del giudizio attiene ad un trust costituto il 09/07/2007 a (OMISSIS) da B.A., denominato “Templari Trust”. La disponente, in quell’occasione, ha nominato trustee la Sofipo Uf Trustee Limited, società fiduciaria avente sede a Cipro, affidandole il compito di gestire i beni conferiti, e ha destinato agli scopi del trust la somma di Euro 14.500,00. Successivamente, in data 28/09/2007, 13 medesima ha destinato al trust l’ulteriore somma di Euro 2.100.000,00. Dagli atti si evince che, al momento della costituzione, i beneficiari finali del trust sono stati indicati in modo generico e solo successivamente sono stati designati i tre figli della disponente.

Come sopra anticipato, gli avvisi impugnati hanno riguardato i menzionati conferimenti in denaro nel trust.

Il primo avviso, recante il n. (OMISSIS), è stato emesso e notificato alla disponente, B.A., e al trust, rappresentato dal trustee, che l’hanno impugnato.

Il secondo avviso, recante il n. (OMISSIS), è stato emesso e notificato solo al trust, rappresentato dal trustee, che l’ha impugnato.

I due procedimenti, che sono sorti a seguito delle impugnazioni, sono stati riuniti nel giudizio di appello.

All’esito del gravame, la CTR, nella sentenza sopra menzionata, ha ritenuto che il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47 e 49, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, nel prevedere l’applicazione dell’imposta di successione e donazione anche agli atti di destinazione, abbia istituito una nuova imposta, diversa da quella di successione e donazione, applicabile al conferimento di capitali nel trust, aggiungendo che soggetti passivi della stessa sono il disponente ed il trustee in solido tra loro.

Avverso la sentenza della CTR solo la disponente, B.A., ha proposto ricorso per cassazione, formulando sette motivi di impugnazione.

Il trustee è rimasto intimato, mentre l’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.

Il ricorso è stato notificato anche ai figli di B.A. ( M.A., M.E., M.F.), avendo la disponente dedotto che il trust è cessato e che i beni dello stesso sono stati devoluti a questi ultimi, in qualità di beneficiari finali.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), perchè, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, la CTR non ha preso atto, come pure eccepito, che l’appello non conteneva motivi specifici di impugnazione.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sempre per non avere la CTR preso atto, come pure eccepito, che l’appello non conteneva motivi specifici di impugnazione.

Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47 e 49, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR ritenuto che la norma sopra richiamata avesse introdotto una nuova imposta, che colpisce i vincoli di capitale, trattandosi invece della stessa originaria imposta, applicabile ai trasferimenti di beni, operati, oltre che per successione, anche per atto tra vivi, connotati dallo spirito di liberalità o dalla gratuità, ovvero, appunto, dalla presenza di un vincolo di destinazione, con la conseguenza che l’imposta deve essere corrisposta, -non al momento della istituzione del trust o del conferimento in esso di beni, ma in quello di trasferimento dei beni in esso presenti ai destinatari finali.

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la CTR, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 112 c.p.c., mutato la motivazione dell’atto impositivo, sia con riferimento all’individuazione del soggetto passivo d’imposta (disponente e trustee in solido tra loro), sia con riferimento alle ragioni che hanno indotto all’emissione degli avvisi (imposizione del vicolo di destinazione, in sè rilevante).

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere la CTR, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 18, affermato che soggetto passivo dell’imposta è anche la disponente, B.A., non avvedendosi che la medesima non era stata parte nel procedimento (riunito) relativo all’impugnazione dell’avviso n. (OMISSIS), perchè l’Amministrazione non le aveva notificato tale atto.

Con il sesto motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sempre per avere la CTR affermato che soggetto passivo dell’imposta è anche la disponente, B.A., non avvedendosi che la medesima non era stata parte nel procedimento (riunito) relativo all’impugnazione dell’avviso n. (OMISSIS), perchè l’Amministrazione non le aveva notificato tale atto.

Con il settimo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47 e 49, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR affermato che soggetto passivo dell’imposta è anche il trustee, e comunque la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, non potendo quest’ultimo essere considerato condebitore solidale.

2. Si deve prima di tutto rilevare che la ricorrente ha notificato il ricorso per cassazione anche ad M.A., M.E., M.F., che non hanno partecipato alle precedenti fasi di giudizio, deducendo che il trust è cessato il 30/04/2014 e che i beni dello stesso sono stati devoluti a questi ultimi, in qualità di beneficiari finali.

