Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29491 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16950/2019 proposto da:

M.N.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Grispo,

e con questo elettivamente domiciliato presso il suo studio in

(OMISSIS), in virtù di procura rilasciata con atto separato ed

allegato al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di CALTANISSETTA n.

133/2019, pubblicata il 26 febbraio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. M.N.M., cittadino proveniente dal (OMISSIS) ((OMISSIS)), ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 26 febbraio 2019, che ha rigettato il gravame proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta del 16 ottobre 2017.

2. Il richiedente ha riferito di avere lasciato il paese per il timore di subire violenza o di essere ucciso sia per motivi politici, sia per essere minacciato da un gruppo non identificato di terroristi; che nel 2005 si era trovato coinvolto in una rissa tra gli aderenti ai due partiti politici e di avere subito maltrattamenti ad opera di esponenti politici del (OMISSIS), fazione avversa a quella di appartenenza della sua famiglia, (OMISSIS); che, partito dal villaggio e giunto nella città dove viveva la sorella, aveva lavorato come tassista e, nel 2014, un paio di clienti avevano lasciato in macchina alcuni zaini contenenti armi e bombe e che lui aveva denunciato il fatto alla polizia, che avevano arrestato sei persone; i terroristi lo avevano cercato a casa e, non avendolo trovato, avevano dato fuoco all’abitazione.

3. La Corte di appello, con specifico riferimento alla protezione sussidiaria e umanitaria, oggetto di gravame, ha ritenuto sussistente il difetto di attualità del pericolo, per quanto attiene all’episodio narrato e risalente al 2005 e per ciò che riguarda il secondo accadimento la non veridicità di quanto narrato dal richiedente atteso che il ricorrente non lo aveva saputo collocare temporalmente, aveva riferito che i terroristi lo avevano individuato annotando il numero di targa in tal modo “divinando” la successiva presentazione di una denuncia, per poi incendiare la sua casa gridando che se lo avessero trovato lo avrebbero ucciso, che i terroristi avevano dimenticato sul taxi gli zaini pieni di armi; per quanto concerne la protezione umanitaria ha affermato che se da una parte si profilava un significativo radicamento del richiedente in Italia, in ragione della documentazione prodotta attestante attività di lavoro in Italia, la complessiva inattendibilità del racconto fatto non dava adeguata contezza di uno sradicamento parimenti significativo dal territorio di origine, tale da evidenziare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro a distanza di alcuni anni.

4. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo la motivazione della Corte sul rigetto della protezione sussidiaria inconsistente, contraddittoria e di fatto apparente perchè, pur non avendo negato la sussistenza di un pericolo generalizzato nella zona del (OMISSIS), aveva attribuito un rilievo decisivo alla tendenza alla diminuzione degli attacchi da parte dei miliziani islamici registrata nell’ultimo periodo; la Corte, inoltre, aveva ignorato le contestazioni sollevate dal M. con gli atti introduttivi dei precedenti gradi di giudizio e che la regione di provenienza risultava caratterizzata tutt’oggi, come emerso da numerose fonti internazionali e affermato da provvedimenti di giudici di merito, da gravi tensioni sociali, conflitti interetnici e interreligiosi e da una diffusa violenza rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte omesso qualsivoglia accertamento sulla sussistenza delle diverse condizioni poste a base della protezione umanitaria; la Corte aveva l’obbligo di indagare sulla sussistenza di situazioni di vulnerabilità, analizzando la storia personale e collocandola nel contesto attuale della situazione sociale e politica dell’area geografica di provenienza; ininfluente ed illegittimo era il richiamo al giudizio di inattendibilità già espresso per il rigetto della domanda di protezione internazionale; la vulnerabilità sussisteva in ragione della sua giovane età e della sua bassissima estrazione sociale e culturale; la Corte non aveva valutato il suo percorso lavorativo, nè la situazione del paese di provenienza.

2.1 I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

2.2 Ed invero, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

In particolare, in tema di valutazione delle prove, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass., 30 maggio 2019, n. 14762).

