Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29491 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 14/11/2019), n.29491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 681-2018 proposto da:

D.C.C., in qualità di custode giudiziario dei beni

staggiti nella procedura esecutiva n. r.g.e. 98/98, domiciliato ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso da D.C.C. difensore di se

medesimo;

– ricorrente –

contro

D.M.A., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

Avvocati VINCENZO NOCERA, GIUSEPPE MAURIELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1012/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 20/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in

particolare del motivo 2;

udito l’Avvocato FILIPPO HERNANDEZ per delega;

udito l’avvocato VINCENZO NOCERA anche per MAURIELLO GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.C.C. ricorre, avvalendosi di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1012/2017 della Corte d’Appello di Salerno, pubblicata il 20 ottobre 2017 e notificata il 3 novembre 2017.

Resiste con controricorso D.M.A..

Il ricorrente, custode giudiziario dei beni staggiti nella procedura esecutiva immobiliare n. r.g.e. 98/98 pendente dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, espone di aver chiamato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, l’odierna resistente per sentir dichiarare l’inefficacia e l’inopponibilità alla massa dei creditori del contratto di locazione avente ad oggetto l’appartamento sito in (OMISSIS), stipulato verbalmente con gli eredi di Mo.Ge. dopo l’atto di pignoramento e l’illegittima detenzione dell’immobile nonchè per ottenerne la condanna al risarcimento del danno per illegittima occupazione e al pagamento delle spese processuali.

Il giudice adito, con sentenza n. 694/2009, rigettava la domanda, ritenendo che D.M.A. possedesse l’immobile in buona fede, avendo stipulato un contratto con coloro che apparivano i legittimi proprietari dell’immobile e che non ne fosse stata provata la mala fede ex art. 1147 c.c.

La Corte d’Appello di Salerno, nella pronuncia qui impugnata, investita del gravame dall’odierno ricorrente, sull’assunto che essa fosse viziata per errata interpretazione dell’art. 560 c.p.c., confermava la pronuncia di prime cure e regolava le spese di lite in forza del principio di soccombenza.

Il Collegio giudicante, pur ritenendo “in minima parte fondate” le motivazioni dell’appellante, escludeva che esse conducessero all’accoglimento del gravame.

Premesso che, dopo il pignoramento, l’unico soggetto legittimato ad esercitare i diritti nascenti dal contratto di locazione, compresa la riscossione dei canoni di locazione, è il locatore custode, il giudice adito escludeva che la locazione stipulata dai proprietari fosse tamquam non esset, ritenendola soltanto inopponibile alla massa dei creditori, e reputava che D.M.A. avesse ignorato in buona fede la pendenza della procedura esecutiva; in aggiunta, considerato che il custode giudiziario si era surrogato al custode precedente del bene pignorato e che aveva cominciato a riscuotere dalla conduttrice i canoni di locazione fino all’effettivo rilascio dell’immobile, il giudice escludeva che D.M.A. potesse essere ritenuta responsabile di aver cagionato un danno e riteneva che il custode avrebbe dovuto rivolgere la propria domanda nei confronti dell’esecutato che, quale custode del bene, ne aveva percepito indebitamente i frutti senza metterli a disposizione della procedura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente imputa alla sentenza gravata di aver violato l’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte d’Appello avrebbe erroneamente tratto dalla pronuncia di legittimità n. 196124/2016 – relativa ad una fattispecie diversa da quella per cui è causa, trattandosi lì della spettanza dei canoni di locazione derivanti da un contratto stipulato dal locatore successivamente al pignoramento – la conclusione che la locazione stipulata dal locatore successivamente alla procedura esecutiva continuasse con il subentro del custode al locatore, oltre ad aver inesattamente ritenuto che la domanda proposta nei confronti di D.M.A. riguardasse la validità del contratto di locazione.

La richiesta formulata nei suoi confronti, al contrario, era sempre stata quella di una pronuncia di inefficacia del contratto relativamente alla massa dei creditori, con conseguente inefficacia del titolo di detenzione e correlativa richiesta di risarcimento dei danni per occupazione illegittima.

