Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 295 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 295 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 15515-2011 proposto da:
OLMETTI FERNANDA C.F. LMTENN47E55G749D, CECCARELLI
MONIA

CCCMN072P55G878T,

CCCJSC76L661804P,

nella

CECCARELLI
qualita’

di

JESSICA
eredi

di

CECCARELLI EZIO, elettivamente domiciliate in ROMA,
I.

VIALE GIULIO CESARE 95, presso lo studio degli
2013
3150

avvocati PALUMBO FRANCESCO e ABATE ADRIANO, che le
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (già FERROVIE DELLO

Data pubblicazione: 09/01/2014

STATO SOCIETA’ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in

(A-vv i 11,4″frq P u”-7-4-1-0 R4-144-0
persona

delf

ga e

4,

‘ro

empore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22,
presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 901/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 02/07/2010 r.g.n. 5926/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/11/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato PALUMBO FRANCESCO;
udito l’Avvocato VESCI GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

– controri corrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ceccarelli Ezio adì il giudice del lavoro esponendo che, in virtù di convenzioni

per lo svolgimento di servizi di “accudienza”, pulizia e custodia del dormitorio
del personale di macchina e viaggiante presso la stazione di Sulmona, assumendo
la qualifica di “incaricato” di servizi, conformemente alle disposizioni di cui alla
L. 30 dicembre 1959, n. 1236, art. 26, e che a far data dal gennaio 1987 l’Ente
F.S., succeduto all’omonima Azienda autonoma, aveva regolarizzato la sua
posizione assumendolo con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò
premesso, deduceva che il rapporto svolto in base alla anzidette convenzioni
aveva avuto le caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato e ne chiedeva il
relativo accertamento, con ogni conseguenza di ordine economico.
La domanda veniva respinta in primo grado, con sentenza confermata in
appello. Il ricorso per cassazione proposto dagli eredi del Ceccarelli veniva
accolto con sentenza di questa Corte n. 14309 del 2007, che annullava la
sentenza impugnata per vizio di motivazione.
La sentenza rescindente affermava che il carattere autonomo o subordinato di
un rapporto di lavoro avente ad oggetto una delle prestazioni d’opera personale
rese in base a contratti stipulati ai sensi della L. 30 dicembre 1959, n. 1236, art.
26, dev’essere accertato alla stregua del contenuto concreto del singolo contratto
e che, con il carattere parasubordinato, giusta la qualificazione in tal senso
offertane dalla stessa norma, non è incompatibile la facoltà del committente di
vigilare sull’esecuzione dell’opera; che, nondimeno, può configurarsi la
subordinazione, ove, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del
merito, risulti l’avvenuta introduzione, in sede di stipulazione della convenzione
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Udienza del 6 novembre 2013

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stipulate con le Ferrovie dello Stato, aveva lavorato dal 1969 al dicembre 1986

o nella concreta gestione della medesima, di ulteriori obblighi lavorativi
incompatibili con detta normativa legale e con la natura autonoma del rapporto
da essa disciplinato. Fatte queste premesse, osservava che la sentenza impugnata

svolgimento dell’attività lavorativa dell’incaricato per raffrontarle con quelle che
caratterizzano la nozione legale di subordinazione, sennonché nel procedere a
tale operazione aveva individuato una serie convergente di elementi, ritenuti non
comprovanti il carattere subordinato del rapporto, attribuendo, senza adeguata
motivazione, alla teste D’Amico affermazioni il cui tenore non era rapportabile al
senso specificato nella sentenza impugnata. In particolare, secondo la Corte
territoriale, i testi D’Amico e Centofanti avevano riferito che era il Ceccarelli a
predisporre i turni di servizio in base all’accordo con gli altri incaricati, mentre il
capo deposito si limitava ad apporre la firma per presa visione; per ogni ipotesi
di assenza, spettava all’addetto ai compiti di accudienza, stabilire, sempre
d’accordo con i colleghi, i turni di sostituzione; gli incaricati che si assentavano
per ferie erano tenuti a reperire personale esterno, che veniva compensato
direttamente dall’addetto; nel compenso percepito mensilmente, vi era una voce
denominata indennità di sostituzione, che veniva attribuita soltanto al
responsabile del dormitorio, quale era il Ceccarelli. Da tali elementi il Giudice a

quo aveva tratto la conclusione della natura autonoma del rapporto di lavoro.
Osservava viceversa questa Corte, nella sentenza n. 14309 del 2007, che dal
verbale di causa riportato nel ricorso per cassazione risultava che la teste
D’Amico aveva reso una deposizione il cui tenore non era rapportabile al senso
specificato nella sentenza, la quale, senza adeguata motivazione, aveva attribuito
alla teste affermazioni manifestamente non corrispondenti al significato corrente.

