Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29504 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/12/2020, (ud. 01/10/2020, dep. 24/12/2020), n.29504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12629-2016 proposto da:

D.C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza

Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO CONFORTI giusta

procura in calce;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE AFRICA, 40, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA SORDINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIANFRANCO CHIARELLI giusta procura in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2313/2015 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

TARANTO, depositata il 10/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/10/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Avverso quattro intimazioni di pagamento ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1793, n. 602, art. 50, causalmente ascritte a pretese tributarie relative a diverse imposte e varie annualità, D.C.F. adiva gli organi della giurisdizione tributaria assumendo, per quanto ancora qui d’interesse, la nullità degli atti impugnati per difetto di motivazione, per mancata conoscenza e comunque per nullità delle notifiche delle prodromiche cartelle di pagamento.

L’impugnativa veniva disattesa in ambedue i gradi di merito.

Avverso la sentenza d’appello, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Bari – Sezione staccata di Taranto in data 23 settembre 2015 n. 2313/15, ricorre per cassazione D.C.F., affidandosi a quattro motivi; resiste, con controricorso, Equitalia Sud S.p.A..

Il P.G. ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, per violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta la mancata declaratoria di nullità delle notificazioni delle cartelle prodromiche alle intimazioni opposte, eseguite con consegna del piego raccomandato a persona diversa dal destinatario ma senza l’invio (o quantomeno, senza la prova dell’invio) della raccomandata informativa dell’avvenuta notifica.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

1.1. E’ inammissibile per una duplice, concorrente, ragione, riferibile a difetto di autosufficienza: (a) in primis, per carente esposizione dei fatti di causa, mancando la specificazione delle cartelle asseritamente invalide, invece necessaria in ragione della contestuale impugnativa di plurime intimazioni di pagamento successive a varie cartelle; (b) in secondo luogo, per mancata trascrizione delle relazioni di notifica contestate, occorrente (oltremodo in forma integrale) quando si adduca in sede di legittimità un vizio delle stesse (cfr., ex plurimis, Cass. 30/11/2018, n. 31038; Cass. 22/06/2018, n. 16528; Cass. 28/02/2017, n. 5185; Cass. 29/08/2005, n. 17424) e surrogabile con l’allegazione al ricorso del documento o con l’indicazione della sua collocazione nel fascicolo (attività del pari omesse, nel caso de quo, dal ricorrente).

1.2. E’ altresì infondata in quanto la notifica delle cartelle è stata eseguita, per come acclarato dalla Corte territoriale, mediante invio diretto ad opera dell’agente della riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, di lettere raccomandate con avviso di ricevimento, tutte consegnate a mani di familiare convivente del destinatario: orbene, per il perfezionamento di siffatta modalità di notifica è sufficiente che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, trovando applicazione il regolamento sul servizio postale ordinario (in specie, il D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39) che non prevede la comunicazione di avvenuta notifica (tra le tante, Cass., 21/09/2020, n. 19680; Cass. 28/05/2020, n. 10131; Cass. 10/04/2019, n. 10037; Cass. 12/11/2018, n. 28872; Cass. 28/10/2016, n. 21803; Cass., 15/06/2016, n. 12351; Cass., 6/03/2015, n. 4567; Cass., 19/03/2014, n. 6395; Cass. 17/01/2013, n. 1091).

2. Con il secondo motivo, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione di legge (in dettaglio, dell’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212) per non avere la C.T.R. ravvisato la denunciata nullità delle intimazioni per difetto di motivazione, generiche, a dire del ricorrente, nelle indicazioni relative alle spese di riscossione e agli interessi di mora pretesi (dei quali non sono precisati i criteri di computo: dies a quo e saggio).

Il motivo è infondato.

2.1. Nella serie procedimentale della riscossione coattiva a mezzo ruolo disegnata dal D.P.R. n. 602 del 1973, l’avviso di intimazione (nella prassi chiamato avviso di mora) previsto dall’art. 50 di tale testo normativo è atto che fa seguito alla notificazione della cartella (o delle cartelle) di pagamento e che si concreta (e, ad un tempo, si esaurisce) nell’intimazione ad adempiere (entro cinque giorni) il debito tributario già compiutamente definito dall’atto prodromico, senza recare espressione di ulteriore pretesa verso il contribuente: esso non integra, dunque, un nuovo ed autonomo atto impositivo.