In sostanza, la Corte d’Appello avrebbe trasformato una domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno per occupazione sine titulo in una domanda volta ad ottenere il pagamento dei canoni di locazione, rilevando d’ufficio un vizio diverso da quello fatto valere dalle parti ed attribuendo un bene della vita, il canone di locazione, non richiesto e diverso dall’indennità per occupazione sine titulo effettivamente domandata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 65 e 560 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Le norme indicate in epigrafe, pur essendo state esattamente individuate sì da essere applicate alla fattispecie concreta, sarebbero state fatte oggetto di una erronea interpretazione, sicchè la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il custode giudiziario fosse subentrato nel contratto di locazione e ne avesse percepito regolarmente i canoni e che, di conseguenza, non potesse agire nei confronti della conduttrice per occupazione senza titolo, dovendosi rivolgere al debitore esecutato per ottenere la restituzione dei canoni di locazione illegittimamente percepiti; tutto ciò in assenza di prova che il subentro del custode giudiziario nel contratto di locazione fosse stato autorizzato, senza verifica che il soggetto che aveva percepito i canoni di locazione fosse il locatore custode del bene e, ancora più a monte, senza deduzione dell’avvenuta stipulazione del contratto di locazione e dell’effettivo pagamento dei canoni.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.

Dal verbale di udienza del 10 ottobre 2008, che la Corte d’Appello non avrebbe esaminato, sarebbe emerso, ad avviso del ricorrente, che la stipulazione del contratto di locazione e il pagamento dei relativi canoni non erano stati provati. Dal verbale si evinceva, infatti, il rigetto della richiesta di prova testimoniale formulata da D.M.A. proprio allo scopo di dimostrare che gli eredi Mo. si erano qualificati come proprietari dell’appartamento locato e che i canoni di locazione ad esso relativi erano stati regolarmente pagati nella mani di Mo.El. dall’ottobre 2004 al dicembre 2006

La tesi del ricorrente è che, non essendovi prova della stipulazione del contratto di locazione, non sarebbe stato possibile subentrarvi e che il subentro avrebbe dovuto essere autorizzato dal giudice dell’esecuzione, il quale, invece, aveva autorizzato l’esercizio dell’azione tendente al risarcimento del danno per occupazione sine titulo, perchè ritenuta più efficace per realizzare gli interessi della massa dei creditori.

Per di più la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che D.M.A. avesse pagato i canoni di locazione, prima al locatore custode, senza neppure accertare che Mo.Em. rivestisse la qualità di erede e fosse quindi custode dell’immobile, e poi al custode giudiziario subentratogli nella custodia, mentre, invece, le somme versate da D.M.A. trovavano causa nella stipulazione di un contratto temporaneo di locazione con la custodia giudiziaria come emergerebbe dal verbale di immissione nel possesso, di talchè non vi sarebbe stato alcun subentro nel precedente contratto da parte del locatore-custode.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente e per violazione degli artt. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.

Quanto sostenuto dal ricorrente è che la sentenza d’appello sia giunta alle medesime conclusioni di quella di primo grado, ma seguendo un iter logico-giuridico assai diverso, non motivato e in contrasto con le premesse accolte.

5. I motivi sono connessi e possono essere oggetto di esame congiunto.

La questione è se il custode giudiziario avesse titolo per agire risarcitoriamente nei confronti di un soggetto che deteneva l’immobile sulla scorta di un contratto di locazione inopponibile alla massa dei creditori e che asseriva di aver corrisposto il canone di locazione al locatore fino al momento in cui era venuto a conoscenza della procedura esecutiva.

I punti fermi dai quali partire sono i seguenti:

1) posta la natura personale e non reale degli effetti del contratto di locazione, è del tutto irrilevante che Mo.El. avesse titolo legittimo per disporre dell’immobile e quindi è inconferente l’accertamento che fosse erede dei coniugi Mo., non essendo necessario per costituire un diritto personale di godimento su un bene avere un rapporto di legale appartenenza sullo stesso; corrisponde ad un principio giurisprudenziale pacifico che, ove non si incida sulla condizione giuridica del bene, chi abbia la disponibilità anche di fatto di esso, salvo che tale disponibilità non abbia fondamento contrario all’ordine pubblico, è legittimato a trasferirne la detenzione, costituendovi un diritto personale di godimento (Cass. 14/7/2011, n. 15443; Cass. 10/7/2014, n. 15788; Cass. 13/7/1999, n. 7422);

2) il contratto di locazione stipulato dal locatore dopo il pignoramento ed evidentemente senza la autorizzazione del giudice dell’esecuzione è valido, ma inopponibile alla massa dei creditori.

