Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29503 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 14/11/2019), n.29503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12795/2017 proposto da:

C.S., B.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

V. ORAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato MARCO MATTEI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE AUGELLO;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE LECCO, S.S.,

CO.AL.;

– intimati –

nonchè da:

ASST AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE LECCO, in persona del

Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo

studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANITA DISCACCIATI;

– ricorrente incidentale –

contro

C.S., B.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

V.ORAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato MARCO MATTEI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE AUGELLO;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 802/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’improcedibilità,

l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso principale,

l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato AUGELLO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato DISCACCIATI ANITA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I coniugi C.S. e B.R. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Lecco, l’Azienda ospedaliera Ospedale di Lecco e i dottori Co.Al. e S.S., chiedendo che fossero tutti condannati al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un trattamento di brachiterapia, della durata di due giorni, subito dal C. per la cura di un tumore maligno della prostata.

A sostegno della domanda esposero, tra l’altro, che le due sedute terapeutiche, anzichè limitarsi alla cura del tumore, avevano colpito e bruciato i tessuti dell’intestino retto, della vescica, dell’uretra, dell’osso pubico e delle zone annesse, causando una serie di gravissime conseguenze tali da pregiudicare completamente l’autonomia del C. e da determinargli una depressione di rilevante entità. Aggiunsero di non essere stati informati della possibile portata devastante di detta terapia e che la B., partecipando alle grandi sofferenze del marito, aveva avuto un vero e proprio crollo psichico.

Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e contestando l’entità dei danni così come richiesti.

Il Tribunale, all’esito di una c.t.u. espletata con la procedura dell’accertamento tecnico preventivo presso il Tribunale di Catania, accolse la domanda e condannò i convenuti in solido al pagamento in favore del C. della somma di Euro 851.495 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 9.000 a titolo di danno patrimoniale, e in favore della B. della somma di Euro 123.000, oltre interessi e con il carico delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata in via principale dall’Azienda ospedaliera e dalla dottoressa S. e in via incidentale dal dottor Co. e dai coniugi danneggiati.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 23 febbraio 2017, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale del Dott. Co., ha ridotto l’entità del risarcimento del danno non patrimoniale in favore del C. alla minore somma di Euro 630.185; in parziale accoglimento dell’appello incidentale dei danneggiati, ha riconosciuto in loro favore l’ulteriore somma di Euro 4.045 a titolo di rimborso delle spese delle c.t. di parte; ha confermato, nel resto, l’impugnata sentenza, ha compensato nella misura di metà le spese del giudizio di appello ed ha posto l’altra metà a carico degli appellanti principali.

Quanto alle spese di lite, in particolare, la sentenza d’appello ha osservato che, dovendosi mantenere ferma la liquidazione di quelle di primo grado, la compensazione parziale di quelle del giudizio di appello andava disposta alla luce della parziale reciproca soccombenza e della complessità della fattispecie.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano propongono ricorso principale C.S. e B.R. con unico atto affidato a due motivi.

Resistono l’Azienda ospedaliera Ospedale di (OMISSIS) e la dottoressa S.S. con unico controricorso contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Il Dottor Co. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso, originariamente trattenuto presso la Sesta Sezione Civile di questa Corte, è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 27 dicembre 2018, n. 33526.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

1. Osserva il Collegio che l’esame del merito del ricorso principale è subordinato, in ordine logico, al positivo superamento del vaglio sulla procedibilità del medesimo. Il Consigliere designato per l’esame del ricorso presso la Sesta Sezione di questa Corte, infatti, aveva formulato una proposta, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel senso della improcedibilità per mancato deposito, da parte sia dei ricorrenti che della controricorrente, della copia autentica della sentenza impugnata, con la connessa relata di notifica che i ricorrenti assumono essere avvenuta in data 15 marzo 2017. All’esito della Camera di consiglio, poi, detta Sezione, in composizione collegiale, ha rimesso l’esame del ricorso alla pubblica udienza con l’ordinanza suindicata, e tanto alla luce della sentenza 24 settembre 2018, n. 22438, delle Sezioni Unite di questa Corte, nonchè della successiva ordinanza interlocutoria 9 novembre 2018, n. 28844, con la quale era stata rimessa all’esame del medesimo Collegio un’ulteriore questione di particolare importanza relativa al processo telematico ed alla proposizione del ricorso per cassazione (su tale seconda questione le Sezioni Unite si sono nel frattempo pronunciate con la sentenza 25 marzo 2019, n. 8312).