Come chiaramente statuito dal menzionato art. 50, comma 3, l’avviso di intimazione è atto a contenuto vincolato, in quanto va redatto “in conformità al modello ministeriale approvato con decreto del Ministero delle finanze”: non occorre quindi (anche in forza della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies, comma 2) che detto avviso contenga una motivazione diversa ed ulteriore rispetto al paradigma ministeriale, essendo invece bastevole, al fine di garantire al destinatario l’identificazione della pretesa tributaria azionata, il riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata (in tali termini, Cass. 09/11/2018, n. 28689; Cass. 22/12/2014, n. 27216).

2.2. A tali principi si è pienamente uniformata la Corte territoriale la quale, a base dell’apprezzamento positivo in ordine all’adeguatezza della motivazione delle intimazioni contestate, ha posto in evidenza come esse fossero successive a cartelle di pagamento notificate ed esplicitassero “con sufficienza la pretesa tributaria (segnatamente vi è l’indicazione dell’amministrazione finanziaria competente, dell’anno di imposta, della natura dei tributi richiesti in pagamento con un opportuno richiamo all’atto presupposto) già ampiamente conosciuta dal contribuente”.

Argomentazione esaustiva e conforme a diritto, per nulla scalfita dalle generiche doglianze del ricorrente, costituenti in realtà la mera riproposizione dei motivi già dedotti in grado di merito, priva di una critica puntuale e specifica alla decisione gravata.

2.3. Solo per completezza espositiva ed in ossequio ai compiti di nomofilachia, giova rammentare che nella procedura di riscossione forzata a mezzo ruolo i criteri di determinazione degli interessi – cioè a dire il dies a quo ed il saggio di essi – trovino chiara enunciazione nella previsione normativa primaria (segnatamente: nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, per gli interessi fino alla iscrizione a ruolo ad opera dell’ente impositore: nel medesimo D.P.R., art. 30, circa gli interessi di mora per il ritardato pagamento), sicchè il relativo calcolo si risolve in una mera operazione matematica i cui fattori sono predeterminati dalla legge. Da ciò consegue che, trovandosi già il contribuente nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, la motivazione sul punto negli atti di riscossione può ben ritenersi assolta con il mero richiamo alle disposizioni regolatrici ora citate oppure al prodromico atto impositivo (da ultimo, cfr. Cass. 25/09/2020, n. 20310; Cass. 27/03/2019, n. 8508; Cass. 08/03/2019, n. 6812).

Analogamente è a dirsi circa i compensi spettanti all’agente della riscossione per la relativa attività, regolati dal D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, norma che predetermina, senza margini di discrezionalità, l’ammontare delle somme dovute a titolo di aggio.

3. Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza impugnata per “motivazione perplessa ed incomprensibile nonchè per motivazione apodittica ed apparente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, vizio in thesi inficiante tanto la decisione sulle doglianze concernenti la nullità delle notifiche delle cartelle di pagamento quanto quella inerenti l’asserito difetto di motivazione degli avvisi di intimazione.

La censura è infondata.

3.1. Ricorre “motivazione apparente” quando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge – costituzionalmente imposto (art. 111, comma 6) e puntualizzato dalle leggi regolatrici del processo civile ordinario (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e del processo tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4) – omette di esporre i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire al dictum reso, di chiarire cioè su quali prove e su quali argomentazioni abbia fondato il proprio convincimento.

In tali ipotesi, la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, consistendo in argomentazioni obiettivamente inidonee a rendere intellegibile il modo attraverso cui si è formato il convincimento del giudice estrinsecato nella statuizione dispositiva, venendo pertanto meno alla funzione sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, e non consentendo alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità di siffatto ragionamento.

Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente sono poi quella “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” e quella che presenti un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”: in tutti questi casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo ed importa la nullità della sentenza, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (sul tema, tra le tantissime, si vedano Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 22/09/2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232; Cass. 03/02/2017, n. 2876; Cass., Sez. U., 24/03/2017, n. 7667; Cass. 14/06/2017, n. 14927; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

3.2. Ciò precisato in generale, la pronuncia sottoposta al vaglio di questa Corte è ben lungi dal corrispondere ai descritti paradigmi di anomalie inficianti la motivazione: chiaro, esteso e puntuale è l’argomentare della C.T.R., articolato secondo uno schema sillogistico, con una (come si è visto, ineccepibile) individuazione dei principi di diritto disciplinanti la vicenda e una dettagliata sussunzione della vicenda concreta nella fattispecie astratta normativamente prevista.

4. Rigettato il ricorso, il regolamento delle spese segue il principio di soccombenza, con liquidazione operata come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): il rigetto del ricorso costituisce il presupposto per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta Sezione Civile, il 1 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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