Va al riguardo sottolineato che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, il pignoramento determina un mero limite al potere dispositivo del debitore.

Costituisce ius receptum che la violazione dell’art. 560 c.p.c. non comporta l’invalidità della locazione, bensì soltanto la sua inopponibilità al creditori esecutanti ed all’assegnatario e, quindi, una inefficacia relativa provocata dal provvedimento cautelare; inefficacia che può essere fatta valere dal custode sino a che quella misura perduri e, successivamente, da colui che risulterà titolare o assegnatario del bene oggetto del pignoramento, essendo la misura cautelare finalizzata alla protezione degli interessi della massa dei creditori.

Tale regola trova spiegazione nel fatto che il pignoramento non incide sulla capacità del debitore esecutato e non provoca alcun mutamento della condizione giuridica del bene pignorato, tant’è vero che il debitore esecutato può finanche trasferire a terzi il diritto di proprietà del bene pignorato. Il contratto di alienazione non è affetto da invalidità, nè assoluta nè relativa, ma solo da inefficacia relativa, subordinata all’esistenza e alla permanenza del vincolo derivante dal pignoramento (Cass. 25/10/1972, n. 3255). L’efficacia dell’alienazione trova infatti limite nel pregiudizio alle ragioni di salvaguardia della garanzia spettante al creditore pignoratizio e all’aggiudicatario (Cass. 1/7/1969, n. 2412; Cass. 25/10/1972, n. 3255).

Tale sanzione, espressamente prevista per il contratto di compravendita dall’art. 2913 c.c., è stata estesa ad ogni atto relativo al bene pignorato, anche a quelli che non incidono sulla circolazione giuridica, ma che valgono a costituire sul bene un diritto personale di godimento. I contratti costitutivi di diritti personali di godimento, proprio perchè ne modificano la condizione giuridica, non sottraggono il bene alla sua funzione di garanzia e possono invero rivelarsi addirittura utili o necessari ai fini della relativa migliore conservazione, sicchè è ben possibile stipularli, seppure subordinatamente all’autorizzazione (viceversa non prevista per l’alienazione) del giudice dell’esecuzione (Cass. 12/10/1994, n. 10599);

3) la inopponibilità della locazione non autorizzata non è disciplinata espressamente, in quanto l’art. 2914 c.c. contiene un richiamo alla priorità delle trascrizioni con esclusivo riguardo agli atti anteriori al pignoramento, mentre l’art. 2913 c.c. – che si occupa degli atti successivi – non si fonda in alcun modo sul meccanismo della pubblicità; il medesimo principio implicitamente si ricava dall’art. 2915 c.c., in ragione del carattere costitutivo del pignoramento, non essendo immaginabile un atto dispositivo successivo ad esso, ma trascritto anteriormente (Cass. 11/07/2017, n. 17044).

La inopponibilità della locazione al pignoramento è la questione dirimente nella vicenda in esame.

Perchè, pur convenendo sia la sentenza impugnata sia il ricorrente, circa la (mera) inefficacia relativa della locazione non autorizzata, sono i termini di tale inefficacia a costituire il quid disputandum.

Premesso che il locatore è legittimato a ricevere i canoni di locazione in ragione del fatto che egli è custode del bene, subentratogli il custode, il pagamento dei canoni può essere legittimamente ricevuto solo da quest’ultimo. Il presupposto implicito che fa difetto nel caso di specie è che la locazione prosegua con il custode dopo la sua nomina, perchè valutata proficuamente dal giudice dell’esecuzione. Nella controversia per cui è causa il fatto che giudice territoriale abbia autorizzato il custode ad agire per ottenere l’indennità di occupazione senza titolo dell’immobile pignorato dimostra che la locazione non è proseguita con la surrogazione del custode nella posizione giuridica del locatore-custode.

Che la conduttrice avesse pagato il canone di locazione all’erede della locatrice elemento la cui rilevanza va scrutinata, all’esito di un percorso ermeneutico che qui si va a meglio puntualizzare, ex art. 384 c.p.c., in base alla disciplina dettata dall’art. 1189 c.c.