E’ pacifico che i ricorrenti hanno indicato (nella p. 1 del ricorso) che la sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il 23 febbraio 2017, era stata loro notificata, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, il successivo 15 marzo 2017; e poichè l’odierno ricorso è stato notificato a mezzo PEC il 13 maggio 2017, diventa decisivo stabilire se vi sia o meno in atti la copia notificata della sentenza impugnata, posto che la notifica del ricorso non è avvenuta nel termine di sessanta giorni dal deposito della sentenza stessa (circostanza che, all’evidenza, renderebbe superfluo l’accertamento sull’effettivo deposito della copia notificata della sentenza, essendo il ricorso comunque tempestivo).

2. Questo essendo l’accertamento preliminare da compiere, la Corte ritiene che il ricorso principale sia improcedibile.

Risulta dagli atti che il difensore dei ricorrenti, avv. Augello, nel depositare in cancelleria l’originale dell’odierno ricorso in data 31 maggio 2017, allegò all’impugnazione anche una copia della sentenza impugnata, priva, però, di alcuna prova dell’avvenuta notifica; nell’elenco dei documenti richiamati in calce al ricorso (v. p. 26), infatti, lo stesso difensore indica la “copia autentica della sentenza” impugnata, senza indicazione alcuna sull’avvenuta notifica a cura delle controparti.

Contestualmente al deposito della sentenza il difensore certificò, con attestazione datata 29 maggio 2017, che la copia cartacea della medesima era “conforme alla corrispondente copia informatica presente e contenuta nel fascicolo informatico del procedimento rubricato al n. 2883/2015 della Corte d’appello di Milano dal quale è stata estratta”. Nessuna indicazione e nessuna prova della data della notifica della sentenza si possono dedurre, dunque, dai documenti fin qui richiamati.

Successivamente, in risposta al controricorso dell’Azienda ospedaliera Ospedale di Lecco e della dottoressa S.S., contenente anche il ricorso incidentale, il medesimo avv. Augello depositò un controricorso al ricorso incidentale, in data 25 luglio 2017. Alla conclusione di quello scritto (p. 6) il difensore precisò di aver allegato copia autentica della sentenza impugnata “con relazione di notificazione ex lege n. 53 del 1994, il 15 marzo 2017”; ed infatti in quella circostanza fu allegata anche, come risulta dagli atti a disposizione di questa Corte, un’ulteriore copia della sentenza della Corte d’appello di Milano, ma anch’essa priva di alcuna attestazione di avvenuta notifica. Anzi, a voler essere ancora più precisi, alla sentenza è allegata una dichiarazione, effettivamente proveniente dall’avv. Discacciati, difensore degli odierni controricorrenti, di notifica della sentenza impugnata, ma priva di ogni data. Dopo di che vi è un’ulteriore attestazione di conformità, sottoscritta dall’avv. Augello e (curiosamente) datata 29 maggio 2017 – mentre il controricorso al ricorso incidentale, come si è detto, fu depositato il successivo 25 luglio 2017 – secondo cui la copia della sentenza “notificata ai sensi della L. n. 53 del 1994, a mezzo PEC in data 15 marzo 2017, con relazione di notifica, sono conformi ai documenti informatici da cui sono tratti”. In sostanza, vi sono in atti due diverse attestazioni apparentemente avvenute nella stessa data (29 maggio 2017).

Nella memoria del 21 giugno 2019, depositata in vista dell’udienza pubblica del 3 luglio 2019, la difesa dei ricorrenti ha precisato, ai fini del superamento della questione di procedibilità, che “la copia della sentenza, completa di messaggio PEC, relazione di notifica e attestazione di conformità è stata prodotta nella prima fase del giudizio di legittimità – in occasione del deposito del controricorso a seguito di ricorso incidentale per ovviare all’iniziale trascuranza ed è nella libera disponibilità della Corte; comunque i controricorrenti non hanno disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli”. Da tale memoria possono trarsi due conclusioni: 1) che la copia notificata della sentenza non fu depositata insieme al ricorso; 2) che occorre fare riferimento al controricorso al ricorso incidentale per reperire detta copia notificata (la quale però manca, in base a quanto si è detto).

Occorre a questo punto verificare, alla luce della sentenza 2 maggio 2017, n. 10648, delle Sezioni Unite di questa Corte, se la prova dell’avvenuta notificazione della sentenza d’appello in data 15 marzo 2017 sia per caso ricavabile dal fascicolo dei controricorrenti.

