Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29484 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 12/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11023/2019 proposto da:

C.S.T., elettivamente domiciliato in Roma Via Orvieto, 1,

presso lo studio dell’avvocato Francesco Ventura, e rappresentato e

difeso dall’avvocato Letizia Astorri, in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2520/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 C.S.T., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Ancona impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di provenire da (OMISSIS), grande città del Nord del (OMISSIS), dove viveva con padre e madre, poi deceduti; di essersi sposato nel (OMISSIS) e che la moglie era morta di parto dando alla luce la figlia A.; di aver conosciuto una ragazza di sedici anni, di famiglia (OMISSIS), K., che era rimasta incinta; che la relazione era fortemente contrastata dalla famiglia della giovane; che i due fidanzati erano fuggiti in Mali; che, a causa di un malessere fisico, la ragazza aveva chiamato in genitori; che costoro erano intervenuti a riprenderla, minacciando di denunciare il ricorrente per violenza sessuale su di una minorenne; di aver lasciato il Paese con la sorella e la figlia A., arrivando in Italia a maggio del 2016.

Con decreto del 14/7/2017 il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da C.S.T. è stato rigettato dalla Corte di appello di Ancona, a spese compensate, con sentenza del 16/11/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso C.S.T., con atto notificato il 14/4/2019, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7 agli artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 111 Cost., comma 6.

1.1. Secondo il ricorrente, gli atti da lui subiti avevano determinato la lesione di diritti fondamentali, quali il diritto alla libertà personale e sessuale e alla libertà di scegliere se e con chi contrarre matrimonio.

Il ricorrente sostiene di essere stato vittima di una persecuzione personale strettamente connessa alla violazione del Corano che gli era stata imputata con riferimento ai canoni in tema di divieto di rapporti sessuali prematrimoniali.

1.2. La censura è del tutto fuori fuoco rispetto alla principale ratio decidendi della decisione impugnata che ha fatto leva (pag.5, primo capoverso) prima ancora che sulla violazione dei principi religiosi per il rapporto sessuale consumato al di fuori del matrimonio sull’accusa di violenza sessuale su minorenne che i genitori della giovane avevano minacciato di proporre nei confronti del richiedente.

A tal proposito, il ricorrente non spende parola per giustificarsi, mentre non è possibile ravvisare, secondo lo stesso racconto del richiedente asilo, un fatto persecutorio nella reazione dei genitori della ragazza che avevano ripreso con sè la figlia minorenne incinta e che avevano minacciato di sporgere una denuncia per un reato, tra l’altro previsto anche dalla legge italiana, che vieta essa pure i rapporti sessuali con soggetti immaturi per età, a prescindere dal loro consenso, ritenuto viziato.

Non rileva neppure l’argomento dell’imposizione coatta del vincolo matrimoniale, poichè non risulta al proposito che vi sia stata nè una richiesta dei genitori della ragazza, nè una proposta, seppur coartata, del ricorrente.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2.

Lamenta il ricorrente che la sua domanda non sia stata valutata in modo individuale, obiettivo e imparziale e previo congruo esame.

La censura, laddove sembra adombrare una mancata valutazione da parte della Corte di Ancona della vicenda personale del sig. C. per concentrarsi al contrario solo sulle condizioni generali del (OMISSIS), è del tutto generica e non pertinente; essa è comunque anche manifestamente infondata poichè è stata esclusa la rilevanza persecutoria della vicenda riferita, sia per i profili penali sopra illustrati, sia per ulteriori e assorbite considerazioni circa la possibilità di una sorta di “matrimonio riparatore”.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

3.1. Il ricorrente richiama dapprima i principi generali in tema di riconoscimento della protezione umanitaria all’esito di un giudizio comparativo che denoti una effettiva e incolmabile sproporzione tra il contesto di vita nel Paese di origine e quello acquisito in Italia quanto al godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa; quindi, assume che il giudizio comparativo avrebbe dovuto produrre un giudizio positivo sia per l’rischi di incolumità per la sua vita in caso di ritorno in patria, sia perchè avrebbe avviato un buon percorso di integrazione sociale.

3.2. Tali argomentazioni critiche non superano la soglia della assoluta genericità: emblematica in particolare appare la deduzione relativa all’integrazione sociale del ricorrente, proclamata senza alcun riferimento a fatti e circostanze specifiche, che ne consentano la delibazione; comunque del tutto vaghe sono pure le deduzioni relative al rischio in caso di rimpatrio, che, a tutto concedere, deriverebbe dalla possibilità di essere legalmente perseguito per un reato effettivamente commesso.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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