Giova considerare che l’occupazione dell’immobile esecutato costituisce una circostanza tutt’altro che indifferente rispetto allo svolgimento della procedura esecutiva “sia rispetto al suo compimento con la vendita forzosa del bene, sia rispetto all’eventuale utilizzazione fruttifera del bene nelle more della procedura, o per il tempo bastevole alle esigenze della procedura. E’ indubbio che l’occupazione del bene rende estremamente difficile la vendita forzosa e, comunque, determina una rilevante riduzione del valore dello stesso bene (…). Considerazioni che assumono tanto maggior peso in un momento, come l’attuale, in cui la conservazione del bene è sempre più intesa in una prospettiva funzionale, come conservazione del valore economico di scambio del bene, come attività volta ad evitare la svalutazione del bene nelle more della procedura e ad assicurare la realizzazione del suo effettivo valore di mercato in sede di vendita. Con una reinterpretazione della funzione del custode, sul piano operativo, che tende a spostarne il baricentro, dall’attività prettamente conservativa o anche di amministrazione nel senso tradizionale d’incasso dei canoni, ad un’attività sostanzialmente di gestione attiva della collocazione del bene sul mercato (con forti analogie con le attività liquidatorie del curatore fallimentare)”: in termini, Cass. 16/01/2013, n. 924.

Di talchè per tutta la durata della procedura esecutiva perdura il diritto dei creditori esecutanti di acquisire i proventi derivanti dalla occupazione del bene affinchè entrino a comporre la somma da distribuire ed è loro interesse quello di vendere quanto prima il bene pignorato al suo effettivo valore di mercato, su cui, invece, incide negativamente l’occupazione del bene che ne riduce il valore economico.

Acclarato che al custode spettano, sul piano sostanziale, la conservazione e l’amministrazione della cosa, va da sè che egli sia legittimato ad agire tanto per far dichiarare l’inopponibilità del contratto di locazione stipulato, quale locatore, dal terzo non proprietario, quanto per conseguire la condanna al rilascio dell’immobile detenuto senza titolo ovvero la risoluzione del contratto per inadempimento con conseguente risarcimento del danno, trattandosi di pretese che costituiscono il riflesso del dovere di custodire ed amministrare il bene nell’arco temporale intercorrente tra il pignoramento (ed il conseguente sorgere della custodia) e l’aggiudicazione del bene subastato.

Va precisato, infatti, che il pignoramento produce altresì l’ulteriore effetto, pratico ed immediato, di non sottrarre ai creditori esecutanti i frutti e le altre utilità della cosa pignorata che andranno a confluire nel complessivo importo destinato al soddisfacimento delle ragioni creditorie (art. 2912 c.c.).

In tale contesto si inserisce la disciplina della custodia, la quale è in linea generale dettata dall’art. 65 c.p.c., secondo cui: “La conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati sono affidate a un custode quando la legge non dispone altrimenti”.

Una volta valutato in termini di opportunità in che modo soddisfare le pretese dei creditori esecutanti – in questo caso optando per la richiesta dell’indennità occupazionale – il fondamento giuridico della pretesa formulata dal custode D.C. va ravvisato nella inopponibilità della locazione alla procedura esecutiva e nel combinato disposto dell’art. 2912 c.c., dell’art. 65c.p.c. e dell’art. 820 c.c.: a prescindere dai rapporti tra le parti del contratto di locazione, giova ricordarlo valido, l’occupazione dell’immobile da parte di D.M.A. equivale, per i creditori esecutanti, all’occupazione dell’immobile da parte di un terzo non legittimato; occupazione potenzialmente produttiva di un danno a carico della procedura esecutiva, che il custode che la rappresenta può pretendere dal terzo, discendente dall’impossibilità di una proficua utilizzazione del bene pignorato e dalla difficoltà di vendere il bene quanto prima al suo effettivo valore di mercato. Il custode, infatti, rispetto alla procedura esecutata si trova in una posizione di soggezione analoga a quella in cui si viene a trovare il debitore esecutato rispetto alle decisioni del giudice dell’esecuzione, attuate per il tramite del custode, com’è dimostrato dalla previsione dell’art. 559 c.p.c., comma 2, in forza della quale il debitore può continuare ad abitare l’immobile solo in quanto espressamente autorizzato dal giudice, e da quella di cui all’art. 560 c.p.c., comma 3, che riconosce al giudice la facoltà di disporre la liberazione dell’immobile quando esso risulti occupato da terzi non titolari di diritti, anche personali di godimento, derivanti da un titolo inopponibile alla procedura, nonchè dal fatto che il decreto di trasferimento del bene esecutato sia esecutivo anche nei loro confronti (Cass. 01/12/1998, n. 12174).