2.3 Tanto premesso, nel caso in esame, non sussiste il vizio lamentato sia per quel che riguarda la domanda di protezione internazionale, sia per quanto concerne la domanda di protezione umanitaria perchè entrambe le statuizioni risultano sostenute da una chiara motivazione che delinea il percorso logico – argomentativo che ha portato la Corte di appello a rigettare le tesi dell’odierno ricorrente.

2.4 Nel primo caso la Corte di appello ha ritenuto sussistente il difetto di attualità del pericolo, per quanto concerne l’episodio narrato e risalente al 2005 e per ciò che riguarda il secondo la non veridicità di quanto narrato dal richiedente atteso che il ricorrente non aveva saputo collocare temporalmente il secondo episodio, aveva riferito che i terroristi lo avevano individuato annotando il numero di targa in tal modo “divinando” la successiva presentazione di una denuncia, per poi incendiare la sua casa gridando che se lo avessero trovato lo avrebbero ucciso e che i terroristi avevano dimenticato sul taxi gli zaini pieni di armi.

2.5 Nel secondo caso la Corte di appello ha affermato che se da una parte si profilava un significativo radicamento del richiedente in Italia, in ragione della documentazione prodotta attestante attività di lavoro in Italia, la complessiva inattendibilità del racconto fatto non dava adeguata contezza di uno sradicamento parimenti significativo dal territorio di origine, tale da profilare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro a distanza di alcuni anni.

La censura esposta si traduce, quindi, in una critica nel merito della valutazione compiuta dalla Corte territoriale, che non ha affatto omesso di considerare le circostanze segnalate e che ha escluso, all’esito del giudizio comparativo condotto secondo i parametri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (e in particolare dalla sentenza delle Sezioni Unite del 13 novembre 2019, n. 29460), una situazione di vulnerabilità su base individuale in caso di rientro in patria, parimenti necessaria al pari di una effettiva integrazione sociale e lavorativa del ricorrente in Italia, in considerazione della complessiva inattendibilità del racconto circa le ragioni dell’espatrio e le effettive ragioni di allontanamento dal (OMISSIS), che impedivano un giudizio circa l’effettività dello sradicamento del ricorrente dal Paese di origine.

2.6 Nella descritta situazione la motivazione esiste e non corrisponde affatto alla nozione di motivazione apparente, nozione alla quale il ricorrente fa riferimento nel tentativo di ottenere in questa sede una diversa valutazione delle risultanze processuali effettuata dal Tribunale sulla condizione personale del ricorrente, senza contestare in modo specifico le ragioni del decidere poste a fondamento della ritenuta carenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale e di quella umanitaria.

2.7 Anche sotto lo specifico profilo della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte di appello, a pag. 7, fondandosi su fonti internazionali accreditate, aggiornate al 2017, ha evidenziato il miglioramento complessivo della situazione di stabilità del Paese, la diminuzione del numero degli attentati e l’insussistenza di una situazione di minaccia grave e individuale alla vita dei civili.

2.8 Risulta impropria anche l’invocazione dell’attivazione dei poteri istruttori officiosi, dato che il richiedente, in materia di protezione internazionale, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794). In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività.

Il ricorrente non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulle condizioni socio politiche del paese di provenienza senza spiegare neppure l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

2.9 Anche la denuncia di vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è inammissibile, perchè, oltre ad essere formulata dal ricorrente senza indicare un fatto specifico il cui esame fosse stato omesso dalla Corte di appello, non ha dato conto di quanto i documenti concernenti le fonti informative dallo stesso indicate, quando e in che modo sarebbero stati prodotti in giudizio e sottoposti alla dialettica del contraddittorio.

Con ciò non rispettando le prescrizioni sulle modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come stabilite dalle Sezioni Unite, con la sentenza 7 aprile 2014, n. 8053.

2.10 Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dal (OMISSIS) non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

2.11 Le doglianze, in verità, riguardano il complessivo ed intero governo del materiale istruttorio, totalmente obliterando che la valutazione delle risultanze istruttorie rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità e la censura sopra descritta appare finalizzata a sollecitare una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito sulla base delle risultanze istruttorie acquisite al processo che è inammissibile in questa sede.

3. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna M.N.M. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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