Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 295 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. III, 10/01/2011, (ud. 18/11/2010, dep. 10/01/2011), n.295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27420-2006 proposto da:

G.S. (OMISSIS), D.M.P.

(OMISSIS), D.M.C. (OMISSIS), D.M.

S. (OMISSIS), D.M.D. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SAN REMO 1, presso CASA

PETTORINO, rappresentati e difesi dagli avvocati DI MEGLIO VITTORIO,

PETTORINO MARIO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE ETTORE FRANCESCHINI 89, presso lo studio dell’avvocato

COPPOTELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati DI MEGLIO CLOTILDE,

DI MEGLIO PIETRO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1984/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 16/06/2005, depositata il 28/06/2005

R.G.N. 2411/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI BATTISTA PETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.G.G. conveniva con citazione dinanzi al Tribunale di Napoli gli eredi del defunto D.M.V. – G.S., D.M.C., P., S. e D. – facendo valere un debito assunto dal defunto per L. 70 milioni per prestazioni eseguite in suo favore e provate da una scrittura privata sottoscritta dal de cuius il (OMISSIS). Si costituivano gli eredi e contestavano il fondamento della domanda e chiedevano la verifica della autenticità della scrittura, poi verificata con CTU. 2. Il Tribunale di Napoli con sentenza del 27 marzo 2002 accoglieva la domanda e condannava le convenute al pagamento del debito inclusi interessi legali ed alle spese di lite.

3. Contro la decisione proponevano appello gli eredi chiedendone la riforma sostenendo che il debito riguardava prestazioni di lavoro subordinato in ordine alle quali era competente il giudice del lavoro. Resisteva il creditore dichiarando di non accettare il contraddittorio sulle domande nuove e chiedendo il rigetto del gravame.

4. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 23 giugno 2005 rigettava l’appello e condannava gli eredi appellanti al pagamento delle spese del grado.

5. Contro la decisione ricorrono gli eredi deducendo tre censure, resiste la controparte con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso non merita accoglimento in ordine alle censure dedotte.

Per chiarezza espositiva se ne offre dapprima una sintesi descrittiva ed a seguire la confutazione in punto di diritto.

6.a. SINTESI DESCRITTIVA. Nel PRIMO MOTIVO si deducono tre censure:

a. error in iudicando per la violazione degli artt. 1988, 2697 e ss.

2730 e ss. c.c. e dell’art. 1362 e ss. c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c..

b. error in procedendo per la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. nullità della sentenza e dovere di terzietà del giudice di cui all’art. 111 Cost.;

c. error in iudicando per vizio della motivazione su punti decisivi costituiti dal valore probatorio delle dichiarazioni dello attore e dalle esibizioni di prove documentali.

La tesi di fondo è che gli eredi non avevano negato la esistenza della causa debendi, ma la legittimazione passiva del loro de cuius cerne poi avevano provato. In particolare sostenevano che le prestazioni indicate genericamente nella ricognizione sottoscritta dal M. “per conto mio” erano invece riferibili alla società Aragonese di cui Vincenzo Massa era amministratore. I quesiti – pur non richiesti dal rito vigente – illustrano chiaramente una diversa rappresentazione dei fatti, che la scrittura privata non descriveva.

Nel SECONDO MOTIVO si deduce ancora error in procedendo per la violazione dello art. 345 c.p.c. nel testo previdente e dell’art. 112 e ss. c.p.c. sul rilievo che la Corte di appello non avrebbe esaminato i documenti nuovi proposti in appello a sostegno della tesi diretta a dimostrare il reale beneficiario delle prestazioni.

Nel TERZO MOTIVO si deduce ancora lo error in procedendo in relazione alla violazione delle regole della competenza.

6.b. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. Ponendo ordine logico alla sequenza delle censure, viene per prima la censura inerente alla questione sulla competenza, già proposta in primo grado e quindi riproposta in sede di appello.

La censura, nei termini in cui è stata proposta, è inammissibile, valendo la preclusione di cui allo art. 38 c.p.c., comma 1 non risultando rilevata di ufficio entro la prima udienza di trattazione.

La causa resta pertanto radicata davanti al giudice adito, non senza rilevare che lo stesso decideva con riguardo a quanto affermato nella domanda, ossia in base al quid disputatum (vedi tra le significative Cass. 2306 n. 18240 e 2001 n. 4021). Resta pertanto corretta la statuizione sul punto dei giudici di merito.

IL PRIMO MOTIVO nella sua complessità è inammissibile in relazione alla deduzione sub b) della violazione del principio di imparzialità del giudice del gravame, priva di alcun utile e grave riferimento, mentre risulta infondato sotto il profilo sub a. e inammissibile sotto quello sub c. Sotto il profilo dello error in iudicando, per la ragione che la Corte di appello ha correttamente rilevato che lo atto di ricognizione concerneva un debito personale e non per conto terzi, e che la ricognizione realizzava una astrazione processuale della causa, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte – (vedi tra le significative Cass. 2006 n. 18259 e 2005 n. 22898). Non sussiste pertanto alcuna violazione delle norme sostanziali richiamate.

La inammissibilità del profilo sub c. deriva dal fatto che nessuna omissione rilevante nella valutazione delle prove risulta compiuta dalla Corte di appello, e che il motivo risulta inoltre privo di autosufficienza in ordine alle prove che si indicano come non ammesse.

Parimenti inammissibile, risultando privo di autosufficienza e di specificità, il SECONDO motivo, sulla mancata ammissione di documenti nuovi in appello, richiamati ma non riprodotti e illustrati, così impedendo alla Corte di rilevarne la decisività e la illogica pretermissione valutativa.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore di S.G.G., nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rifondere a S.G.G. le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 1500,00 di cui Euro 200 per spese, oltre accessori e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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