In tale fascicolo, però, non c’è alcuna copia della sentenza impugnata contenente l’indicazione della data di notifica della medesima. Solo dalla nota di iscrizione a ruolo, sottoscritta dall’avv. Discacciati in data 3 luglio 2017, risulta un’affermazione peraltro intrinsecamente contraddittoria; si afferma, infatti, che la sentenza d’appello, depositata il 23 febbraio 2017, fu notificata il 15 marzo 2017, salvo poi in calce cancellare, nell’elenco dei provvedimenti depositati, la copia autentica del provvedimento in questione (n. 5 della nota di deposito).

3. Tirando le fila del discorso fatto fin qui, ritiene il Collegio che manchi in atti ogni prova dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata nella data indicata nel ricorso; il che comporta l’improcedibilità del ricorso principale, senza che la decisione possa essere modificata alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite n. 22438 del 2018 e n. 8312 del 2019. Queste pronunce, infatti, hanno ad oggetto il problema del deposito della copia analogica di un atto (sia esso il ricorso o la sentenza impugnata) privo dell’attestazione di conformità, ma non riguardano il diverso caso nel quale – come quello odierno – la copia notificata della sentenza sia completamente mancante.

Ricorso incidentale.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 91,92,112 c.p.c. e art. 336 c.p.c., comma 1, nullità della sentenza conseguente all’omessa pronunzia sulla domanda di riforma della liquidazione delle spese di primo grado ed errata pronuncia in ordine alle spese del giudizio di appello.

I ricorrenti incidentali osservano che la Corte d’appello, nel riformare, anche se in parte, la sentenza del Tribunale, avrebbe dovuto disporre una nuova liquidazione delle spese del giudizio di primo grado che tenesse conto della reciproca soccombenza derivante dall’accoglimento parziale della domanda risarcitoria. Parimenti, la sentenza in esame avrebbe errato anche nella liquidazione delle spese del giudizio di appello, posto che la liquidazione del danno in una misura minore rispetto al primo grado, con riconoscimento solo dell’ulteriore somma di Euro 4.045, non avrebbe consentito che le spese del giudizio di secondo grado fossero liquidate nella misura di Euro 20.625, il che sarebbe errato perchè non terrebbe conto della “parziale soccombenza” dei danneggiati.

4.1. Il motivo è privo di fondamento sotto entrambi i profili.

Occorre innanzitutto osservare che la Corte d’appello, nel regolare le spese, ha mantenuto ferma la liquidazione di quelle di primo grado come disposta dal Tribunale ed ha poi compensato le spese di appello nella misura della metà, mantenendo l’altra metà a carico dell’Azienda ospedaliera e dei dottori S. e Co..

Rispetto a simile decisione si palesa infondata la prima censura, perchè la Corte d’appello, avendo riformato la sentenza del Tribunale, era sì tenuta ad una nuova regolazione delle spese anche del giudizio di primo grado, ma ben poteva confermare la decisione del Tribunale, posto che gli originari convenuti (oggi ricorrenti incidentali) erano pur sempre soccombenti in base all’esito finale del giudizio, pur essendo stata la pretesa risarcitoria dei danneggiati in parte ridotta. E comunque, tenendo conto del fatto che l’appello principale dei coniugi C. era stato poi anche accolto, sia pure in piccola parte, la decisione di compensazione parziale delle sole spese del giudizio di gravame non appare in contrasto con gli artt. 91 e 92 c.p.c.. Com’è stato in precedenza già affermato, infatti, il giudice d’appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (ordinanza 12 aprile 2018, n. 9064).

Parimenti infondata è la seconda censura, perchè la liquidazione delle spese va fatta tenendo presente il disputatum che, nella specie, aveva ad oggetto l’intero valore della domanda proposta dai danneggiati, e non soltanto la modesta somma di Euro 4.000 in appello riconosciuta (in aggiunta) in favore dei danneggiati (v. in proposito la sentenza 23 novembre 2017, n. 27871). D’altra parte, anche se l’art. 6, comma 1, quarto periodo, della tariffa forense, approvata con D.M. n. 55 del 2014, stabilisce che nei giudizi civili per pagamento di somme di denaro, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente deve effettuarsi avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata (v. l’ordinanza 12 giugno 2019, n. 15857), è indubbio che la “somma attribuita” si identifica con quella riconosciuta in base all’esito finale del giudizio, e non solo in rapporto al grado di appello. Nè può essere taciuta l’evidente genericità della contestazione posta nel ricorso incidentale.

5. In conclusione, il ricorso principale è dichiarato improcedibile, mentre è rigettato quello incidentale.

A tale esito segue la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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