Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29489 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10973/2019 proposto da:

A.N., rappresentato e difeso dall’Avv. Emanuele Maganuco,

giusta procura speciale allegata al ricorso per cassazione, ed

elettivamente domiciliato presso l’Avv. Giuseppe Virbani, in Roma,

via Eustachio Manfredi, n. 8;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di CALTANISSETTA n.

21/2019, pubblicata il 18 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. A.N., cittadino proveniente dal (OMISSIS), distretto di (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 18 gennaio 2019, che ha rigettato il gravame proposto nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta del 3 maggio 2017, con la quale è stata rigettata la sua richiesta di protezione internazionale ed umanitaria.

2. La Corte di appello, con riferimento alla protezione sussidiaria oggetto del primo motivo di gravame, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti di legge, poichè, come emergeva dalle fonti consultate, in (OMISSIS) vi era stato un notevole calo sia di attacchi terroristici, che di morti; quanto alla protezione umanitaria la domanda è stata rigettata perchè generica, tenuto conto anche della situazione del paese di provenienza, non ritenendo decisivo il rapporto di lavoro instaurato dal 12 gennaio 2018, in ragione della durata limitata nel tempo di tale situazione.

3. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza e/o del procedimento e/o violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7,14 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo la Corte di appello fondato la decisione impugnata solo sul notevole calo di attacchi terroristici e di morti e non ha considerato che egli aveva prodotto al Tribunale una fatwa emessa dall’Imam nei suoi confronti e che aveva dichiarato di avere lasciato il suo Paese per timore di essere ucciso dall’Imam sunnita, il quale riteneva che lo stesso si fosse convertito alla religione ahmadi; la Corte, inoltre, non aveva valutato, ai fini della protezione sussidiaria, i fatti dedotti dal ricorrente e aveva violato i precetti contenuti nelle disposizioni di cui all’art. 2967 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c..

1.1 La censura è inammissibile.

1.2 Alla mera affermazione relativa al mancato esame della fatwa emessa dall’Imam nei confronti del ricorrente, alla quale non fa riferimento il giudice di appello, non si associa alcun riferimento agli atti processuali, inteso a consentire a questa Corte una verifica “prima facie” della fondatezza della doglianza.

1.3 Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi.

Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere – dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass., 4 marzo 2013, n. 5344).

Tale consolidato indirizzo è stato affermato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, con la decisione del 28 luglio 2005, n. 15781, così massimata: “Affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività”.

1.4 Con riferimento, poi, al vizio di violazione di legge denunciato in questa sede, va rilevato che viene dedotta la violazione di una pluralità di disposizioni normative (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7 e 14 e dell’art. 2697 c.c.), omettendo di precisare le affermazioni in diritto della sentenza che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità), genericamente richiamate nella intestazione del motivo, e senza ricondurre una specifica statuizione della sentenza alla violazione di una determinata norma, impedendo così alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Peraltro, il ricorrente richiama nell’illustrazione del motivo parti della motivazione della sentenza impugnata, e svolge contestazioni riguardo ad esse, limitandosi a sovrapporre alle argomentazioni della Corte le proprie senza prospettare differenti profili argomentativi.

Ciò che sarebbe stato necessario a fronte della motivazione contenuta nella sentenza impugnata che, peraltro, non è stata debitamente censurata nelle specifiche ragioni del decidere.

1.5 Ed invero la Corte di appello, sulla domanda di protezione sussidiaria, oggetto di specifica impugnazione, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti di legge, perchè, come emergeva dalle fonti riportate, aggiornate al 2017, in (OMISSIS) vi era stato un notevole calo sia di attacchi terroristici, che di morti.

Si tratta di una specifica ragione del decidere che non è stata specificamente impugnata dal ricorrente, con conseguente inammissibilità della doglianza, a fronte dell’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass., 10 agosto 2017, n. 19989; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2091).

1.6 Nè sussiste la violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza e/o del procedimento e/o violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4; omesso esame di un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, coincidente con le risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio e la situazione di forte instabilità nella zona di provenienza, la mancanza di tutela dei diritti umani e l’ottimo inserimento dello stesso nel territorio italiano come riscontrato dall’attestato di conoscenza della lingua italiana; il contratto di lavoro a tempo indeterminato con inizio il 12 gennaio 2018 alle dipendenze della ditta “F.lli C. s.r.l. società agricola”, operante nel settore della coltivazione di ortaggi, società che lo aveva assunto in precedenza, a far data dall’8 agosto 2017, con un contratto di lavoro a tempo determinato; il certificato di competenze rilasciato dal Consorzio Progetto Vita di Caltagirone; la Corte, inoltre, non aveva valutato, ai fini della protezione sussidiaria, i fatti dedotti dal ricorrente e aveva violato i precetti contenuti nelle disposizioni di cui all’art. 2967 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c.; la sentenza era nulla per carenza della motivazione.

Il ricorrente, poi, assume di essere beneficiario di un contratto di comodato gratuito ad uso abitativo di una unità immobiliare sita a Gela del 24 dicembre 2018, documento sopravvenuto e successivo di cui chiede l’acquisizione quale prova nell’ambito del giudizio di legittimità.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Giova, invero, premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal decreto L. 22 giungo 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

2.3 Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti.

2.4 E’ utile rammentare, poi, che Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.5 Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti – ribaditi anche di recente da Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415 – i motivi in esame sono inammissibili perchè non rispettano le appena descritte prescrizioni imposte dalle Sezioni Unite circa le modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il ricorrente lamenta l’omesso esame di prove documentali, nulla argomentando in ordine a come e quando tali fatti siano stati rappresentati al giudice di merito e nulla motivando in ordine al loro carattere decisivo.

2.6 Le doglianze riguardano, poi, sostanzialmente, il complessivo ed intero governo del materiale istruttorio, totalmente obliterando che la valutazione delle risultanze istruttorie rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità.

2.7 Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito – come sostanzialmente dedotto nella specie – ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 17 gennaio 2019, n. 1229).

2.8 Non sussiste nemmeno il lamentato vizio di motivazione, poichè la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, sia per quel che riguarda il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, sia per quanto si riferisce al rigetto della protezione umanitaria, risulta dotata della concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione, sia delle ragioni di diritto poste a fondamento della stessa decisione e di una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consente di cogliere il percorso logico – argomentativo che ha portato la Corte decidente a rigettare le tesi dell’odierno ricorrente.

2.9 In ultimo, va rilevato l’inammissibilità della richiesta di acquisizione del contratto di comodato gratuito del 24 dicembre 2018, atteso che nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. (Cass., 12 novembre 2018, n. 28999).

3. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna A.N. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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