E’ pacifico che il risarcimento del danno sia equiparabile ad un frutto, cui si estende in termini oggettivi il pignoramento ex art. 2912 c.c. (Cass. 07/01/2011, n. 267; Cass. 12/11/1999, n. 12556), andando ad incrementare la somma da distribuire (artt. 509,594 c.p.c.). L’art. 509 c.p.c., che regola la composizione della somma ricavata, dispone che ciò che deve distribuirsi è formato, oltre che da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio delle cose vendute o assegnate, da multa e da risarcimento del danno da parte dell’aggiudicatario, anche delle rendite e proventi della cosa pignorata.

Alle rendite riscosse nel corso dell’amministrazione giudiziaria dell’immobile pignorato fa poi riferimento l’art. 594 c.p.c. quando dispone che possono costituire oggetto di distribuzione.

Tra i frutti e le rendite dell’immobile pignorato debbono comprendersi non solo i canoni dovuti per la locazione (art. 820 c.c., comma 3), ma anche le somme che il conduttore è tenuto a corrispondere a titolo di risarcimento del danno. Con specifico riguardo all’indennità di occupazione per ritardata restituzione, questa Corte (sent. 12/11/1999, n. 12556) ha statuito che “per tutta la durata del processo di esecuzione perdura il diritto dei creditori a che i proventi della utilizzazione del bene entrino a comporre la somma da distribuire e che dunque la tardiva riconsegna impedisce in loro danno una più proficua utilizzazione del bene pignorato”. Infatti, oggetto di espropriazione è non il solo valore di scambio del bene, da realizzarsi attraverso la vendita od assegnazione forzata, ma anche il suo valore di uso, per il tempo necessario all’espropriazione o, in alternativa a questa, per il tempo sufficiente a che, mediante l’amministrazione giudiziaria, si producano rendite bastanti a soddisfare i creditori (Cass. 16/01/2013, n. 924). Se il conduttore è tenuto nei confronti della procedura esecutiva per l’indennità di occupazione per ritardata restituzione, tenuto, sia pure a titolo diverso (extracontrattuale), è anche colui che risulti occupante abusivo dell’immobile.

Acclarato che la inopponibilità della locazione giustificava la richiesta risarcitoria avente ad oggetto l’indennità di occupazione nei confronti di D.M.A., altro discorso è quello concernente l’opponibilità alla procedura esecutiva del pagamento liberatorio effettuato dal terzo in buona fede, giacchè il principio dell’inopponibilità della locazione va temperato a favore dell’occupante del bene, in ragione della mancanza di un sistema di conoscenza legale del pignoramento dell’immobile in suo godimento.

Dirimente risulta, infatti, la mancanza di un sistema di conoscenza legale del pignoramento dell’immobile da parte di chi ne abbia il godimento.

Per cominciare va precisato che l’art. 1380 c.c. non costituisce parametro normativo idoneo a definire la questione dell’opponibilità del contratto di locazione alla procedura esecutiva, essendo tale norma invocabile per risolvere un potenziale conflitto di diritti personali di godimento concessi sulla scorta di titoli diversi, soccorrendo, ove il contratto attributivo del diritto personale di godimento non sia soggetto a trascrizione, il criterio della priorità del conseguimento del godimento del bene e, in via sussidiaria, quello della priorità del titolo avente data certa anteriore.

Il conflitto di cui all’art. 1380 c.c. implica, infatti, la necessità di stabilire a chi spetti il diritto personale di godimento acquisito in virtù di un titolo e, quindi, presuppone che vi siano più diritti facenti capo a soggetti diversi aventi ad oggetto il medesimo bene, il cui concreto esercizio crei una situazione di interferenza e quindi di incompatibilità.