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aveva mostrato di avere operato tale verifica, accertando le concrete modalità di

La sentenza di appello risultava così affetta dal vizio di cui all’art. 360 cod. proc.
civ., n. 5, poiché le dichiarazioni testimoniali riportate smentivano alcune
affermazioni dello stesso giudice, volte ad escludere il carattere della

Il giudizio veniva ritualmente riassunto dinanzi alla Corte di appello di Roma
che, all’esito del giudizio di rinvio, respingeva l’appello sulla base di un riesame
delle risultanze istruttorie, motivando come di seguito sintetizzato:
a) l’indagine sulla valenza probatoria da attribuire alla deposizione della teste
D’Amico non poteva andare disgiunta dal riesame complessivo delle risultanze
istruttorie, partendo dalla prova documentale, costituita dalla convenzione
stipulata tra le parti, che espressamente qualificava come autonomo il rapporto
instaurato con il conferimento di incarichi ai sensi dell’art. 26 della legge n.
1236/1959;
b) occorreva poi considerare le dichiarazioni rese dal “teste Centofanti, già
dipendente delle Ferrovie dello Stato preposto al controllo del lavoro prestato
dagli incaricati delle pulizie presso il dormitorio della stazione di Sulmona perciò
particolarmente qualificato a riferirne le modalità di svolgimento”; da tale
deposizione era emersa “inequivocabilmente l’autonomia di Ceccarelli Ezio dante causa delle odierne ricorrenti – nell’organizzazione dei turni dei lavoratori
ivi addetti (“si occupava” di predisporre i turni di servizio d’accordo con gli altri
lavoratori ed il capo deposito si limitava a vistarli) ovvero nella gestione delle ,
ferie ed assenze (permessi e malattie o “ferie” venivano gestiti dagli stessi
incaricati provvedendo a reperire i sostituti, anche a loro spese; nel compenso
mensile corrisposto al Ceccarelli quale responsabile del dormitorio era compresa
la voce indennità di sostituzione)”;
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subordinazione.

c) “a tale stregua, la deposizione della teste D’Amico, che contiene affermazioni
genericamente riferite a tutti gli incaricati, senza alcuna distinzione del concreto
atteggiarsi della prestazione resa dal Ceccarelli, circa l’orario osservato ed i

nella sua reale portata come priva di significativi elementi dai quali desumere
alcun vincolo di so ggezione di quest’ultimo nei confronti del preteso datore di
lavoro”.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi Ceccarelli, sulla
base di un unico motivo. Resiste con controricorso la soc. R.F.I..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di censura parte ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ. e dell’art. 26 legge n. 1236 del 1959,
nonché vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), lamentando che ,
la sentenza rescissoria sarebbe affetta dallo stesso vizio della sentenza cassata:
a) per avere affermato, in modo estremamente generico, che la convenzione
stipulata tra le parti aveva qualificato come autonomo il rapporto di lavoro senza
però indagare sul contenuto della convenzione stessa e senza nemmeno accertare
il tenore e la valenza delle clausole in essa contenute;
b) per contenere numerose omissioni e fraintendimenti in merito alla
deposizione della teste D’Amico, che erroneamente era stata ritenuta recante
“affermazioni genericamente riferite a tutti gli incaricati”, mentre, come reso
evidente dal suo tenore testuale, le circostanze riferite riguardavano
specificamente anche il Ceccarelli e concernevano le indicazioni provenienti dal
personale F.S. in merito ad aspetti fondamentali e modalità di svolgimento del
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controlli in caso di ferie e malattia, ovvero indicazioni ricevute, va considerata

rapporto di lavoro, quali la fornitura del materiale occorrente per le operazioni di
pulizia, la definizione dei turni di lavoro, il servizio di sveglia, la concessione di
permessi, ed altro ancora;

contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, aveva riferito che il capo
deposito autorizzava i turni di lavoro predisposti dal Ceccarelli, apponendovi la
firma; provvedeva alla sostituzione degli addetti ed autorizzava i permessi, una ‘
volta che gli addetti si erano accordati per la copertura del turno;
d) per avere trascurato di considerare circostanze determinanti, riferite dal
medesimo teste, quali il controllo svolto dal capo deposito sull’osservanza dei
contratti e l’impossibilità, per gli addetti, di allontanarsi in quanto incaricati della
sveglia del personale viaggiante e di macchina impegnato nella circolazione dei
treni.
Il ricorso è destituito di fondamento.
Il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio,
gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente
pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto
giudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti la cui
estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione
di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi
della controversia. Nella prima ipotesi, infatti, egli è tenuto soltanto ad
uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma primo, cod. proc. civ., al principio di
diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare
l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda invece – la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di
contraddittorietà, non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti
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c) per avere male interpretato la deposizione del teste Centofanti, il quale,

specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma
conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente
quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova,

rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento
secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di
annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo,
evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento
annullato, ritenuti illogici (cfr. Cass. S.U. n. 10598 del 28 ottobre 1997; conf.
Cass. nn. 9811, 12304 del 1998; nn. 1245, 5217, 8068 e 11290 del 1999; nn. 9244
e 10975 del 2000; nn. 5029, 10983, 11118 del 2001; nn. 11395 del 2002; nn. 1402 ‘
e 7635 del 2003; n. 14134 del 2004 e n. 9617 del 2009). In particolare, nei casi di
cassazione per vizio di motivazione il giudice di rinvio deve evitare l’errore logico
della sentenza cassata riesaminando i fatti ai fini di una valutazione complessiva
(Cass. 12 luglio 2000 n. 9244), ma non è vincolato da ipotesi interpretative
eventualmente prospettate dalla Corte di cassazione (Cass. 5 marzo 2009 n.
5316).
Alla stregua dei principi di questa Corte sopra richiamati e qui condivisi, la
Corte di appello di Roma, quale giudice di rinvio, non era vincolata ad alcuna
ipotesi interpretativa e dunque ben poteva porre a base del proprio
convincimento fonti di prova diverse da quelle esaminate nella sentenza
rescindente o anche le stesse fonti, ma in tal caso con l’obbligo di evitare, nel
percorso argomentativo e valutativo delle prove, di incorrere nello stesso vizio
che aveva inficiato la sentenza cassata.
Nella specie, il giudice di rinvio si è attenuto a tali prescrizioni: ha ritenuto di
valorizzare maggiormente la deposizione del teste Centofanti rispetto a quella
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nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel

della teste D’Amico, con scelta motivata in modo logico; ha tratto argomenti di
supporto dal tenore testuale della convenzione. Ciò è sufficiente ad escludere in
radice che la decisione si fondi sullo stesso errore motivazionale del ‘

mutuato il vizio.
Come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare (cfr., in particolare,
tra le tante, Cass. sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045), il vizio di motivazione
non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme
da quello auspicato dalle parti, perché spetta solo al Giudice del merito di
individuare le fonti del proprio convincimento ed all’uopo valutarne le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie
quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza
all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti
dall’ordinamento.
La sentenza rescissoria ha dato conto del motivo per il quale veniva dato
preminente rilievo alla deposizione del teste Centofanti, ritenuto, in ragione delle
funzioni svolte all’interno della stazione di Sulmona, “particolarmente qualificato
a riferirne le modalità di svolgimento” del rapporto di lavoro del Ceccarelli. Ha
quindi evidenziato, con motivazione esente da vizi logici o giuridici, che una serie
di dati fattuali riferiti dal teste (e specificamente indicati) orientavano
“inequivocabilmente” per l’autonomia di Ceccarelli Ezio. Argomenti utili per
l’interpretazione si traevano pure dalla convenzione stipulata tra le parti, che
espressamente qualificava come autonomo il rapporto instaurato con il
conferimento di incarichi ai sensi dell’art. 26 della legge n. 1236/1959.

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provvedimento annullato e così che, della sentenza cassata, quella di rinvio abbia

Nel contesto di tali risultanze doveva correttamente inquadrarsi la deposizione
della teste D’Amico che, “nella sua reale portata”, appariva “priva di significativi
elementi dai quali desumere” il vincolo di soggezione del Ceccarelli nei confronti

Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 cod.
proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia’
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione
della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe
altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova
formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice
di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di
motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un
nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle
risultanze degli atti di causa. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il
controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe
un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le
risultanze istruttorie – prendesse in considerazione fatti probatori diversi o
ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua
decisione, accogliendo il ricorso “sub specie” di omesso esame di un punto (v.
Cass. n. 3161/2002)
Nella specie, i dedotti vizi di motivazione non corrispondono al modello
enucleabile negli esposti termini dal n. 5 del citato art. 360 cod. proc., poiché, si
sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal
giudice del rinvio; nel valutare le stesse risultanze istruttorie da quest’ultimo
esaminate; nel trarne implicazioni e spunti per la ricostruzione della vicenda in

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del preteso datore di lavoro.

senso difforme da quello esposto nella sentenza impugnata; nel desumerne
apprezzamenti circa la maggiore o minore valenza probatoria di alcun elementi
rispetto ad altri. Essi, dunque, incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali

all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di
legittimità (v. pure, tra le più recenti, Cass. n. 6288 del 2011).
In definitiva, il riesame è stato condotto nel rispetto dei limiti segnati dalla
sentenza rescindente e in ossequio alle regole che presiedono al rinnovo del
giudizio in sede di rinvio nell’ipotesi di annullamento della sentenza di appello
per vizio di motivazione.
Il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sulla base del d.m. n. 140 del
2012 e delle tabelle ad esso allegate, che si applica alle controversie pendenti alla
data della sua approvazione, vanno liquidate in Euro 2.500,00 per compensi
professionali e in Euro 100,00 per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A..
P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi e in Euro
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee

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