Tali notifiche assumono evidentemente la funzione di litis denuniatio, al fine di favorire l’eventuale intervento in giudizio dei desinatari, quali aventi causa del trustee (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 25423 del 10/10/2019), i quali però, pur avendo ricevuto la notificazione, hanno ritenuto di non dover svolgere alcuna attività difensiva.

3. Sempre in via preliminare, si deve precisare che i due procedimenti, relativi all’impugnazione di due diversi avvisi di liquidazione per cui è causa, sebbene siano stati riuniti in grado di appello, sono comunque procedimenti che mantengono la loro distinzione e autonomia.

Come di recente ribadito da questa Corte, proprio con riferimento al processo tributario, la riunione formale di più cause connesse, lasciando immutata la posizione delle parti in ciascuna di esse, senza che le statuizioni riferite ad un processo si ripercuotano sull’altro, non altera l’autonomia delle relative domande e, quindi, delle relative decisioni, sicchè ciascuna di esse è soggetta al rispettivo regime riguardo alle forme ed ai termini di impugnazione. Il principio di autonomia dei giudizi è, infatti, suscettibile di temperamento solo al fine di evitare un inutile aggravio degli oneri processuali, sempre che non ne risulti vulnerato il diritto di difesa (così Cass., Sez. 5, n. 25083 del 08/10/2019).

4. Passando, dunque, ad esaminare le singole censure, deve subito essere dichiarata l’inammissibilità del settimo motivo di ricorso per cassazione.

Con tale censura, la ricorrente – colei che ha istituito il trust e ha conferito in esso del denaro – ha impugnato la decisione della CTR, nella parte in cui ha affermato che il trustee era soggetto passivo dell’imposta, ravvisando anche una responsabilità solidale di quest’ultimo con la disponente.

In questo modo la parte ha fatto valere ragioni che solo il trustee è legittimato a proporre, in violazione dell’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi previsti dalla legge (per l’applicazione del principio, sia pure in una fattispecie diversa, cfr. Sez. 1, n. 23571 del 09/10/2017).

La questione della legittimatio ad causam coinvolge la tutela del contraddittorio e mira a prevenire l’adozione di una sentenza inutiliter data, sicchè la relativa verifica deve essere compiuta in via preliminare anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione).

Nel caso di specie, il ricorso per cassazione è stato presentato solo dalla disponente, che, in base a quanto evidenziato, non può far valere i motivi di impugnazione personali del trustee, il cui ipotetico accoglimento, peraltro, non arrecherebbe alcun risultato utile alla medesima, non migliorando la sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario.

5. Il primo e il secondo motivo di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente, perchè riguardano una stessa censura, solo diversamente qualificata, rivelandosi entrambi infondati.

La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, oramai consolidata nel distinguere la portata del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, rispetto al disposto dell’art. 342 c.p.c., evidenziando che, nel processo tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (v. Cass., Sez. 5, n. 32954 del 20/12/2018).

Proprio con riguardo all’appello dell’Amministrazione finanziaria, la Corte ha precisato che, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione si limiti a ribadire e a riproporre, in appello, le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, che costituisce una norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. (Cass., Sez. 6-5, n. 24641 del 05/10/2018; Cass., Sez. 6-5, n. 7369 del 22/03/2017).

Ad analoghe conclusioni, è pervenuta, guardando all’impugnazione proposta dal contribuente (v. Cass., Sez. 6-5, n. 30525 del 23/11/2018; Cass., Sez. 6-5, n. 1200 del 22/01/2016).

A fondamento di tali conclusioni, è condivisibilmente posta la considerazione del carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 32838 del 19/12/2018).

Nel caso di specie, il giudice di merito, in conformità all’orientamento interpretativo appena illustrato, ha correttamente ritenuto che l’Agenzia appellante avesse ottemperato al dovere di specificità, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, evidenziando che, a fronte di una decisione della CTP che aveva abbracciato totalmente la tesi dei contribuenti, ha riproposto in toto gli argomenti già illustrati che l’hanno indotta ad emettere gli atti impugnati, i quali si differenziano e contraddicono nella loro interezza la motivazione posta a fondamento della sentenza appellata (v. p. 3 della sentenza impugnata).