Nel caso di specie, rispetto alla procedura esecutiva D.M.A., come si è chiarito, non vantava un diritto personale di godimento acquistato per effetto di un titolo opponibile e men che meno si trattava di stabilire chi fosse titolare del diritto personale di godimento sull’immobile esecutato.

Occorre dunque individuare altrove la normativa applicabile.

Agli argomenti già spesi, va aggiunto che la trascrizione del pignoramento costituisce, anche per il conduttore dell’immobile assoggettato all’espropriazione, forma idonea di conoscenza della sopravvenuta esecuzione cui sia interessato il creditore con ipoteca sull’immobile pignorato, poichè tale forma di conoscenza presuntiva, oltre a non essere prevista dalla legge nè altrimenti evincibile in via analogica, resta esclusa in base all’argomento che solo i creditori titolari di un diritto di prelazione sui beni pignorati hanno diritto ad essere avvertiti dell’iniziata espropriazione (art. 498 c.p.c., comma 1).

Di conseguenza, dato che la legge non prevede per il conduttore, tenuto a pagare il canone di locazione, un sistema di conoscenza reale o presuntiva del pignoramento del bene immobile in suo godimento e poichè al conduttore stesso neppure è possibile, sulla scorta delle risultanze dei pubblici registri immobiliari, verificare se il creditore con ipoteca sull’immobile sia intervenuto nel procedimento di espropriazione forzata del bene assoggettato alla garanzia reale del credito, deve ammettersi, ai fini dell’inopponibilità delle cessioni dei canoni con effetti nei confronti del conduttore, che a costui debba essere data notizia dell’avvenuto pignoramento e dell’intervento nel processo esecutivo del creditore ipotecario, affinchè anche per il conduttore sussista l’obbligo di pagare i canoni futuri al soggetto legittimato a riceverli ai sensi della norma dell’art. 2812 c.c., comma 4. (Cass. 28/08/2007), n. 18194.

Da tali principi discende che l’inopponibilità del contratto di locazione alla procedura esecutiva trova un temperamento nel fatto che il pagamento dei canoni eseguito dal terzo, anche dopo la trascrizione del pignoramento, in mani del proprio locatore è un pagamento che si presume eseguito da un terzo in buona fede con gli effetti di cui all’art. 1189 c.c., in deroga alla regola dell’inefficacia del pagamento al non legittimato ex art. 560 c.p.c., comma 2 (Cass. 12/10/1979, n. 5333; Cass. 07/9/1977, n. 3893), equiparando tale ipotesi a quella di adempimento, oggettivamente esatto e liberatorio, benchè non appagante l’interesse del creditore effettivo, dovendosi proteggere a certe condizioni l’affidamento ingenerato nel solvens, il quale ha confidato sulla situazione apparente ritenendo – non per sua colpa (arg. ex art. 1176 c.c.) che corrispondesse a quella reale (così riproducendo una perfetta coincidenza tra fatto e diritto).

L’effetto liberatorio ex art. 1189 c.c. trova applicazione ove ricorrano due presupposti, l’uno soggettivo, l’altro oggettivo: a) la buona fede del debitore (nel caso, il conduttore), che consiste nel ritenere che il ricevente sia il vero creditore o comunque il destinatario del pagamento; b) la situazione di apparente legittimazione del ricevente, determinata da circostanze univoche che, nella valutazione di un rapporto di normale diligenza, inducono a ritenere effettivamente sussistente la suddetta legittimazione (Cass. 19/04/2018, n. 9758).

La questione non può tuttavia dirsi risolta, considerato che il custode non aveva agito in giudizio per reclamare il pagamento del canone di locazione, bensì per ottenere la indennità di occupazione.

Il che implica l’impossibilità di attribuire al pagamento effettuato in buona fede dal solvens la liberazione rispetto ad un obbligo nascente dal fatto illecito extracontrattuale avente ad oggetto l’indennità per l’occupazione abusiva dell’immobile.

Nella sostanza, se è vero che il custode non aveva titolo per pretendere da D.M.A. il pagamento dei canoni di locazione, essendo essi stati riscossi con effetto liberatorio nei confronti del solvens – che il pagamento sia stato effettuato con effetto liberatorio è oggetto di un accertamento di fatto non scrutìnabile in sede di legittimità, come preteso dal ricorrente – e ferma restando la possibilità per il custode di agire nei confronti del creditore apparente secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.), lo è altrettanto che la opponibilità del pagamento dei canoni di locazione alla procedura esecutata non escludeva la facoltà del custode di agire per ottenere, previa dimostrazione dell’ammontare dell’indennità occupazionale, la differenza tra questa, ove maggiore, e quanto già corrisposto al locatore a titolo di canoni di locazione.