6. E’ invece fondato il terzo motivo di impugnazione.

Dalle allegazioni contenute nel ricorso per cassazione, confermate dalla sentenza impugnata, si evince che oggetto di imposizione in ciascuno dei procedimenti riuniti è stato il conferimento di denaro in un trust, il cui scopo era quello di gestire i beni in esso conferito per poi devolverli ai beneficiari, solo successivamente individuati.

6.1. Il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, al comma 47, ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni “sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

Nel reintrodurre nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dalla L. n. 383 del 2001, art. 13), la norma appena riportata ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone la base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione.

E’ evidente che l’estensione dell’imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità previste in origine dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1) conduce a correlare il presupposto del tributo all’accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anzichè all’animus donandi, che infatti difetta negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità.

Anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, questa Corte, superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che il citato art. 2, comma 47, abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1, e cioè il “reale trasferimento” di beni o diritti, e quindi il “reale arricchimento” dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione, (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato D.Lgs. n. 346 del 1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel D.Lgs. n. 346 del 1990, semplicemente perchè, all’epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

Tale soluzione risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta disciplinata dal D.Lgs. n. 346 del 1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”.

Pertanto, nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust (v. infra), ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perchè deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva.

Come più volte evidenziato da questa Corte (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020), ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti del tributo, quest’ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Cost., sentenza del 15 maggio 2015, n. 83), perchè la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Cost., ordinanza del 28 novembre 2008, n. 394).

6.2. Secondo l’art. 2 Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata con la L. n. 364 del 1989, con l’espressione trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – ponendo dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

Tale figura assume connotazioni diverse a seconda delle modalità con cui viene istituito, delle finalità che persegue e dei soggetti che rivestono le diverse figure (a titolo esemplificativo, il trustee può essere un terzo o lo stesso settlor, i beneficiari possono essere da subito individuati in modo specifico oppure no).

Vi sono però alcuni elementi caratterizzanti comuni, i quali possono essere individuati: 1) nel nucleo causale unitario costituito dalla combinazione dello scopo di destinazione con quello, ad esso strumentale, di segregazione patrimoniale; 2) nell’attuazione del vincolo di destinazione mediante intestazione meramente formale dei beni al trustee ed attribuzione al medesimo di poteri gestori e di 1isposizione circoscritti e mirati allo scopo; 3) nell’attribuzione al beneficiario (ove esistente) di una posizione giuridica che non è di diritto soggettivo, ma di aspettativa o di interesse qualificato ad una gestione conforme alla realizzazione dello scopo (così, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

Il trust non è dotato di una propria personalità giuridica e il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non in qualità di legale rappresentante del trust, ma come colui che dispone dei beni e dei diritti in esso conferiti in conformità alle istruzioni e in coerenza con lo scopo a cui il patrimonio è destinato (così, in motivazione, Cass., Sez. 3, n. 3128 del 10/02/2020; v. anche Cass., Sez. 1, n. 25800 del 22/12/2015).

E’ pertanto evidente il carattere fiduciario del rapporto fra disponente e trustee, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio

– perchè non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati

– ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsti, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito, non nell’interesse proprio, ma di terzi.

Come emerge da quanto appena evidenziato, l’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, nei termini sopra evidenziati, e pertanto non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo. I beni e i diritti non sono a lui attribuiti in modo definitivo, essendo egli solo tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere.

Nè può ritenersi, come prospettato dall’Agenzia, che la costituzione del trust produca un effetto incrementativo della capacità contributiva, del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento.

E, non si può neanche affermare, almeno in via generale, che, grazie alla sola costituzione del trust, i terzi beneficiari, ove esistenti, acquisiscano già un qualche incremento patrimoniale, che comporta una maggiore capacità contributiva, verificandosi tale effetto migliorativo nella sfera giuridica di questi ultimi solo quando il trustee abbia portato a termine l’attività ad esso demandata, per la quale ha ottenuto l’attribuzione strumentale e temporanea della titolarità dei beni.

La strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica pertanto, nei termini indicati, la neutralità fiscale, tenuto conto che l’indice di ricchezza, al quale deve sempre collegarsi l’applicazione del tributo, non prende Consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

L’apposizione del vincolo sui beni conferiti nel trust, in quanto tale, determina l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.), la quale non concreta, di per sè, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al trustee, ma soltanto al beneficiario finale, ove esistente, quando il trust abbia raggiunto lo scopo per cui è stato costituito. Prima di questo momento, l’utilità, insita nell’apposizione del vincolo, si risolve, dal lato del conferente, in un’autorestrizione del potere di disposizione, mediante la segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, separata dai beni personali del trustee.

6.3. Come sopra evidenziato, tenendo come parametro l’art. 53 Cost., occorre circoscrivere l’applicazione del citato art. 2, comma 47, correlandola, in senso restrittivo, al rilievo della capacità contributiva comportata dal trasferimento del bene, sicchè, quando il conferimento costituisce un atto sostanzialmente neutro, che non arreca un reale e stabile incremento patrimoniale al beneficiario meramente formale della attribuzione, resta esclusa la ricorrenza di un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta (così da ultimo Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 11401 del 30/04/2019, in tema di trasferimento dal mandante al mandatario di un bene immobile oggetto di mandato a vendere).-

Pertanto, in materia di trust, nè l’istituzione del trust e nè il conferimento in esso dei beni che ne costituiscono la dotazione integrano, da soli, un trasferimento imponibile, costituendo invece atti neutri, che non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza.

In questi casi, l’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dal citato art. 2, comma 47, è dovuta non al momento dell’istituzione del trust o in quello di dotazione patrimoniale dello stesso, fiscalmente neutri, ma semmai in seguito, al momento dell’eventuale trasferimento dei beni o dei diritti a terzi, perchè, come sopra evidenziato, solo tale atto costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. (così Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

In sintesi, il trustee acquista sì la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sè, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito.

A prescindere dalle diverse finalità per cui il trust può essere impiegato (successorio, familiare, liquidatorio, ecc..), ciò che rileva, ai fini della individuazione della misura delle imposte dovute, è il meccanismo astratto sopra descritto presente ogni volta in cui è effettuata tale operazione negoziale.

Il trustee acquista la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma si tratta di un trasferimento strumentale, perchè finalizzato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto costitutivo del trust, che non incrementa il patrimonio personale del trustee, perchè i beni trasferiti restano separati, e segregati, essendo destinati a restare temporaneamente sotto il controllo del trustee prima della destinazione ai beneficiari finali.

Con la dotazione del trust, il disponente non vuole arricchire il trustee, il cui patrimonio personale non trae infatti alcun vantaggio, tenuto conto che i beni restano segregati, ma vuole che quest’ultimo abbia tutti i poteri per gestire e disporre di tali beni, in modo tale da poter attuare le finalità per cui il trust è stato istituito, a vantaggio dei beneficiari finali.

Il trasferimento dei beni al trustee avviene pertanto in via strumentale e temporanea e, in conformità all’orientamento già espresso da questa Corte, sopra riportato, non determina effetti traslativi in favore del trustee, AI significato rilevante ai fini dell’imposizione, quale effettivo e stabile passaggio di ricchezza, poichè non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio di quest’ultimo, che è tenuto solo ad amministrarli e a custodirli o, a volte, a venderli, in regime di segregazione patrimoniale,

in vista del perseguimento dello scopo del trust.

7. L’accoglimento del terzo motivo di impugnazione, comportando l’esclusione dell’applicazione dell’imposta prevista dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, agli atti di conferimento di capitale nel trust, rende superfluo l’esame degli altri motivi, i quali devono pertanto ritenersi assorbiti.

8. Deve pertanto essere accolto il terzo motivo di impugnazione e – rigettato il primo e il secondo, dichiarato inammissibile il settimo e assorbiti gli altri – l’impugnata sentenza deve essere cassata nei limiti del motivo accolto.

9. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e il ricorso originario di B.A. contro l’avviso n. (OMISSIS) deve essere accolto.

10. Le spese di lite devono essere interamente compensate, tenuto conto dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte solo successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione.

11. Tenuto conto dell’esito del giudizio, non sussistono i presupposti per le statuizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, art. 1, comma 1 quater.

PQM

La Corte:

– accoglie il terzo motivo di ricorso e – rigettato il primo e il secondo, dichiarato inammissibile il settimo e assorbiti gli altri – cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso di B.A. contro l’avviso n. (OMISSIS);

– compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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