In particolare, nel caso di specie:

– l’inopponibilità della locazione non autorizzata dal giudice dell’esecuzione ex art. 560 c.p.c., comma 2, comportava che l’occupazione dell’immobile derivante da titolo non opponibile alla procedura integrava gli estremi di una situazione di illegittimità nei confronti della procedura: si veda Cass. 05/04/2016, n. 6544, invocata dal ricorrente, anche perchè relativa ad una vicenda analoga che aveva coinvolto un altro occupante di un immobile locato senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione dagli eredi Mo., relativamente alla quale la Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 711 del 25.09.2012, ritenuta esente da vizi cassatori, accoglieva la domanda del custode, D.C., e, in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 693/2009, dichiarava l’inopponibilità ai creditori esecutanti della locazione verbalmente intercorsa tra gli eredi Mo. e l’occupante dell’immobile, dichiarando illegittima la sua detenzione dell’immobile, con conseguente condannava al pagamento dell’indennità occupazionale;

– tra i frutti e le rendite dell’immobile pignorato, cui il pignoramento si estende ai sensi dell’art. 2912 c.c., rientrano anche le domande aventi ad oggetto il risarcimento del danno (Cass. 07/01/2011, n. 267), ne conseguiva il pieno diritto del custode della procedura ad ottenere il pagamento della indennità di occupazione, atteso che, nei confronti della procedura, l’occupazione dell’immobile doveva considerarsi sine titulo: Cass. 05/04/2016, n. 6544.

– il locatore che ha ricevuto i canoni è senz’altro tenuto a riversarli, quali frutti civili (art. 820 c.c.), al vero creditore, e cioè alla procedura che è legittimata ad agire nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2033 c.c., allo scopo di recuperarli;

– la opponibilità alla procedura esecutiva del pagamento in buona fede eseguito da D.M.A. implicava che l’occupante dell’immobile non potesse essere costretto ad un doppio corrispettivo per l’occupazione dell’immobile; di certo non poteva essere obbligata a pagare due volte per lo stesso titolo, inteso come rapporto di godimento del bene (Cass. 29/09/2016, n. 19264); nel senso che il custode non può pretendere il pagamento dei canoni di locazione ove si dimostri che l’occupante li aveva corrisposti in buona fede al creditore apparente; ove, però, il custode avesse provato di avere diritto ad una indennità di occupazione in misura non corrispondente al canone di locazione, perchè maggiore, egli sarebbe stato legittimato ad agire per ottenere la differenza. Come ha precisato questa Corte, l’avvenuta corresponsione dell’indennità di occupazione, che già comprenda l’equivalente dei canoni locatizi, libera l’occupante dal pagamento di ogni ulteriore corrispettivo per il godimento del bene, essendo il canone di locazione già inglobato nell’indennità di occupazione, il custode non può agire nei confronti dell’occupante reclamando il pagamento dei canoni di locazione (Cass. 29/09/2016, n. 19264).

Nel caso di specie, invece, D.M.A. quando ha pagato al custode dell’immobile oggetto della procedura esecutiva ha pagato ad un soggetto che ha accettato la somma ricevuta senza riserve di sorta in ordine alla sua corrispondenza a quanto spettantegli “in aggiunta” a titolo di indennità di occupazione e, quindi, deve ritenersi che il custode abbia riconosciuto la somma congrua e tacitativa di ogni spettanza.

6. Deve pertanto rigettarsi il ricorso, perchè tutto lo sforzo difensivo del ricorrente è proteso in maniera inconducente a insistere sulla inopponibilità della locazione al creditore e sull’errore commesso dal giudice di merito nell’ipotizzare un subentro del custode nel contratto di locazione; tali argomenti non scalfiscono, però, il nucleo motivazionale della sentenza impugnata incentrata, in sostanza, sul fatto che D.M.A. non dovesse essere obbligata a pagare una seconda volta allo stesso titolo.

7. Sussistono i presupposti per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

8. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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